Stamattina, complice la montagna d’acqua che cadeva giù dal cielo, sono andata a vedere la mostra di Piero Fornasetti alla Triennale di Milano.
Una meraviglia.
Un folle e gioioso assembramento di oggetti surreali… Più o meno…
Perché in realtà si tratta di oggetti di uso comune (tavoli, mobili, sedie, vassoi, paraventi… ma anche foulard) plasmati da forme e colori tali da trasformarli in altro, facendogli perdere la sua riconoscibilità usuale, decostruendoli e destrutturandoli…
Una mostra molto ben allestita, che è una gioia per gli occhi ed un profondo godimento per l’emisfero destro e la sua creatività insita.
Basta mettere da parte la razionalità, il minimalismo, la logicità e dare spazio al bambino che è in noi, per apprezzare questa passeggiata in mezzo ai colori, agli oggetti e alla fantasia del designer.
Da vedere!
Per rinfrancarsi, per stupirsi e per la bellezza dell’apparentemente inutile…
Una curiosità: vedevo tante persone che fotografavano oggetti e ambienti della mostra, senza che il personale della mostra dicesse alcunché… Dopo la mia perplessità iniziale, mi sono dilettata a scattare qualche foto. E – tornata a casa – mi sono documentata e ho trovato questo interessante articolo di una recente iniziativa, che sa di prossima rivoluzione copernicana di fruibilità delle mostre:
Tutti pazzi per Piero Fornasetti, anzi: pazzi come lui! La Triennale lancia l’Instagram contest, chiedendo scatti ispirati all’estro del designer. Al migliore, in premio, una ceramica d’autore
Fatevi un giro su Instagram e curiosate nell’hashtag #lovefornasetti… Coloratissimo collage di ispirazioni varie…
Alcune suggestioni catturate dalle pareti della mostra… Lascio parlare loro (e le immagini), sono più eloquenti…
Il nostro mestiere è senza limite, a tempo pieno. Non c’è orario. Giorno, anche notte. I miei sogni li traduco in realtà, qualunque cosa faccia.”
Ho fatto l’amore tutta la notte… con una lastra nera di cera e una sottile punta di acciaio. È stata una lunga notte e non so se ho vinto o perso. Certo non ho goduto…
[…] Questa è una mania quella che io combatto, quella delle etichette. Surrealista, neorealista, romantico, postmoderno. Abbiamo l’abitudine di comprare le “firme” e non più le cose belle che ci piacciono. Un artista che vuole avere successo non è più un artista. È una persona che vuole avere successo. Se si adegua alle mode arriva in ritardo perché ormai si sono adeguati tutti. […]
[…] Guarda il bambù per 10 anni, poi dimenticalo, poi dipingi il bambù.
Interiorizzare, creare, produrre.
Non faccio ritratti dal vero, li estraggo dalla memoria.
Magari faccio degli schizzi ma poi produco tutto a memoria altrimenti che ritratti sono!
Sarebbero una copia […]
Sì dice che i miei oggetti siano realizzati con dei metodi segreti… rido sotto i baffi… il mio solo segreto è il rigore con cui conduco il mio lavoro… Sono come un direttore d’orchestra che si serve di primi violini e di professori ma che li dirige tutti per ottenere la sinfonia.
Ho così vestito di vestigia, ceramiche, mobili e cose e ho così riposto in ogni opera un messaggio, un piccolo racconto certe volte ironico, senza parole evidentemente, ma udibile da chi crede nella poesia.
Mi reputo l’inventore del vassoio perché ad un certo momento della nostra civiltà non si sapeva più come porgere un bicchiere, un messaggio, una poesia. Sono nato in una famiglia di pessimo buon gusto e faccio del pessimo buon gusto la chiave di liberazione della fantasia.
Nota alla foto di apertura del post: “Makers” è il libro che ho acquistato assieme al catalogo della mostra nella libreria della Triennale e non è parte integrante delle pubblicazioni della mostra.