Networking: una meta-soft skill? [VIDEO]

E’ da molto tempo che ragiono attorno alla parola networking (e sue declinazioni).

Ed il mio rapporto con questa parola/azione/attività è sempre stato un po’ complesso. Talvolta guardingo, talvolta (addirittura) ostile quando percepivo una artificialità.

Negli ultimi tempi però, riflessioni ulteriori si sono succedute. Forti anche di un esercizio di sospensione del giudizio, di una maturità acquisita (almeno da un punto di vista anagrafico…) e di una attività di osservazione più neutra.

Da qui la nascita di ulteriori considerazioni, che ho scelto di condividere nel video che accompagna questo post.
[Durata del video: 11 minuti]

[Immagine di copertina RawPixel da Pexels]

Tre libri per rompere gli schemi

Sto iniziando a fare videoriflessioni su gruppi di libri per i quali intravedo dei “fili rossi” che li legano fra loro.

Ho iniziato con un video dedicato alla scrittura e alla narrazione personale (“Quattro libri”).
E nel post precedente mi sono cimentata in una “videoriflessione congiunta” di tre libri di narrativa (più per un motivo legato a questioni di ritardo sulla tabella di marcia del benedetto piano editoriale… Anche se ho in mente di fare a breve qualche riflessione su alcuni romanzi di storie strambe che – letti in sequenza – potrebbero dare un bello scossone a convinzioni linguistiche dal sapore classico).

Qualche giorno fa mi sono invece cimentata in un video nel quale raccontavo di tre saggi anticonvenzionali, che mi sono piaciuti e che mi hanno fatto vedere le cose da un punto di vista un po’ diverso, rompendo schemi lavorativi (legati al management) e operando dei cambi di paradigma (sulla professione in generale).

Rework manifesto del nuovo imprenditore minimalista

Sto parlando di:

“100 Euro bastano” l’ho letto nell’estate del 2014 e – complice il tempo a disposizione e lo stato di rilassamento mentale – mi è piaciuto molto: l’ho trovato un libro snello, agevole ed interessante.
Quello che mi ha colpito in particolare sono gli esempi di “startup” che l’autore porta come esempio.
Non affronta la solita analisi delle mega-multinazionali che sono – sì – tanto belle ed interessanti, ma lasciano un po’ il tempo che trovano.
Racconta invece di micro-imprese, messe su con pochi soldi anche in contesti che per noi sarebbero proibitivi (per esempio racconta di due piccole iniziative imprenditoriali in Africa ed in India, Paesi notoriamente un po’ “complessi”).
Ed è proprio questo che – secondo me – dà valore aggiunto al lavoro dell’autore: ti fa riflettere e ti fa anche pensare che l’iniziativa personale, l’inventiva e la determinazione, possono voler dire molto, al di là del contesto in cui ti trovi a vivere.
Piacevolissima lettura, è scorsa via in una sequenza di racconti che stimolano e fanno riflettere, senza essere roboanti.

100 euro bastano

Per quanto riguarda il libro di Magnus Lindkvist (“Quando meno te lo aspetti”), la lettura è avvenuta per pura curiosità: infatti dopo averne sentito parlare, e avere letto diverse recensioni per un riscontro incrociato, ho iniziato a leggerlo un po’ prevenuta (temevo un prodotto “gonfiato” dell’ennesimo super-guru).
Invece è stata una piacevole sorpresa: man-mano che andavo avanti, mi entusiasmavo e mi trovavo d’accordo su quasi tutto quello scritto dall’autore.
E’ un libro sulla incertezza ed è un suo elogio (che scritto così può suonare provocatorio).
Ma io l’ho interpretato come un tentativo (secondo me, efficace) di far accettare l’incertezza, approcciandola con uno spirito costruttivo (e non ottusamente e pericolosamente ottimista).
Ho poi particolarmente apprezzato la rimessa in discussione di tecniche di leadership e management che hanno fatto il loro tempo, perché non più adeguate alla velocità (e soprattutto alla alta imprevedibilità) del mondo di oggi.
Interessante anche l’excursus nell’ambito delle neuroscienze (trattate in modo divulgativo) e nell’analisi del comportamento dell’uomo davanti alla imprevedibilità.
Non offre soluzioni, offre spunti per vedere le cose in modo diverso.
E questo è molto positivo (secondo me), perché ti costringe a pensare.

