The Big Kahuna – Monologo sulla vita: il testo

Dopo avere postato tempo addietro il video, prelevato da You Tube, riporto qui sotto il testo:

Goditi potere e bellezza della tua gioventù.
Non ci pensare.
Il potere di bellezza e gioventù lo capirai solo una volta appassite.
Ma credimi tra vent’anni guarderai quelle tue vecchie foto.
E in un modo che non puoi immaginare adesso.
Quante possibilità avevi di fronte e che aspetto magnifico avevi!
Non eri per niente grasso come ti sembrava.
Non preoccuparti del futuro.
Oppure preoccupati, ma sapendo che questo ti aiuta quanto masticare un chewing-gum per risolvere un’equazione algebrica.
I veri problemi della vita saranno sicuramente cose che non t’erano mai passate per la mente.
Di quelle che ti pigliano di sorpresa alle quattro di un pigro martedì pomeriggio.
Fa’ una cosa, ogni giorno che sei spaventato.
Canta.
Non esser crudele col cuore degli altri.
Non tollerare la gente che è crudele col tuo.
Lavati i denti.
Non perder tempo con l’invidia.
A volte sei in testa.
A volte resti indietro.
La corsa è lunga e alla fine è solo con te stesso.
Ricorda i complimenti che ricevi, scordati gli insulti.
Se ci riesci veramente dimmi come si fa.
Conserva tutte le vecchie lettere d’amore, butta i vecchi estratti conto.
Rilassati.
Non sentirti in colpa se non sai cosa vuoi fare della tua vita.
Le persone più interessanti che conosco, a ventidue anni non sapevano che fare della loro vita.
I quarantenni più interessanti che conosco ancora non lo sanno.
Prendi molto calcio.
Sii gentile con le tue ginocchia, quando saranno partite ti mancheranno.
Forse ti sposerai o forse no.
Forse avrai figli o forse no.
Forse divorzierai a quarant’anni.
Forse ballerai con lei al settantacinquesimo anniversario di matrimonio.
Comunque vada, non congratularti troppo con te stesso, ma non rimproverarti neanche.
Le tue scelte sono scommesse.
Come quelle di chiunque altro.
Goditi il tuo corpo.
Usalo in tutti i modi che puoi.
Senza paura e senza temere quel che pensa la gente.
È il più grande strumento che potrai mai avere.
Balla.
Anche se il solo posto che hai per farlo è il tuo soggiorno.
Leggi le istruzioni, anche se poi non le seguirai.
Non leggere le riviste di bellezza.
Ti faranno solo sentire orrendo.
Cerca di conoscere i tuoi genitori.
Non puoi sapere quando se ne andranno per sempre.
Tratta bene i tuoi fratelli.
Sono il migliore legame con il passato e quelli che più probabilmente avranno cura di te in futuro.
Renditi conto che gli amici vanno e vengono.
Ma alcuni, i più preziosi, rimarranno.
Datti da fare per colmare le distanze geografiche e di stili di vita, perché più diventi vecchio, più hai bisogno delle persone che conoscevi da giovane.
Vivi a New York per un po’, ma lasciala prima che ti indurisca.
Vivi anche in California per un po’, ma lasciala prima che ti rammollisca.
Non fare pasticci coi capelli, se no quando avrai quarant’anni sembreranno di un ottantacinquenne.
Sii cauto nell’accettare consigli, ma sii paziente con chi li dispensa.
I consigli sono una forma di nostalgia. Dispensarli è un modo di ripescare il passato dal dimenticatoio, ripulirlo, passare la vernice sulle parti più brutte e riciclarlo per più di quel che valga.
Ma accetta il consiglio… per questa volta

I Master e gli alti costi di formazione

Qualche giorno fa ho ricevuto una newsletter che annuncia la presentazione di un MBA (Master of  Business Administration) serale, della durata di 20 mesi. I costi indicati sono:

  • 26.000 Euro (per il singolo),
  • 30.000 Euro (per l’azienda).

E lo slogan di presentazione focalizza l’attenzione sulla “forte motivazione alla crescita”.

Dire che ho alzato un sopracciglio, leggendo la presentazione, è dire poco. Infatti – slogan a parte – quello che a me è balzato immediatamente all’occhio è il costo: facendo un rapidissimo calcolo (senza l’ausilio di una calcolatrice scientifica), 26.000 Euro diviso 20 mesi fa la bellezza di 1.300 Euro/mese.

