Un esercizio di ragionamento

Spero di sbagliarmi e attendo solo di essere smentita dai fatti, ma la vittoria di Elly Schlein alle recenti primarie del PD mi sembra molto diversa da quella che appare di primo acchito (riassumibile nella parola “cambiamento” nell’accezione che in genere si dà, ossia verso qualcosa di nuovo).
Mi sembra una candidatura “costruita” (virgolettato d’obbligo) con molta abilità da chi desidera mantenere lo status quo dando il “contentino” all’immaginario collettivo.
Mi si perdoni la brutalità, ma vado ad argomentare.

Premetto che non discuto sulla carriera politica della vincitrice.
E non sono una elettrice di destra (così sgombro il campo da tutta una serie di dubbi).

E’ che leggendo opinioni di analisti ed esperti di linguaggio, ho trovato conferma ad alcuni aspetti che percepivo (sono conscia del fatto che potrei essere preda del “bias di conferma”).
Elly Schlein è (era, vista la sua vittoria) la candidata perfetta per l’immaginario collettivo:

  • giovane
  • brillante (al di là di come la si pensi)
  • donna (sfruttando “l’effetto Meloni”, quasi in emulazione, e soddisfacendo il desiderio di “finalmente una donna candidata alla presidenza di un partito fortemente patriarcale”)

In realtà due sono le cose che mi hanno colpito.

La prima: chi ha sostenuto la candidatura di Elly Schlein.
Tutta la vecchia guardia. Tutta (risalendo nei tempi fino a Bersani e Ochetto).
Delle due l’una:

  • o è molto più conservatrice (delle idee fondanti del PD) di quanto l’immaginario collettivo percepisca (e quindi è perfetta per il ruolo richiesto dai “grandi vecchi”), oppure
  • è il perfetto agnello sacrificale e sacrificabile utile al sostegno della tesi (semplifico pesantemente) del “visto che non va bene così?”

Quasi un “doppio legame”.

La seconda: chi le ha fatto fare la rimonta.
Gli elettori tesserati avevano espresso preferenza su Bonacini (che era in netto vantaggio), le elezioni aperte hanno ribaltato il risultato.
La domanda che mi sorge è: gli elettori tesserati avevano visto giusto e i cittadini votanti sono stati sedotti dal sogno di vedere una donna alla presidenza del PD? Oppure gli elettori tesserati sono conservatori e i cittadini votanti hanno visto giusto?

Onestamente non so rispondere e credo che solo il tempo potrà dare una risposta.
Credo che comunque sarà interessante osservare come si evolverà la vicenda.
Resta il fatto che Elly Schlein è la prima donna Presidente del partito e la più giovane in assoluto.
Poi che declinazione assumerà il “cambiamento” da lei sostenuto e auspicato sarà – anch’esso – da osservare: verso qualcosa di nuovo o verso un ritorno alle origini? Nuova identità o recupero di una identità forte?

Nel frattempo ragionare su quanto è accaduto può essere un esercizio molto utile per osservare una vicenda da più punti di vista, traendone conclusioni anche diametralmente opposte dallo stesso punto di osservazione.

La politica è estremamente affascinante, se si riesce a mantenere una distanza emotiva da quello che si osserva.

Qualche articolo utile:

DonnaONLine

Lo scorso 7/8 marzo si sarebbe dovuto svolgere a Riccione il quarto Congresso DonnaON.
Sappiamo come è andata in quelle settimane: l’epidemia dilagante, i decreti e le ordinanze sempre più restrittive, i lockdown che si sono moltiplicati in un effetto domino…
Interi eventi, fiere e manifestazioni venivano via-via posticipati di qualche mese fino ad essere rinviati all’anno successivo… e anche DonnaON non è stato da meno.

Ma dopo un momento di comprensibile smarrimento, Carina Fisicaro (Founder del progetto) ha organizzato in breve tempo due maratone in diretta su Facebook a distanza di due settimane l’una dall’altra.
La prima a metà aprile e la seconda durante il primo weekend di maggio:

Empowered Women United for a World ” DonnaONLine” (18/19 aprile)

DonnaONLine Empowered Women United for the World (2/3 Maggio)

Due weekend durante i quali circa 40 professioniste (complessivamente) si sono alternate in una staffetta di speech della durata di 45 minuti, nei quali hanno condiviso esperienze, riflessioni, suggestioni e strumenti per fare meglio e affrontare questo periodo ad alta imprevedibilità.