Quando meno te lo aspetti

L’unico mio rammarico (e confesso di esserci rimasta un po’ male) è stata una critica piuttosto aggressiva che mi è stata mossa alla condivisione del video su Facebook. Critica rivolta alla persona (e non al contenuto) che credo sia stata scatenata dal titolo del libro di Chris Guillebeau, “100 euro bastano”.
La imputo alla mia mancanza di chiarezza nella condivisione delle mie impressioni (che non erano rivolte alla bontà del concetto “con 100 euro fai impresa”, cosa a cui non credo, ma erano rivolte alle idee che la lettura del libro di Guillebeau può generare).
La cosa che mi è spiaciuta di più è stata che al mio tentativo di cercare di dialogare sul contenuto del libro, la persona ha alzato un muro rifiutando anche una lettura del testo per poterne conoscere il contenuto e parlarne poi con serenità e con spirito costruttivo.
Pazienza. Ho perso l’occasione di potermi confrontare serenamente e di potermi spiegare.
Ho imparato qualcosa di nuovo, mio malgrado.

Per chi lo desidera, come di consueto qui sotto c’è il video delle riflessioni.

Buona lettura e buona visione!

“Tecniche di resistenza interiore” di Pietro Trabucchi [VIDEO]

2015-04-16 15.28.51Tanto ho apprezzato i precedenti lavori di Trabucchi (“Resisto dunque sono” e “Perseverare è umano“), quanto – leggendo “Tecniche di resistenza interiore” – ho avvertito un senso di incompletezza.

Ricordo molto bene l’impatto che ebbero su di me i suoi primi due libri.
Li lessi un’estate nella quale ero in vacanza da sola, e me li godetti come non mai, forte – forse – di uno stato mentale favorevole.
E ricordo che mi motivarono molto.
Oggi li conservo ancora gelosamente nella mia specialissima biblioteca personale alla quale attingere nei momenti difficili.
(Magari ci farò un video su questa biblioteca specialissima)

Ricordo perfettamente anche il momento esatto nel quale sentii parlare per la prima volta del suo libro “Resisto dunque sono”: durante uno speech di un socio Toastmasters, che lo citò come fonte di ispirazione a supporto della preparazione alla partecipazione alla Stramilano. Fui colpita e alla fine del meeting lo presi in mano, lo sfogliai un po’, presi nota e successivamente lo acquistai.

Quindi forse tutto questo, unito anche all’avere partecipato al corso organizzato da “La Grande Differenza”, aveva creato una aspettativa molto elevata.

Diciamo che questo libro può essere considerato un approfondimento della trattazione della “resilienza” applicata in ambito quotidiano, con particolare attenzione rivolta ai mezzi di comunicazione monodirezionali (media) e bidirezionali (social).
Però (senza nulla togliere alla competenza, serietà e professionalità dell’autore) ad una analisi impietosa della società odierna e di alcune sue dinamiche, non fa seguito una elencazione vera e propria di “tecniche di resistenza” come fa supporre il titolo (fatto salvo una menzione al “Mindfulness“).

Resta comunque un testo di piacevole lettura, fonte di spunti di riflessione e motivante ad assumere una maggiore consapevolezza di alcune cose che diamo per scontate e che sono entrate a far parte della nostra quotidianità.
E forse il vero obiettivo dell’autore sta proprio qui: nel far prendere coscienza al lettore di alcune cose.
E la presa di coscienza è forse uno dei migliori strumenti di resistenza (meglio “resilienza”) che l’individuo ha a disposizione per destreggiarsi nella quotidianità.

“Le parole sono importanti” di Alessandro Zaltron [VIDEO]

Copertina ZaltronDopo una pausa di qualche giorno, complice anche lo stop pasquale, eccomi di nuovo qui a condividere le considerazioni sui libri che leggo.

E questa volta è il turno del nuovo lavoro di Alessandro Zaltron, “Le parole sono importanti”, edito da Franco Angeli.