E si parla di costo di investimento di formazione del singolo individuo, quindi non supportato dall’azienda (che si accollerebbe il costo della formazione del proprio dipendente, sul quale vuole investire risorse per la sua crescita professionale).

Conoscendo un po’ l’ambiente della libera professione, ascoltando colleghi e informandomi in giro, mi domando chi possa accollarsi come individuo un corso il cui costo equivale quasi al compenso medio mensile che il professionista si porta a casa (de-tassato e sulla base di una media fatta di alti e bassi che il libero mercato quotidiano genera). Inoltre mi domando chi – come libero professionista – abbia questa cifra da investire se ha anche una famiglia da mantenere.

(Questa riflessione mi fa ricordare una chiacchierata con un collega in merito alle quote associative di alcuni enti normatori, ed i costi proibitivi delle norme tecniche vendute a peso d’oro; norme che dovrebbero essere di pubblica consultazione, anche on-line senza costringerti ad andare nelle loro sedi a consultare le copie cartacee con una discreta perdita di tempo).

Invece la domanda polemica che mi sorge spontanea è: possibile che per alzare il livello di professionalità (presunto) del corso, lo si debba fare pagare così tanto, selezionando l’utenza (non necessariamente intelligente solo perchè economicamente dotata)?

Sicuramente c’è l’intenzione (più che legittima, per carità!) di fare una sorta di selezione sulla utenza; ma i pianificatori di questi programmi di formazione sono sicuri di attrarre persone realmente brillanti? Non è detto che queste figure professionali sopra la media e dotate di reale voglia di crescere e formarsi, siano in grado di sopportare un impegno economico simile.

Inoltre – a mio avviso – nell’ambito della formazione (un diritto/dovere di tutti) il costo non dovrebbe avere un rapporto di crescita esponenziale con la qualità (maggiore costo – maggiore qualità [presunta]). Presenza di relatori prestigiosi e non.

Mi sembra una visione un po’ ottusa e forzatamente esclusivista della realtà.

Vuoi formare gente veramente in gamba? Fai un test di ammissione, selezionando la gente sulla loro reale capacità e motivazione, e fai pagare il giusto, supportando con finanziamenti ad-hoc se fosse necessario.

Mi ricordo i racconti di mio padre sui ragazzotti imbevuti di Master: arrivavano un azienda – pieni di sè e di tabelle e nozioni astratte (siamo sempre lì…) – e si scontravano con la dura realtà della giungla quotidiana da affrontare, crollando miseramente davanti alla prima oggettiva difficoltà da gestire e risolvere.

Più vado avanti (e di corsi di formazione ne ho fatti tanti anche io, non lo nascondo, ma non di questo tipo ed entità economica) più mi rendo conto che la formazione sul campo, resta l’unica valida alternativa a questa presunta formazione d’elite.

Inoltre ben venga la formazione da autodidatta supportata da validi testi, facilmente reperibili sul mercato.

Coaching e Management

Il viaggio con il Coaching Lab continua e venerdì scorso è stata la volta di Patrizia Belotti, che ha tenuto un laboratorio sul sistema dei Valori applicati all’ambiente aziendale.

Avevo già avuto modo di vedere Patrizia in azione e l’avevo trovata molto brava: efficace, vivace e capace di trasmetterti la passione per il Coaching.

Questa lezione è stata una conferma della sua bravura e della sua professionalità, ed è stata anche una importante occasione di ascolto ed apprendimento di come il Management si fonde con il Coaching e come – viceversa – il Coaching può apportare una marcia in più, una performance di qualità, nel Management.

Era esattamente ciò che volevo sentire.

Infatti è molto tempo che mi interessa l’argomento del Management (Project Management e affini): quello che mi ha sempre frenato è stato l’osservare montagne di tabelle e di equazioni complesse che – se le comprendi – aumentano in modo esponenziale la tua autostima; se non le comprendi, sono un deterrente nell’affrontare e assimilare la materia.

Senza contare la personalissima opinione che ho nei confronti delle tabelle e della classificazione spinta: si finisce muovendosi secondo griglie rigidissime, inquadrando tutto in categorie molto precise, senza prendere nelle dovute considerazioni la variabile “essere umano”, difficilmente incasellabile.

Invece ascoltare da chi, come Patrizia, sul campo ha la possibilità di portare la sua esperienza pluriennale nel Coaching in una azienda quotata in borsa, fa la differenza e fornisce molti spunti di riflessione.

