Ho terminato ieri la lettura del libro “Strategia Oceano Blu“.
E devo confessare di avere avuto un andamento un po’ discontinuo: alternavo momenti nei quali scorrevo via veloce, a momenti nei quali mi arenavo.
Ho recuperato una annotazione che avevo fatto più o meno a metà del libro:
“Sto leggendo il libro “Strategia Oceano Blu”: un libro – diciamo – di management.
Kindle, da bravo assistente, mi dice che sono al 41% dello stato di avanzamento.
Faccio un po’ di fatica a comprendere alcuni concetti.
Non riesco a capire se sono complessi di per sé, o se sono abilmente “complessificati” (mi si permetta questa invenzione linguistica, voluta…) per vendere meglio un concetto che potrebbe essere espresso più sinteticamente ed in modo più semplice… (gli stessi autori toccano in alcuni punti il concetto di “semplificazione”, depurando di dati complessi, numeri e tabelle per favorire una apertura di orizzonti esplorativi).
Senza contare che alcuni punti cardine vengono continuamente ripetuti.
Ora, capisco che la ripetizione è alla base dell’apprendimento, ma – porca miseria! – snellire un po’ è così blasfemo?
Qualcuno mi potrebbe dire: “Vabbè, vai via veloce su alcuni concetti…!” Sì, vero.
Però io ho un “piccolo” difetto: se non leggo con attenzione un libro dalla prima all’ultima pagina, mi sembra di non comprenderlo appieno, di non averlo realmente letto.
(Ricordo ancora l’impresa suicida di leggere anche le pagine in latino de “Il nome della rosa”… io, che il latino non l’ho mai studiato, avendo fatto il liceo artistico…!)
Quindi mi sciroppo tomi impossibili e pesantissimi, dalla prima all’ultima pagina, per tacitare la mia coscienza.
E mi viene in mente un’altra cosa (che abbiamo proprio ricordato ieri con mia madre): l’idiosincrasia del babbo verso certi corsi e concetti di provenienza americana.
Quando lavorava, la sua azienda attraversò un periodo nel quale organizzava “corsi residenziali” per manager, dove arrivavano questi formatori americani che pretendevano di insegnare teorie varie a manager che avevano 30 anni di esperienza alle spalle.
Bene, leggendo questo libro mi sembra di rivivere la stessa cosa…
Vabbè, proseguo nella lettura…”
Arrivata al termine del testo non è che mi sono così tanto spostata dalle opinioni espresse in quell’appunto preso allo stato di avanzamento del 41%…
La tendenza degli autori di voler codificare ed estrarre le regole che governano decisioni aziendali (e non) volte ad aprire nuove aree di mercato, ad esplorare nuovi campi ed a contaminare tra loro diverse aree di influenza, in una sorta di trasversalità, in alcuni punti – secondo me – risulta tirata un po’ per i capelli.
Come a voler rendere seria una ricerca scientifica, estraendo a forza grafici e codifiche che a volte mi hanno lasciata profondamente perplessa.
Il testo invece cambia radicalmente marcia, diventando estremamente più interessante, quando passa alla presentazione di “case history” che spaziano nei più diversi ambiti: da Cirque du Soleil, alla Polizia di New York, passando per il Dubai, per il mercato dell’auto, dei cinema multisala e dei computer.
Ambiti diversi, che dimostrano che determinate scelte strategiche possono fare la differenza.
Però, codificare queste scelte strategiche risulta arduo, tanto più se si vogliono analizzare ambiti così disparati, alla ricerca di un “un comune denominatore strategico”.
E’ per questo che io sono sempre più perplessa davanti ai manuali.
Mentre trovo sempre più efficaci le storie, che – seppur narrazione – attraverso il loro esempio, possono offrire spunti inaspettati, permettendo riflessioni che consentono di arrivare al rovesciamento di personali paradigmi e alla apertura mentale.
In conclusione spezzo però anche una lancia a favore dei manuali, laddove si opera in una azienda: il dover innovare all’interno di una struttura composta di tante teste, necessità di processi e procedure abbastanza collaudate e codificate, che permettano di governare correttamente squadre eterogenee.
Questo sì. In questo ambito un manuale risulta sicuramente uno strumento efficace.
Però la frase che ho letto (e che è evidenziata in fotografia): “[…] per ottenere un livello alto di performance in un mercato così sovraffolato, le aziende dovrebbero andar oltre la concorrenza puramente rivolta alla quota di mercato […]” la dice lunga su come alcuni concetti del libro siano tirati per i capelli.
Leggendo frasi così uno pensa alla banalità disarmante di un concetto così scontato.
E poi pensi allo slogan di un corso di vendita (letto di recente) che recita: “come distruggere la concorrenza”.
Uno slogan che la dice lunga anche su quanto certi concetti (espressi nel libro) siano ancora lontani dall’essere compresi, assorbiti e metabolizzati.
Ma questa è un’altra storia…
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