Nei due weekend ho avuto il piacere e l’onore di portare il mio contributo su due temi a me molto cari: le parole e la loro cura (di cui avevo già fatto una specie di test-speech qualche settimana prima) e la leadership di servizio (di cui avevo scritto un articolo per QuiFinanza a gennaio).

I video delle dirette di tutte le speaker sono disponibili sulle pagine Facebook i cui link sono elencati qui sotto, mentre – in chiusura di questo articolo – sono visibili i video dei miei due interventi (disponibili anche sul mio canale YouTube):

Empowered Women United for a World ” DonnaONLine” (18/19 aprile)

DonnaONLine Empowered Women United for the World (2/3 Maggio)

L’importanza delle parole | DonnaONLine – Maratona Facebook 18/19 aprile 2020

La leadership di servizio | DonnaONLine – Maratona Facebook 2/3 maggio 2020

Le slide dell’intervento sono disponibili su Slideshare a questo link: La Leadership di Servizio.

Leadership e storie personali

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Foto rawpixel.com da Pexels

The most effective business leaders don’t pretend to have all the answers; the world is just too complicated for that. They understand that their job is to get the best ideas from the right people, whomever and wherever those people may be.

La frase qui sopra è tratta dall’articolo pubblicato sulla Harvard Business Review: If Humility Is So Important Why Are Leaders So Arrogant?

Articolo che tratta dell’ancora esistente stile di leadership aggressivo e arrogante.

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Foto rawpixel.com da Pexels

Il messaggio fondamentale che passa dalle parole di Bill Taylor (che ho colto) è della importanza del riconoscere del “non sapere”.
Un atteggiamento di umiltà intellettuale che non è sinonimo di debolezza e di mancanza di capacità di leadership.
Tutt’altro.

È nell’immaginario collettivo che la parola “umiltà” ha assunto – nel tempo – una accezione negativa, da perdente (inteso come colui/colei privo di risorse e quindi privo di potere).
Ma il suo significato è ben più profondo e alto.

Infatti una delle tante definizioni di “umiltà” che si trovano in rete è quella riportata qui sotto.

Virtù per la quale l’uomo riconosce i propri limiti, rifuggendo da ogni forma d’orgoglio, di superbia, di emulazione o sopraffazione.

Una definizione che cela tra le righe una descrizione di Leadership (proprio con “L” maiuscola) di grande spessore.
Accompagnata da una parola importante: virtù.

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Foto di Amber Lamoreaux su Pexels

Quanto letto nell’articolo mi ha richiamato alla memoria un altro post letto di recente: Storie di leader che sbroccano.
Titolo un po’ particolare, ma che tratta di un argomento non così scontato.

Infatti Luca D’Ammando (autore del post) riflette sulla possibile fine dell’era dei CEO dall’Ego molto forte, alcuni dei quali al limite del sociopatico (pare infatti che un’alta percentuale di CEO abbia caratteristiche comportamentali orientate in tal senso).

(Tra i casi eccellenti viene menzionato Elon Musk, autore di recenti esternazioni  “insolite” su Tesla e la sua quotazione in Borsa che hanno portato successivamente ad un rapido dietrofront con relativa multa da parte delle autorità [ma non solo, perché nel frattempo si è reso protagonista di altre stravaganze]).

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Elon Musk – © Art Streiber

E tutto ciò mi ha fatto riflettere su due libri letti di recente: la biografia di Elon Musk scritta da Ashlee Vance (edita in Italia da Hoepli) e “Hit Refresh” scritto da Satya Nadella, CEO di Microsoft (edito in Italia da ROI Edizioni).

Due libri che raccontano due storie (due modalità di pensiero), tratteggiando il carattere dei due protagonisti. Carattere che si esplica attraverso le loro gesta e che individua due stili direttivi molto diversi.