Mi ha anche colpito il concetto di multidisciplinarietà. Questa idea a me particolarmente cara, è stato oggetto di mie profonde riflessioni negli ultimi tempi: la mia formazione accademica, unita alle mie esperienze professionali e ai miei interessi personali (compreso il Coaching e la PNL negli ultimi anni), hanno generato non pochi dubbi sul mio passato, presente e futuro.

Spesso, nell’ambiente in cui lavoro, la multidisciplinarietà e la trasversalità della formazione sono visti come un impedimento allo sviluppo professionale e fonte di scarsa credibilità (secondo quanto da me inteso e percepito). Negli ultimi tempi ho pensato che una figura professionale “ibrida” come la mia possa avere difficoltà di ricollocazione e/o di crescita. Il concetto che ho assorbito dall’ambiente circostante è stato: specializzazione. “Fai una cosa e falla bene, sii uno specialista.”

In questo Laboratorio invece il concetto trasmesso è stato diametralmente l’opposto.

Il messaggio importante che è passato è che la formazione dei partecipanti (chi avvocato, chi fisioterapista, chi architetto, ecc. ecc.), riuniti nella stessa aula, deve essere un valore aggiunto da portare nel Coaching e/o il Coaching stesso diventa una qualità distintiva della formazione e professione attuale.

Assume importanza fondamentale la polidisciplinarietà ad evitare la auto-referenzialità, tipica di chi parla sempre dello stesso argomento (nello specifico leggasi Crescita Personale), raccontandosela all’interno di un gruppo che parla sempre degli stessi argomenti, perdendo il contatto con la quotidianità e con quello di interessante che c’è la fuori nel mondo.

Per me questo è stato un messaggio molto importante, che va ad incardinarsi in una riflessione che mi facevo qualche giorno prima e che ho postato sulla bacheca di Facebook:

Devo trovare il filo rosso che lega tutti gli interessi che coltivo sul web… Sembro polverizzata sulla rete, non monotematica, e non so se sono dispersiva oppure se inconsciamente seguo un filo rosso che non vedo a livello conscio (ma che c’è).

La risposta di uno dei miei contatti, Helga Ogliari, illuminante, è stata:

beh al massimo se proprio non trovi il filo puoi giocarti la carta “bottega del Verrocchio

La voglia e la curiosità di interesse in Arte, Architettura, Tecnologia, Coaching, …, è ripartita.

Per diletto, per passione e per arricchimento.

Il lavoro da fare ora è trovare la chiave per rendere il tutto funzionale anche alla crescita professionale, consentendo una progressione ed un miglioramento.

[L’immagine in evidenza è tratta dal sito La dolce vita – ritrae una Wunderkammer (stanza delle meraviglie), molto comune nell’alta borghesia dei secoli passati. Raccoglieva gli oggetti più disparati ed esotici raccolti dal proprietario nei suoi viaggi e rappresentanti i suoi interessi.]

“Piantala di essere te stesso!”

piantala-essere-te-stesso

 Seguo la PNL ed il Coaching dal 2007. Ho fatto (e sto facendo) tanti corsi. Ho letto tanti libri; alcuni li ho piantati a metà perchè noiosi e/o incomprensibili, o semplicemente perchè non era il momento giusto per leggerli.

Ho spaziato dai testi di PNL e Coaching, andando ad esplorare altre aree di “crescita personale” un po’ “particolari”, sconfinando nella Legge di Attrazione (portata alla conoscenza del grande pubblico con il libro “The Secret”), nella Fisica Quantistica, nel Transurfing (una variazione sul tema della Fisica Quantistica)… Avvicinandomi alla Intelligenza Emotiva di Daniel Goleman (non ancora esplorata approfonditamente).

Mi sono incuriosita nel leggere teorie difficilmente accettabili, al limite della fantascienza (meno ne parlavo con i miei amici e meglio era, per non passare per matta), ma con una loro logica intrinseca.

Tante discipline ed argomenti che non riuscivo a mettere assieme in un continuum organico. Mi dicevo: “O segui questa teoria, o segui un’altra teoria!”, non riuscendo a vedere il filo logico che le legava.