Dello stesso autore avevo già letto “Guru per caso” (scritto a quattro mani con Demetrio Battaglia), “Crociera e delizia” e “¡Viva Maria!” e ne ho sempre apprezzato lo stile agile, condito di sottile ironia e arguzia.
Stile che – ormai ne sono quasi convinta – penso sia una caratteristica peculiare dell’autore.

Infatti leggendo il suo ultimo lavoro, che si colloca nell’area della manualistica, ho ritrovato le medesime affilate peculiarità.
Unite ad uno stile insolito di trattazione dell’argomento: la lingua italiana ed il suo utilizzo.
E penso non sia un caso che lo stesso autore definisca il suo ultimo libro un “manuale pop”.

“Pop” forse per il ritmo (a tratti saltellante e sincopato) e per le argomentazioni attorno all’utilizzo della nostra lingua (argomentazioni che – sempre secondo me – mescolano diversi stili che vanno dal racconto, al vocabolario, al libro di grammatica…).

Leggendolo ho sorriso (ho anche sogghignato, se è per questo), sono rimasta perplessa, ho imparato cose nuove e – spesso – mi sono sentita colta con la mano nel vasetto di marmellata (ho trovato diversi “svarioni” nei quali scivolo con sistematicità…)
Tutto ciò lasciando da parte i miei avvitamenti linguistici che spesso spiazzano chi legge e potrebbero far venire l’orticaria allo stesso Zaltron…

Lo considero un libro da leggere in diverse modalità: ad una prima lettura discorsiva, possono esserne associate successive mirate a specifici aspetti.

Costellato di “chicche” linguistiche (bello lo “Sciocchezzario” al termine del libro, che raccoglie e critica con ironia tante espressioni linguistiche che usiamo senza accorgercene), è – secondo me – uno di quei libri da tenere sempre a portata di mano e da consultare all’occorrenza.

Il libro in due parole?
(Molto) divertente ed (assai) istruttivo.

Buona lettura!

Tre libri… [VIDEO]

PhotoGrid_1416410212083~2Chi legge da un po’ questo blog (e/o segue il canale YouTube), avrà visto che per un po’ di tempo ho tenuto un ritmo elevato nella lettura dei libri. Pubblicando videoriflessioni e post scritti.
Tutto questo aveva dato vita ad un esperimento che avevo ribattezzato “Un libro alla settimana” (con tanto di hashtag #unlibroallasettimana)…

Ma dopo 29 videroriflessioni (che corrispondono a qualche libro in più) sono collassata…
Ossia miseramente crollata.
Causa del “crollo” (se così si può dire, anche se non rappresenta una vera e propria sconfitta) un libro in particolare: “Le quattro casalinghe di Tokyo”.
Un poliziesco giapponese di 650 pagine circa, dal ritmo molto lento.
E’ stato quindi inevitabile il rallentamento e l’avanzamento a fatica, girando le pagine di carta come se fossero fatte di pietra.

Ma siccome non tutto il male vien per nuocere, questo mi ha fatto anche capire che stavo facendo qualcosa che, man-mano che avanzava, stava assumendo i connotati di una maratona di studio che minava la mia passione per la lettura.
E’ stata quindi una presa di coscienza (una pausa di riflessione, se vogliamo) che – però – non ha compromesso la volontà di condividere via video e via parole scritte, quello che sento, imparo e vivo leggendo un libro.
Anzi!
I post e le videoriflessioni continueranno ad esistere. Solo con un ritmo più lento, meditato e variato. E – soprattutto – più funzionale al libro oggetto delle mie attenzioni.

Quindi ecco di seguito delle brevi recensioni (pubblicate anche su Amazon) degli ultimi tre libri letti, accompagnate dalla consueta videoriflessione (mi scuso per la qualità del video, ma ho avuto qualche problema di “dialogo” con la tecnologia… prossima volta faccio meglio, promesso!)
(E – nel mentre – veleggio all’interno delle pagine di David Allen del suo “Detto fatto!”, e di Michael Dobbs e “House of cards”… ebbene sì, ne sto leggendo due in parallelo e diametralmente opposti fra loro… pensando ad un video sui miei libri preferiti della famiglia simil-professionale/manualistica, utili ad incoraggiare… nel mentre incombe il primo incontro post-vacanziero di Bookeater di Zelda Was A Writer, libro che non ho ancora iniziato a leggere…!).