Il primo profondamente egoico (nella sua genialità) e autoreferenziale (al limite del dispotico).
Il secondo più condiviso, aperto e di ascolto.

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Satya Nadella – Foto tratta da Windows Central

Procedendo nella osservazione/riflessione, mi è venuto spontaneo fare una ulteriore considerazione legata alla nazionalità (intesa come Paese di origine) e alla loro storia personale, che penso abbiano inciso ed incidano sullo stile di conduzione e dialogo con l’altro.

Sudafricano e con una storia personale e familiare complessa (il primo), indiano e con trascorsi di vita molto diversi (il secondo), entrambe comunque accomunati da drammi familiari, suggeriscono la formazione e sviluppo di due caratterialità profondamente diverse.
Che hanno portato la costruzione di due professionalità e carriere diverse.

E la personale convinzione che nutro è che quanto noi acquisiamo e viviamo nelle prime fasi formative della nostra vita (derivanti dalla famiglia e dall’ambiente sociale e culturale nel quale cresciamo), lasci tracce che daranno una impronta al nostro stile di leadership.

Con questo però non voglio dire che si tratta di un processo irreversibile ed impermeabile a possibili cambiamenti.
Tutt’altro.

Si può cambiare lungo la strada.
Se si vuole.

Va presa coscienza di quello che si è e della strada che si è percorsa.
Di quello che si è vissuto e si è acquisito.
Della propria storia personale.
Utilizzando il bagaglio di esperienza come punto di partenza per possibili cambiamenti.

 

[Fonti immagini:
http://www.pexels.com
http://www.windowscentral.com
http://www.artstreiber.com]

Volate in solitaria

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Stamattina – in auto, in coda – riflettevo sulla leadership e sulla sua solitudine.

Questo pensiero mi è venuto in mente a seguito di alcune recenti esperienze non immediatamente collegabili tra loro, ma che hanno – a mio avviso – un comune denominatore.
Vado ad elencare.

Ieri ho intercettato nella timeline di Facebook questo articolo del sito Toastmasters:
“Creative Leadership – Why it’s an essential skill in today’s changing workplace.”

Scritto in inglese, l’autore condivide della importanza del binomio leadership+creatività per stimolare ed invitare al cambiamento e alla sperimentazione (Creative Leadership è uno dei Pathways [programmi educativi] di Toastmasters International e il post è funzionale a stimolare curiosità e interesse per il percorso dedicato).
Alcuni passi hanno attirato la mia attenzione:

“Leaders don’t just have an official leadership title or position; they often contribute the most and have the most influence.”
[…]
“A person with a more rounded understanding and experience of a whole organization will understand that organization better and be in a better position to contribute creatively. ”
[…]
“Leaders can ensure their organizations thrive in a creative environment by understanding the creative process and using it to nurture creative ideas and establish a creative environment.”
[…]
“[…] leaders and individuals can use their creativity to help shape the future.”

In sintesi, viene suggerito – sì –  ai leader di iniettare e stimolare la creatività per far crescere persone ed organizzazioni, per restare al passo con l’evoluzione rapida del mondo professionale (e non solo). E – nel contempo – invita ad usare la creatività per diventare, esercitare ed essere dei buoni leader. (Senza dimenticare una cosa importante: i leader non sono necessariamente coloro che hanno dei titoli – delle investiture ufficiali – bensì sono [anche e forse soprattutto] coloro che contribuiscono attivamente, influenzando gruppi e situazioni.)

art-board-game-challenge-163064Recentemente – durante uno speech aziendale – ho parlato di comunicazione, di leadership e di feedback.
Analizzando e commentando queste tre variabili, strettamente interconnesse tra loro, uno dei partecipanti ha riflettuto che la leadership non è sempre e solo conduzione di gruppi (come spesso si pensa) ma è anche leadership di se stessi: spesso accade di dover condurre noi stessi verso un obiettivo e capita che questo lo si faccia (per scelta o per necessità) da soli. Diventando eventualmente poi (in un secondo tempo) un esempio per gli altri, che possono decidere di seguire le nostre orme.