Poi un giorno, alla Feltrinelli di Corso Buenos Aires di Milano, mentre cercavo dei libri senza una meta precisa, sono stata catturata dalla presentazione di un libro dal titolo “Piantala di essere te stesso!”, di Gianfranco Damico (ed. Urra). L’ho visto esposto, l’ho guardato e incuriosita dal titolo (apparentemente in contrapposizione con quanto affermato da tanti guru della crescita personale che affermano l’importanza dell’essere se stessi) l’ho acquistato.

Iniziato a leggere subito, in treno tornando a casa, sono stata catturata dalla freschezza del linguaggio e dall’assunto di partenza: un modo molto diverso di vedere il concetto dell’essere se stessi.

Un interessante viaggio tra la PNL, la Fisica Quantistica e la Filosofia, in grado di legare queste “teorie” tra loro, capaci – tutte assieme – di cambiare il modo di vedere la propria realtà, e di diventare costruttori del proprio futuro (bella la metafora dell’assistente dell’Architetto e dell’Idraulico).

Mi è piaciuto anche l’utilizzo del linguaggio: ironico, evocativo e “italiano”. Infatti uno dei grandi pregi di questo libro è proprio il lavoro svolto, di tradurre/trasferire in un linguaggio comprensibile alla nostra cultura, concetti che altrimenti potrebbero risultare un po’ difficili (alcuni provenienti dal mondo anglosassone); inserendoli nella nostra quotidianità, incrociandoli con l’ambiente nel quale viviamo e la lingua che parliamo (ho la personale convinzione che la lingua italiana sia estremamente complessa e sfaccettata, ricca di tantissimi significati difficilmente ritrovabili in altre lingue europee).

Bellissima le considerazioni sulla favola di Pinocchio: mi hanno fatto riflettere anche sul dialogo serrato che c’è con mio padre (che considero il mio coach-stabilizzatore), che porta spesso a scontri generazionali sulla profonda diversità di vedute che abbiamo.

Un libro da leggere e da tenere a portata di mano, per riprendere qualche passo ogni tanto, e da utilizzare come base di partenza per sviluppare un viaggio di approfondimento culturale e conoscitivo, grazie alla cospicua bibliografia inserita in coda al testo.

Ma soprattutto un punto di partenza per un viaggio dentro se stessi e per se stessi, ascoltando noi stessi e la nostra grande capacità di catturare la Filosofia delle cose (spesso sottovalutata e sepolta sotto le solite sovrastrutture mentali).

[Nell’immagine di copertina Gianfranco Damico e Andrea Bettini in “Da lunedì inizio” – http://www.andreabettini.me/da-lunedi-inizio-gianfranco-damico/]

A confronto con il Milton Model

Terzo appuntamento del Coaching Lab di Extraordinary: oggi è stata la volta di Federica Tagliati, psicologa e ipnoterapeuta “ericksoniana”.

Bravissima e molto comunicativa, ci ha trasmesso il suo amore e la sua passione per Milton Erickson e per la sua metodica.

Sin dal Practioner e dal Master Practioner di PNL (Programmazione Neuro Linguistica) ero rimasta incantata dai filmati su Milton Erickson (nei quali si coglieva la sua misteriosa facilità nell’interagire con i pazienti) e – contemporaneamente – sconfortata dal cercare di capire il “Milton Model“, per me quasi incomprensibile. Forse un metodo troppo intuitivo e ricco di suggestioni, per cercare di incasellarlo in uno schema ben preciso (mi ricordo ancora il foglio in A3 che mi diedero al Practioner con – da un lato – il metodo di Virginia Satir e – dall’altro – quello di Milton Erickson: tanto il primo era chiaro, quanto il secondo era per me imperscrutabile).

Oggi invece abbiamo lavorato tantissimo, mettendo a prova noi stessi e confrontandoci con le nostre emozioni.

Non è stata una passeggiata, ma l’apprendimento e l’arricchimento sono stati notevoli.

Grazie a Federica e alla sua passione, ho aggiunto un altro piccolo pezzo al puzzle della Crescita Personale, sperimentando emozioni e la loro localizzazione nel fisico (avendo una piccola conferma di alcune prime riflessioni fatte qualche mese fa): abbiamo sperimentato dove è possibile “tracciare” l’emozione che stiamo vivendo e comunicando attraverso le parole (i toni di voce). Grazie anche ai suggerimenti di Fausto Madaschi, anche lui tra gli allievi del corso.