Le quattro casalinghe di Tokyo:

Sono stata attratta dal libro per una serie di ragioni e ho avuto una prima falsa partenza.
Infatti – in prima battuta – ho iniziato a leggerlo e (dopo poche pagine) l’ho sospeso, in attesa di tempi migliori: troppo lento, troppo deprimente.
L’ho ripreso in mano dopo qualche settimana e stavolta sono arrivata in fondo.
Confesso che mi ha lasciato però un po’ “perplessa”.
Il libro ha qui e là delle riflessioni molto profonde e la storia non è male.
Quello che mi ha un po’ affaticato è lo stile “giapponese” (com’è giusto che sia, essendo scritto da una autrice nipponica).
L’incedere nelle descrizioni, il ritmo lento e quasi meditato, mi hanno un po’ “confuso” e mi hanno fatto perdere il “filo del discorso” abbassando il mio livello di coinvolgimento nella storia narrata.
(Anche se poi mi trovavo a scorrere pagine pervase di veri e propri momenti “splatter”, che rappresentavano mini-shock narrativi.)
Credo anche che un ruolo fondamentale lo giochino le oltre 650 pagine di romanzo: la sua monumentalità può risultare un po’ eccessivo, soprattutto se confrontato con la lentezza dello stile narrativo.
Sono comunque opinioni personali, perché l’opera ha un suo fascino e può piacere a chi ama i ritmi lenti e meditati (quasi da teatro del No) di cui scrivevo poco sopra.

Il sogno di scrivere:

Ho approcciato il libro di Cotroneo con un misto di curiosità e ritrosia (a causa della mia idiosincrasia nei confronti dei manuali che spiegano “come fare a”). Ma apprezzando molto quanto pubblica sul suo blog, ne ho affrontato volentieri la lettura.
Ed è stata una sorpresa.
Una piacevole sorpresa.
Perché mi sono trovata a leggere una sorta di “manuale emotivo” (se così si può definire).
Infatti l’autore non dà consigli su come scrivere.
Bensì suggestiona il lettore, stimolandolo a scrivere.
Attraverso esempi, condivisione di episodi della sua vita e della sua professione, racconta del piacere di scrivere. Incitando, incoraggiando, te lettore a scrivere (e condividere) le tue storie che tieni nel cassetto.
A me è piaciuto.
Chiaramente se si è alla ricerca di un manuale tecnico, sicuramente è un libro da evitare.
Ma se si è alla ricerca di un qualcosa che ti faccia riflettere, che ti fornisca spunti da cui partire poi con il tuo progetto… beh… penso che questo sia un testo molto interessante.

Un animo d’inverno

Divorato in tre giorni.
Sono stata catturata dalla storia e ho nutrito un sentimento/sensazione di inquietudine da un certo punto in avanti, che è andato in crescendo.
Leggevo la storia con la sensazione sempre più nitida e netta che ci fosse qualcosa di tremendamente sbagliato (anche se non riuscivo a capire cosa potesse essere). Per poi arrivare al finale e capire solo allora lo svolgimento dei fatti.
Se dovessi classificarlo/definirlo con una parola chiave mi verrebbe da dire “insolito”.
Sì, sicuramente un romanzo insolito che ti cattura e ti porta con sé dentro la storia.
È stato definito un thriller psicologico, ma non so se si tratta della definizione giusta.
Penso sia un libro talmente particolare da non meritare una etichettatura che potrebbe risultare riduttiva.
Mi ha lasciato addosso però un profondo senso di tristezza e malinconia.

“Jony Ive. Il genio che ha dato forma ai sogni Apple” [VIDEO]

$_35Un paio di settimane fa ho letto il libro scritto da Leander Kahney sulla figura di Jonathan Ive, il celebre “master-designer” di Apple.
L’uomo che ha creato gli oggetti della celebre casa, rendendoli unici e dipingendo una nuova visione dei device elettronici.

Avevo già letto un altro libro di Leander Kahney (“Nella testa di Steve Jobs”), ma non mi aveva entusiasmato: forse si parlava da troppo tempo della figura di Jobs e cominciavano a circolare notizie, studi e considerazioni via-via sempre più scontate.