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E qui mi sovviene alla memoria un motto celebre:

“Non fare mai del bene se non sei preparato all’ingratitudine.” [Enzo Ferrari]

Motto che mi ha fatto ripensare ad un recente “sfogo” che mi è stato espresso da una persona che si rammaricava di non avere avuto riscontri, di non avere avuto séguito, su un percorso di innovazione che aveva iniziato con l’intento di condividere, informare e stimolare altri ad intraprenderlo.

Tutto ciò mi ha fatto riflettere sulla leadership come volata in solitaria.

Mi ha fatto riflettere sul fatto che quando si decide di intraprendere una azione (una innovazione, o il perseguimento di un obiettivo, o che dir si voglia) per prima cosa si deve essere convinti in prima persona.
Non ci si deve aspettare un plauso dagli altri (che possono non essere interessati o – nella peggiore delle ipotesi – anche essere appollaiati sul ramo, aspettando un nostro fallimento).
L’aspettativa di plauso può essere la manifestazione inconsapevole di una nostra necessità di conferma e di approvazione che – se non arriva – può compromettere la nostra convinzione, rivelandone le radici molto deboli (“Lo faccio perché sono realmente convinto o perché voglio dimostrare quanto sono bravo?”, è bene chiedersi).

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La leadership è guida, è ascolto, è osservazione, è mentoring, è servizio (ed è anche potere).
Ma è anche “situazione solitaria”.
Nel bene e nel male: le persone guardano a te come guida, aspettando talvolta indicazioni su come procedere, nel mentre cerchi (e trovi) appoggio e forza su te stesso per trovare e mantenere la motivazione ad andare avanti (e oltre).

[Immagini tratte da Pexels]

Di Leadership femminile

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Tempo fa condividevo su Facebook una riflessione sulla leadership declinata al femminile che sintetizzo qui sotto:

“[sto pensando] a quello che leggo su leadership maschile e leadership femminile. E più vado avanti e più provo “disagio” davanti a questa differenziazione. Perché? Perché per me non esiste leadership declinata al maschile o leadership declinata al femminile. Per me esiste la leadership. Asessuata. Per me la leadership (per come la concepisco e la sperimento in continuazione su me stessa) è qualcosa che non è legato al sesso della persona. Bensì è legato alla persona, come individuo, e alle sue peculiarità. È legata al suo carattere, al suo essere, ai suoi valori. Quando leggo di leadership femminile e di programmi ed eventi di formazione al femminile, giuro che mi scorre un brivido lungo la schiena.  E non è un brivido di piacere. Perché? Perché vedo degli stereotipi da auto-incaprettamento. Vedo leadership femminile espressa attraverso i tacchi alti… Attraverso capelli fluenti, rossetti,…Tutti canoni che rischiano di diventare degli stereotipi che cristallizzano in codici che possono trasformarsi in griglie di valutazione. E non va bene. Secondo me. Finché ognuno di noi – uomo o donna che sia – non sarà in grado di capire che la leadership non è legata a canoni estetici, a “status symbol”, a “dress code”, bensì è fortemente individuale (inteso come “individuo”, persona), e parte da dentro, continueremo a raccontarci tante belle teorie che spingeranno a incasellamenti forzati e a sviluppare ulteriori griglie. Quelle stesse griglie dalle quali soprattutto le donne in cerca di “identità di leadership” tentano di uscire.”

Con questo post si sollevò un dibattito abbastanza vivace. E dovetti spiegare un po’ di più cosa intendevo dire, specificando che la mia non era una riflessione offensiva nei confronti del genere femminile. Tutt’altro: era (ed è tuttora) un invito a non cadere nella trappola delle categorizzazioni. E – nello specifico – era (ed è tuttora) un invito ad essere prima di tutto leader e poi donna o uomo.

All’interno della discussione mi colpì un commento che offriva una chiave di lettura interessante: la leadership maschile viene vista più “impositiva”, la leadership femminile viene vista più “inclusiva”.

Questa osservazione mi diede la possibilità di ampliare il campo della discussione, facendolo uscire dal concetto di “etichette” e “recinti” (su cui stavo ragionando), per portarlo ad un altro livello, espandendolo e contribuendo ad una operazione di chunk up(è possibile leggere una definizione di chunk e chunking in questi articoli: Chunking up and downChunk su Wikipedia).