Ho imparato ad ascoltare ed intuire il ritmo del respiro, comprendendone appieno l’importanza. Tra le altre cose ho conosciuto la Respirazione Tattica, scoprendo che è in grado di regolarizzare il (mio) battito cardiaco; di derivazione militare, si sviluppa nel seguente modo: 4 secondi inspiro, 4 secondi apnea, 4 secondi espiro, 4 secondi apnea. All’inizio ho avuto una impennata del battito cardiaco, poi – come per magia – si è stabilizzato, rallentando, contribuendo a infondere uno stato di calma.

Ho apprezzato la rilevanza che l’intonazione della voce ricopre nella comprensione del nostro interlocutore e dei suoi stati d’animo, al di là delle parole utilizzate, dicendo molto di più di quanto i vocaboli da noi usati sono in grado di descrivere.

Prosegue così un affascinante viaggio, imparando a scandagliare e conoscere sempre più la mente e l’animo umano, alla scoperta di nuove risorse (a volte ignote), da angolazioni sempre diverse.

E la passione e la voglia di approfondire cresce sempre più.

[Immagine in evidenza tratta dal web]

Ma io chi sono?

“…Aspettate, ma non esiste qualcosa di cui non si può dubitare in nessun caso? Se dubito di tutto, almeno non posso dubitare che io dubiti e che sia io stesso a dubitare. E se quando dubito so che io dubito, ne consegue che devo pensare che io dubiti. Ma allora esiste una certezza indubitabile, un primo principio che precede tutto: Cogito ergo sum…”

[Richard David Precht, “Ma io, chi sono? (ed eventualmente, quanto sono?)”]

Vuoto o spazio disponibile?

A breve si sposa una mia carissima amica che è stata una presenza costante nella mia vita degli ultimi dieci/dodici anni: abbiamo condiviso momenti difficili e momenti felici, abbiamo condiviso viaggi, esperienze e riflessioni.

Questo cambiamento bellissimo di vita a cui va incontro è – per me – una ulteriore occasione di riflessione su una serie di altri cambiamenti che stanno interessando la realtà entro la quale mi muovo: amiche che decidono di lasciare una brillante carriera per dedicarsi alla famiglia, matrimoni in crisi, conoscenti di lavoro che abbandonano una carriera ottima per andare in Africa ed adottare una bimba, società considerate solidissime e lanciatissime che stanno avendo rivoluzioni profonde, … .

Questa evoluzione della realtà da me osservata, unita a riflessioni di vita personali, contribuiscono ad alimentare una sensazione di destabilizzazione della quotidianità consolidata nel corso degli ultimi anni (zona di comfort), generando stati disagevoli di vuoto e disorientamento.

Invece, contrariamente a quanto si crede e si sperimenta, i “vuoti” che vengono a crearsi nella nostra vita non sono mancanze, bensì sono opportunità di nuove avventure e nuovi interessi.

Sono preziosi spazi disponibili che possono e devono essere riempiti con nuove attività e nuovi progetti (come quando facciamo spazio nelle nostre case privandoci di oggetti ed indumenti – a cui eravamo affezionati – che hanno fatto il loro tempo, o semplicemente non usiamo più).

I momenti di disorientamento sono attimi che richiedono la nostra massima attenzione, e tutto il nostro ascolto, perchè – diradata la nebbia dello smarrimento – sono occasione di emersione di nuove idee e nuovi corsi di vita che rispondo alla domanda: “E adesso cosa faccio?”

E tutto ciò non deve far temere la perdita di ciò che è stato sino ad oggi, perché – nel percorso di crescita – le esperienze costruttive del passato vanno ad arricchire le sfaccettature della vita come la superficie di una pietra preziosa (dalla composizione perfetta e priva di impurità) finemente tagliata ed intagliata, in grado di catturare e riflettere sempre più magnificamente la luce.

Priorità e organizzazione

Ho ascoltato di recente uno degli audiolibri di Claudio Belotti, “Impara a gestire meglio il tuo tempo per essere più felice“, e ho trovato strumenti utili e spunti di riflessione su quanto vedo accadere nell’ambiente lavorativo.

Infatti sembra che stabilire un elenco delle priorità (una sorta di “to do list”) sia la cosa più difficile dell’universo.

Comprendo che possa essere un compito che, una volta stabilito, incontri delle difficoltà nell’essere eseguito (a causa di urgenze che arrivano improvvise e che passano davanti all’elenco delle precedenze come una sorta di “Codice Rosso” da Pronto Soccorso), ma vedere che lavori che hanno una effettiva urgenza di chiusura ed evasione, vengano sistematicamente rimandati e finiscano in fondo alla lista, mi lascia ogni volta sconcertata.