Stavolta invece sono rimasta piacevolmente sorpresa: vuoi per la figura raccontata e vuoi anche per la evidenziazione di alcune caratteristiche salienti, già note ma ben raccontate e trattate.

Prima di tutto la attenzione di Jony Ive per la semplificazione: una passione difficile da perseguire perché per semplificare bisogna togliere, ridurre e ottimizzare. E non è così facile come sembra anche se lui ci riesce egregiamente.
Una sorta di ossessione, la sua, che lo accompagna fin da prima del suo ingresso in Apple e che creerà quello stile che ha reso inconfondibile gli oggetti prodotti dalla casa di Cupertino.

Poi la nota attenzione per il cliente. In particolare per l’esperienza utente.
Una attenzione che esplora come l’essere umano interagisce con gli oggetti e arriva a studiare anche l’esperienza dell’aprire le scatole che contengono i dispositivi Apple (ricordo ancora la scatola che conteneva l’iPhone).

Il tutto perseguendo la bellezza delle forme. L’estetica degli oggetti. Attraverso la linearità e la ricerca sull’impiego di nuovi materiali.

Semplicità. Attenzione per l’utente. Bellezza.
Tre concetti cardine che penso siano attualissimi e potrebbero fornire spunti anche nelle nostre scuole di design e di architettura.

Infatti ritengo che testi simili (come anche film-documentari come quello che ho visto di recente su Sir Norman Foster) siano molto più interessanti di molti libri canonici di storia dell’Architettura, perché più coinvolgenti e più attuali.
Sarebbe una iniziativa interessante introdurli nelle bibliografie d’esame: credo che stimolerebbero dibattiti e riflessioni, nonché spunti di crescita e di sperimentazione.

“E’ facile affrontare i problemi della vita se sai come farlo” di Pino De Sario [VIDEO]

DeSarioMetti che stai tornando a casa da un corso e sei in automobile.
Metti che decidi di fermarti per sgranchirti le gambe e bere un caffè.
E – nel mentre bevi il caffè – ti cade l’occhio su un banchetto dove sono esposti dei libri.

Uno ti colpisce.
Inizialmente per i colori.
Poi per il titolo chilometrico che – di primo acchito – ti lascia un po’ perlessa (“Essì… il solito libro di crescita personale dalle facili soluzioni!”, mormori tra te e te).

Però quel libro continua a guardarti.
E tu lo guardi.
Lo prendi in mano e lo sfogli, leggendo qui e là.
Ed infine, per una ragione a te totalmente sconosciuta, decidi di acquistarlo.

Bene, l’istinto ha avuto ragione.
Perché mi sono ritrovata a leggere un libro molto interessante di un autore facilitatore a me sconosciuto fino ad oggi (per chi vuole sapere che è Pino De Sario qui il link al sito).

Nonostante il titolo un po’ ingannevole (linguisticamente parlando), il testo raccoglie in modo organico idee e strumenti (sotto forma di spunti che possono essere approfonditi in modo autonomo ed in momenti successivi) che ruotano attorno ai conflitti e alla gestione della negatività (finalmente non più rifiutata, bensì riconosciuta come strumento/passaggio valido e propedeutico alla crescita).
Idee e strumenti che hanno come pilastri portanti l’ascolto di sé stessi e degli altri, in una ottica di facilitazione (il facilitatore è una figura professionale ben definita).

Un libro che si lascia leggere gradevolmente e si presta a sottolineature e appunti.
Che si esprime in modo semplice e chiaro, con gli inglesismi (tanto in voga) ridotti allo stretto necessario.

Un libro che – per quanto mi riguarda – può essere tenuto a portata di mano anche per consultazioni rapide, utili per spunti e reminder per la possibile soluzione di problemi.

Consigliato.

“In un batter di ciglia” di Malcolm Gladwell [VIDEO]

Gladwell

Ragionare attorno al libro di Malcolm Gladwell “In un batter di ciglia” mi sembra quasi un controsenso.

Mi spiego: il libro in questione tratta del “pensiero intuitivo” e della “cognizione rapida”. Due caratteristiche dell’essere umano, difficilmente codificabili e descrivibili, ma oggetto di studi da parte di scienziati e psicologi.