Ora, ragionando sull’inclusivo (donna) e sull’impositivo (uomo), sappiamo che numerosi studi scientifici hanno dimostrato che il modo di ragionare maschile è diverso dal modo di ragionare femminile. (Un dei numerosi articoli di riferimento, da cui è tratta la foto qui sotto: Brain Connectivity Study Reveals Striking Differences Between Men and Women)

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L’immagine mostra (in alto) le connessioni di un cervello maschile e (in basso) le connessione di un cervello femminile – ©Ragini Verna, PhD, Proceedings of the National Academy Sciences)

Ma penso che le due modalità di leadership menzionate sopra non siano necessariamente legate al genere. Ho una convinzione profonda che le modalità legate alla persona, al suo carattere e – cosa non meno importante – alla sua formazione culturale, sociale ed educativa hanno comunque importanza.

Faccio un passo in più.

Lo scorso weekend ho seguito via streaming l’evento benefico Dire Fare ed uno dei relatori presenti era il Generale Franco Angioni, che ha parlato di leadership. Senza menzionare donna o uomo, bensì affrontandolo come un concetto alto sganciato da qualsiasi categorizzazione. E due punti hanno richiamato alla memoria riflessioni che mi era capitato di fare in autonomia:

  • autorità e autorevolezza non sono la stessa cosa (l’autorità ti viene conferita da cariche, l’autorevolezza ti viene riconosciuta da altri)
  • comando non è necessariamente leadership (chi comanda dà ordini, chi è leader conduce il gruppo e non sempre le due variabili coesistono).

Ora mettendo insieme tutto ciò in modo sequenziale, e semplificando, emerge secondo me un equivoco di interpretazione:

genere (uomo/donna) –> biologia/neurologia–> modalità di pensiero –> tipo di leadership (impositiva per uomo; inclusiva per donna)

generando quella che io chiamerei una equazione complessa: “siccome è così, allora il risultato è questo”. Categorizzando un concetto che personalmente vedo molto più ampio ed influenzabile da molti più fattori esogeni ed endogeni.

Sono conscia che essere donna non facilita certi percorsi. Ma sono anche intimamente convinta che se si inizia:

  • a pensare alla leadership come ad una capacità (o visione)
  • a sganciarsi dalle etichette e dalle categorizzazioni
  • ad anteporre la comprensione del concetto alto per poi calarlo su di sé (in un processo di top-down che ti trasforma)

forse si riescono ad aggirare preconcetti che portano alla creazione di iniziative dedicate che – anziché aiutare nella creazione di una identità – rischiano di creare quei recinti di cui parlavo in apertura, e nei quali si finisce per rinchiudersi da soli (da sole, nello specifico).

Nota finale:

La leadership è un tema che mi è molto caro. Lo sento particolarmente in virtù della mia natura introversa che mi fa guardare con curiosità coloro che conducono e guidano gruppi. Di seguito riporto i link ad altri post che ho scritto, durante il mio percorso di studio, sperimentazione e apprendimento (tra parentesi ho messo le date di pubblicazione, per dare anche una connotazione temporale alla questione), uniti ad un paio di considerazioni sull’universo femminile e manageriale:

[Articolo pubblicato in data odierna sul profilo personale di LinkedIn]

Leadership e comando

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Qualche giorno fa ho assistito ad un dialogo nel quale si menzionava la parola “comando” all’interno di un ragionamento di “leadership”.

Sentendo utilizzare la parola “comando” ho prestato maggiore attenzione e ho pensato alla (apparente) sottile differenza che c’è tra i due termini. Una differenza che, se non colta, può generare equivoci di interpretazione e – conseguenti – difficoltà di gestione di progetti e di dinamiche interpersonali.