Ed in questo caso – per me – la sfida è stata doppia: all’argomento (che mi affascina molto) si è aggiunto anche lo stile di trattazione dell’autore.
Stile che – curiosamente – mi ha dato qualche difficoltà e che da una lato mi spiazza, ma dall’altro lato mi sta gradualmente conquistando (qui la riflessione sul primo suo libro che ho letto).
Infatti Gladwell scrive in modo estremamente semplice, raccontando e affrontando argomenti complessi in modo molto chiaro.
Ma non lo fa con la pretesa di catalogare, analizzare, incasellare e codificare a tutti i costi. (Tendenza che ho riscontrato in molti testi che si collocano a metà strada tra i manuali ed i saggi, come per esempio “Strategia Oceano Blu”)
Bensì è come se si sedesse ad ascoltare chi ne sa più di lui, prendendo appunti e trasferendo in modo comprensibile – a chi poi leggerà – ciò che lui ha appreso.
Senza arrogarsi alcun diritto di “superiorità intellettuale”.
Collocandosi invece sullo stesso piano del lettore.

Con l’aggiunta di una ulteriore variabile: l’autore non ti offre soluzioni.
Racconta storie, supportate dalla ricerca scientifica e accompagnate da interviste ai ricercatori coinvolti, che ti danno la possibilità di fare delle riflessioni e che suscitano qualche curiosità in più.

Una considerazione sulla videoriflessione pubblicata in coda a questo post.
Registrandola, e ascoltando la fatica che ho fatto nell’esprimere i concetti, mi sono ricordata di un episodio accaduto un paio di settimane fa: nel tentare di registrare un video sul libro di Guenassia, “Il club degli incorreggibili ottimisti”, in un primo momento andai in blocco (qui la riflessione scritta e qui la videoriflessione, pubblicata in seguito).
Non riuscivo ad esprimere i concetti: tanti tentavi e false partenze, fino al “lancio della spugna sul ring” (“Basta mi arrendo, non ci riesco!”). Pubblicando un riflessione su Facebook su questo “stato di scoramento”, uno dei contatti commentò con una interessante considerazione sul dualismo tra razionalità (comunicazione di pensieri organizzata secondo una sequenzialità logica) e istinto.
Una considerazione che anticipò quello che poi ho incontrato leggendo questo libro, e che si potrebbe (con qualche licenza personale) riassumere così: il pensiero intuitivo è qualcosa che agisce in modo assolutamente autonomo, dietro la porta chiusa dell’inconscio, e che se tenti di spiegare in modo razionale non ne sei capace.
Ecco, in quel caso e con molta probabilità, avendo vissuto il libro e com-partecipato alle vicende dei personaggi, avevo incamerato sensazioni a livello istintivo che non riuscivo a trasferire a livello razionale (ci sono riuscita solo dopo essere passata attraverso la scrittura, attività che può assumere degli aspetti molto intimi).

Non mi dilungo oltre, inserendo qui sotto il video della riflessione, pubblicato su You Tube.
Buona visione.

Due libri sul talento e la creatività [VIDEO]

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All’interno del progetto di “Un Libro A settimana”, mi è capitato di leggere in sequenza due testi apparentemente slegati fra loro, ma in realtà legati da un filo rosso che è quello che si può battezzare con il nome duale di “Creatività e Talento”.

Infatti, qualche settimana fa, in occasione della lecture di Paola Antonelli (curatrice del MOMA di New York) programmata da Meet the Media Guru, è stata organizzata una iniziativa molto interessante che ha coinvolto una startup di recente costituzione che permette di creare dei TweetBook.
Per questo esperimento – effettuato in collaborazione con MtMG – è stato scelto un libro speciale: “Fantasia” di Bruno Munari.
L’obiettivo era leggere un capitolo al giorno tra quelli selezionati, pubblicando su Twitter (con l’hashtag #mmgFantasia) spunti, immagini, frasi, suggestioni che emergevano durante la consultazione del piccolo e ricchissimo libro, con lo scopo di creare un museo virtuale, immaginario ed immaginifico. Creando una sorta di visionaria wunderkammer.
Così mi sono divertita (assieme a molti altri utenti) a partecipare a questo progetto di “scrittura condivisa” (a questo link ho raccolto in Storify i tweet) destreggiandomi e recuperando reminescenze di arte, design e anche cinematografia, lasciando andare a briglia sciolta la mia immaginazione un po’ anchilosata.

Concluso il libretto di Munari, mi sono poi cimentata nella lettura de “La trappola del talento” di Geoff Colvin.
Scritto da un giornalista della rivista Fortune, il libro ha come obiettivo il dimostrare che il talento non è un dono divino con il quale si nasce, bensì è frutto di un allenamento costante e continuo secondo determinate metodiche, ben codificate e ben programmate.
Si tratta di un libro che lavora su “fondamenti scientifici e logici” (se così li possiamo definire) e incoraggia anche chi pensa di non essere dotato di alcun “dono divino”. E a supporto della teoria dell’autore sono molti gli esempi di sportivi, musicisti, scacchisti, manager (ma non solo) che vengono menzionati. Proprio a sottolineare che è possibile eccellere in qualche campo se ci si applica con rigore e precisione.

La cosa interessante è che questi due libri hanno trattato un universo composto appunto da talento e creatività (anch’essa frutto di stimoli ed esercizi, così come sostenuto sia da Munari che da Colvin) in modo interessante e tra loro complementare.
Se il libro di Munari è stata una scoperta e ha costituito una lettura attualissima, quello di Colvin ha rappresentato un interessante excursus all’interno di una determinata ricerca volta a dimostrare che tutti possiamo sviluppare ed allenare i nostri “talenti”.

Di seguito le due videoriflessioni pubblicate sul canale YouTube, dove ragiono in modo un po’ più approfondito sui due testi.

Due libri interessanti: Domitilla Ferrari e Sebastiano Zanolli [VIDEO]

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Di recente ho letto due bei libri interessanti che si potrebbero annoverare (magari un po’ impropriamente) nella categoria “formazione”.
Intendendo con “formazione” qualcosa che tratta alcuni argomenti che ti possono tornare utili per imparare qualcosa di nuovo e che ti possono offrire nuovi punti di vista su argomenti che magari conosci già un po’.

Sto parlando del libro di Domitilla Ferrari, “Due gradi e mezzo di separazione, e del nuovo lavoro di Sebastiano Zanolli, “Aveva ragione Popper, tutta la vita è risolvere problemi.

Due libri che trattano di due argomenti ben distinti (come si può dedurre già dai loro titoli) e che mi hanno riconciliato con un genere col quale faticavo sempre più a dialogare.
Infatti stavo sviluppando una vera e propria idiosincrasia per testi che trattano di formazione, di web e di materie di acculturamento e di sviluppo delle proprie capacità personali e professionali.
Non ne potevo più di leggere sempre le stesse cose, proposte in salse diverse ma dal medesimo retrogusto assai noto.
Ed invocavo qualcosa di nuovo. Invocando qualcuno che potesse raccontare le cose in modo inusuale.
E semplice. (Anche qui stufa di leggere dissertazioni noiose, vagamente accademiche e/o scontate)

Così ho affrontato con fiduciosa curiosità il libro di Domitilla Ferrari, che – confesso – non conoscevo fino ad oggi (e che ho avuto il piacere di ascoltare dal vivo al corso “Dieci Cose”, assieme ad altri giganti del web), e ho atteso con altissime aspettative il nuovo libro di Sebastiano Zanolli (che mancava dagli scaffali delle librerie dal 2011, credo…)

Bene, la prima è stata una gran bella sorpresa ed il secondo è stata un gran bella conferma.
Nel primo ho letto con piacere sul networking, ripassando un po’ di concetti, scoprendo qualcosa di nuovo e trovandomi in assoluta sintonia coi concetti e le idee espresse dall’autrice.
Nel secondo mi sono confrontata con il tema dei problemi, e della loro risoluzione, esplorando visioni inusuali sull’argomento e osservando con curiosità contaminazioni non così immediate.

Non mi dilungo oltre.
Lascio spazio alle due videoriflessioni qui sotto (cosa che mi sto dilettando a fare, sperimentando nuove modalità di comunicazione).

Buona visione (a chi si cimenterà nell’ascolto dei due video della durata di circa 8 minuti ciascuno).