Per curiosità (e personale ossessione di precisione linguistica), sono andata a cercare i significati delle due parole sul sito della Treccani:

  • leadership s. ingl. [comp. di leader «capo, guida» e -ship, terminazione che esprime condizione, ufficio, professione e sim.], usato in ital. al femm. – Funzione e attività di guida, sia con riferimento a individui o organi collegiali in quanto dirigano un gruppo o un’impresa, sia, in senso politico-sociale, con riferimento a un partito o a uno stato.
  • comando s. m. [der. di comandare]. – 1. Atto di comandare, ordine impartito; le parole con cui s’impartisce l’ordine; la cosa stessa comandata: dare un c.; aspettare il c.; fare, eseguire i c.;obbedire a un c.; parlare con tono, con voce di c.; essere ai c. di qualcuno, essere avvezzo a obbedirgli; essere, stare ai c. di uno, essere alle sue dipendenze, a sua disposizione; ai vostri c., ai suoi c., detto da chi si mette a disposizione di qualcuno e si dichiara pronto a servirlo. 2. Facoltà, autorità di comandare, e la funzione stessa, il grado di chi è investito di tale autorità […] [definizione completa a questo link: http://www.treccani.it/vocabolario/comando1/]

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Leggendo attentamente, Treccani per definire i due termini utilizza parole dai significati molto diversi, assimilabili a guidare (per la leadership) e ordinare (per il comando). Azioni che hanno un significato – a mio avviso – profondamente diverso che si sposano con una azione “educativa/ispirazionale” la prima, fortemente “direttiva” (e a senso unico) la seconda.

Personalmente ritengo che il termine leadership sia difficilmente traducibile in italiano, ma ho comunque cercato le traduzioni dall’inglese all’italiano utilizzando due principali piattaforme online, ottenendo risultati un po’ più ambigui (che confermano la mia perplessità):

  • Google Translator (per certi aspetti più approssimativa, anche se migliorata rispetto a qualche tempo fa) alla parola leadership fa corrispondere – in italiano – la parola “comando”
  • Word Reference fa corrispondere parole come “guidare” e “dirigere” (a questo link le varie traduzioni).

Credo che per comprenderne appieno il significato sia necessario fare un passaggio intermedio, risalendo alla origine della parola e – dalla sua origine – tentare di risalire al suo significato in italiano:

leader[ship] deriva da to lead che (in italiano) significa condurre/guidare

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Se poi tento di costruire un personale elenco di caratteristiche distintive tra i due termini, utili ad orientarmi, scriverei:

Leadership non fa necessariamente rima con comando [un assunto secondo me molto importante]

  • Comandare è una azione
  • Leadership è (anche e forse soprattutto) una sorta di identità

In termini di riconoscimento/incarico

  • Il comando ti viene dato (o – nel bene e nel male – te ne appropri)
  • La leadership ti viene (anche) riconosciuta (ed eventualmente affidata) per quello che sei e fai (un riconoscimento quasi di autorità)

In termini di durata temporale

  • Il comando può avere una durata temporale limitata
  • La leadership non necessariamente (se acquisita e riconosciuta come “identità”, può avere una durata quasi illimitata)

C’è una grande differenza di contenuto e di significato tra queste due parole. Che può incidere profondamente nella comprensione e nell’approccio alle cose, così come nella individuazione di persone adatte a ricoprire ruoli e svolgere compiti.

Variabili, queste – a mio avviso – da non sottovalutare.

[Le immagini scelte – dal web – seppur di lingua inglese, aiutano a dare una maggiore chiarezza di significato alla parola leadership attraverso sinonimi e attività/azioni ad esse correlate.]

Una bella definizione di leadership

Sto leggendo il bel libro di Alessandra Cosso dal titolo “Raccontarsela” ed ho incontrato una bella definizione di leadership.

Mi sono emozionata nel leggere queste righe .
Forse perché è un concetto che sento e condivido profondamente, e sulla quale sto lavorando duramente (su me stessa).

Ecco di seguito lo stralcio:

“[…] l’idea del leader come il capo che comanda, e che deve saper dare risposte, è sempre meno funzionale al nuovo modo di essere delle organizzazioni, che richiedono persone capaci di guidare, facilitare le relazioni e usare le domande per esplorare una realtà sempre cangiante.
[…] un potere inteso più come avere potenza, poter esserci, saper creare relazioni, connettere, esplorare possibilità.
[…] il saper stare nel presente, “esserci” e creare l’esperienza di visualizzazione condivisa.
Avere carisma […] deve invece andare nella direzione di mettersi al servizio, dare senso e significato al fare collettivo, tenere in rotta e in formazione, favorire collaboratività; mentre la mistica del potere è passata dal sentirsi un dio ad avere la capacità di riconciliarsi con il proprio limite.
[…] Ai nuovi leader è chiesto di essere una cosa difficilissima: se stessi.

Una definizione che fa il paio con quanto raccontato nel libro di Magnus Lindkvist, “Quando meno te lo aspetti”.
Un altro libro che mi è piaciuto moltissimo e che ho letto questa estate.
E che consiglio caldamente di leggere.

“The Leader Who Had No Title”

20121103-012236.jpgNon avevo mai sentito parlare di Robin Sharma, fino a quando non sono andata al seminario di William Ury sul “No Positivo” lo scorso 12 ottobre a Vicenza.

Lì, in una pausa del seminario, è stato presentato il prossimo evento del Club Mondiale della Formazione: una giornata sulla leadership proprio con lui.
Ed in quella occasione è stato proiettato un video dello stesso trainer, che si presentava e salutava i partecipanti, rimandandoli al prossimo evento del 24 maggio 2013, sempre a Vicenza.

Confesso che, essendo “settata” sui modi eleganti e misurati di William Ury, ascoltare (e vedere) il video di Sharma mi mise l’ansia. Il suo modo di parlare era troppo impositivo ed energetico.
Rimasi perplessa.
Spinta però dalla curiosità, e dall’annuncio dal palco di Mirco Gasparotto e Nello Acampora, mi ripromisi di leggere il libro “The Leader Who Had No Title” (uno dei suoi testi più noti).
Libro che – visto che c’ero – ho acquistato in inglese, in versione e-book (“Così mi esercito un po’ con la lingua e mi abituo ai formati digitali”, mi sono detta).
Nel frattempo ho dato una occhiata al suo canale You Tube, guardando qualche suo video.
Con la perplessità che cresceva sempre più.
“Troppo adrenalinico, troppo autocelebrativo!”, mi ripetevo tra me e me.
È stato quindi con grande scetticismo che ho iniziato a leggere il libro, ricevendo anche un feedback entusiasta da una amica che – invece – apprezza molto l’autore e ha letto quasi tutto quello che lui ha scritto.

L’inizio è stato abbastanza tiepido.
Leggevo cose a me abbastanza note.
E mi ritrovavo a ripetermi che, sì, sono cose interessanti, sono approcci alla vita abbastanza innovativi, sono regole valide, ma… Ma sono cose che si sentono dire da più parti, da tempo, nel mondo della formazione.
Insomma, “nulla di nuovo, nulla di stravolgente”, mi dicevo (proseguendo nella lettura).

Ed invece, ad un certo punto, o sono stata io che ho cambiato atteggiamento, o è stato il libro che ha avuto un impercettibile ma inesorabile cambio di marcia, fatto sta che sono entrata in “risonanza” coi contenuti che via-via incontravo.

Fino ad arrivare, alle ultime battute, ad un imprevedibile sblocco emotivo.
Non mi succedeva dai tempi di “Bianca come il latte, rossa come il sangue” di ritrovarmi con le lacrime agli occhi.
Se poi considero che, negli ultimi tempi, i libri di “crescita personale” mi erano venuti a nausea…

Probabilmente questo semplice testo deve essere andato (quatto-quatto) a toccare delle corde profonde.

Non è un libro complesso ed inavvicinabile.
È un libro gradevole, che si lascia leggere in modo scorrevole.
In forma di storia trasmette dei concetti che (se applicati) possono effettivamente operare dei cambiamenti.
Nulla di miracoloso.
Bensì una serie di sistemi di approccio e di modi di vita, che vanno applicati con costanza, ogni giorno. Proprio perché nessuna ti regala nulla. E nulla piove dal cielo.
Infatti è utile tenere bene a mente che, per conquistare qualcosa, si deve fare sempre un po’ di fatica, assumendosi le proprie responsabilità delle proprie azioni.

[Immagine di copertina tratta da www.learn2things.com]

Leadership e Management

Oggi ho assistito ad una riunione ad alti livelli, a chiusura di un progetto importante.

Ho ascoltato quello che il Direttore Generale e la sua squadra dicevano, e ho avvertito un senso di inadeguatezza misto a sconforto.

Sarà stata la stanchezza da “volata finale”, saranno state le poche ore di sonno della notte precedente, saranno i dubbi e le riflessioni che continuo a farmi da un mese a questa parte, … fatto sta che – ascoltando – mi sono detta: “Io non ci riuscirò mai! Io non riuscirò mai ad essere come loro!”.

Ossia: “Non crescerò mai professionalmente, non ho le qualità e le capacità per arrivare a ricoprire ruoli via-via sempre più importanti…” e via così, in un crescendo di riflessioni non proprio funzionali.

Non è la prima volta e non sarà – temo – neanche l’ultima.

Andando a casa ho iniziato a riflettere…

Un mese fa, precisamente il 29 settembre, partivo per Livorno per quattro giorni di training. Quattro giorni che mi hanno rovesciato come un calzino.

La prima giornata è stata quella che mi ha evidenziato un concetto importante, che oggi è riemerso sulla strada verso casa.

Essere leader ma comportarsi da manager.

Essere creativi ma operare secondo schemi fortemente codificati.

Praticamente un processo di limitazione delle proprie capacità e della propria natura.

Essere manager mi è un concetto abbastanza chiaro: gestire processi, pianificare, controllare, “schedulare”… Costruire e muoversi secondo griglie ben prestabilite.

Essere leader…per me è un concetto più difficile da definire e – soprattutto – da afferrare.

La domanda che alcuni di quelli che si occupano di Leadership si pongono è: leader si nasce o si diventa? Forse leader si nasce: non si può imparare ad ispirare persone, non si può imparare ad essere creativi, non si può imparare a navigare nel caos, veleggiando agevolmente… Forse puoi implementare queste capacità, ma qualcosa deve già esserci nel DNA.

Il manager non è un tuttologo, ma si muove bene nella programmazione.

Il leader cosa sa fare? Può un leader essere indefinito nelle sue capacità pratiche, esercitando comunque un ascendente su chi gli sta vicino, motivando, ispirando e trascinando persone?

Un creativo può essere indefinito nelle sue capacità, può avere una professionalità “ibrida” (termine che fa venire l’orticaria ad alcune persone che conosco)? E può comunque influenzare la realtà che lo circonda semplicemente essendo se stesso?

Sono concetti che faccio molta fatica a comprendere e focalizzare. Forse perché cerco di razionalizzare e “logicizzare” qualcosa che – per sua natura – non può essere razionalizzato e sottoposto a valutazione logica.

Forse tanti anni nel mondo della ingegneria hanno plasmato il mio modo di ragionare in una precisa direzione.

Forse è per questo che dopo una giornata come quella di oggi, torno a casa con ricordi di un mese fa e un vago senso di impotenza nel non riuscire ad afferrare a fondo dei concetti.

Forse perché cerco di comprendere qualcosa con degli strumenti inadatti.

Come se volessi cercare di risolvere un problema con lo stesso metodo con il quale è stato creato (parafrasando Einstein).

Per comprendere un concetto così lontano dal management, come è la leadership, devo pensare in modo creativo, devo cambiare modo di pensare.

O forse devo semplicemente fidarmi del mio istinto e del mio intuito. Ossia ciò che è più lontano possibile dalla logica e dalla razionalità.

Sono pensieri che si rincorrono ed emergono a ruota libera, in ordine assolutamente sparso… e che non mi lasceranno tanto facilmente…

Pensieri e riflessioni che scaturiscono osservando ciò che mi circonda, ciò che vivo e sperimento, frequentando ambienti fortemente organizzati e vivendo in una società sempre più fluida, che richiede sempre maggiore competenza ma anche sempre maggiore flessibilità.

E competenza e flessibilità sono altri due concetti per me diametralmente opposti, che non riesco a legare tra loro con un filo rosso…