Analizzando dall’esterno alcune situazioni che mi trovo a sperimentare, ho l’impressione che possano essere tre i motivi sostanziali di tale mancanza:

  1. incapacità gestionale/mancanza di focus;
  2. disinteresse per l’argomento;
  3. paura.

L’incapacità gestionale è l’incapacità organizzativa: non si è in grado di stabilire priorità. La mancanza di focus è strettamente connessa: se non si ha chiaro in testa quali sono le cose più importanti da fare (una priorità di obiettivi di importanza via-via decrescente), non si è focalizzati su quali sono le cose che devono essere fatte prima (compiti che una volta fatti sgombrerebbero il campo e offrirebbero un ulteriore spazio di manovra/operativo e di tempi per potere svolgere i compiti successivi).

L’ordine delle priorità non è soggetto a leggi universali incontrovertibili: può essere stabilito un ordine sulla base di tempistiche di consegna, di impegno di energie, di importanza, di antipatia (personalmente cerco di fare prima le cose più rognose, in modo da togliere di mezzo gli ostacoli più difficili, e lasciare poi il campo ad impegni più piacevoli e divertenti). Possono essere tanti i metodi di classificazione e vanno fatti, altrimenti si viene travolti dalla corrente e si lavora in modo discontinuo, estremamente frammentato ed estremamente stancante.

Una seconda possibilità di disorganizzazione è il disinteresse: quel determinato compito (o compiti) non incontra il proprio interesse, quindi lo si rimanda all’infinito. Nel qual caso forse conviene valutare seriamente se, la prossima volta, conviene farsi carico di quella incombenza di cui non si è interessati. Se la risposta è affermativa (per svariati motivi), va fatto uno sforzo per inserirla nell’elenco, magari come compito “rognoso” e quindi da evadere in primissima battuta.

La paura è forse un elemento scarsamente considerato ma molto presente (a livello profondo): la paura di dire di no.

Soddisfare le richieste che arrivano in tempo reale diventa prioritario, desiderando far vedere alla controparte la propria rapidità di risposta (volendo trasmettere un messaggio di efficienza) e la propria disponibilità.

Purtroppo questo comporta, oltre alla discontinuità e frammentazione, anche un peggiornamento della qualità lavorativa in termini di tempo impiegato, a scapito della qualità della vita.

Avendo sperimentato personalmente quanto sia caotico e sfiancante lavorare seguendo le esigenze altrui ed il proprio lato emotivo, ho iniziato ad applicare gli ordini di priorità, ignorando l’ansia che mi prendeva del “volere risolvere tutto e subito, accontentando tutti” (il solito indice referenziale esterno, su cui sto lavorando) e stabilendo delle precise gerarchie.

Questo non vuol dire che se si presenta una emergenza non viene considerata perchè deve essere seguito l’ordine draconiano stabilito in precedenza; deve essere valutata nella sua giusta misura (in tempi possibilmente brevi) ed – eventualmente – affrontata.

Dire di no non è una tragedia. Magari la controparte non ci fa caso e/o paradossalmente apprezza il tuo operato (consiglio un libro molto bello di William Ury, “Il No positivo“, edito da Tea Pratica).

Mi rendo perfettamente conto che per chi ha sempre lavorato seguendo la corrente, o le sue pulsioni emotive, cambiare strategia non è facile.

Ma è un salto di qualità che va fatto: si guadagna in qualità lavorativa, in qualità del lavoro prodotto ed in qualità di vita.

Magari, come dice Claudio Belotti (giustamente secondo me), si lavora in maniera più efficace, trovando anche più tempo da dedicare a se stessi.

Provare non costa nulla. All’inizio si fa un po’ di fatica (come per tutte le nuove abitudini che si devono acquisire), ma i vantaggi sulla lunga scadenza ripagano della fatica iniziale.

Una giornata istruttiva e costruttiva (2° lezione di Coaching Lab)

Ieri ho partecipato alla seconda giornata del Coaching Lab di Extraordinary.

L’ospite della giornata è stata Connie Schottky (tradotta dalla coach Cristina), olandese di nascita, cittadina del mondo di adozione e, tra le sue specializzazioni, anche trainer di Anthony Robbins (non mi dilungo in cenni biografici, ampiamente illustrati nel suo sito).

Non avevo mai visto Connie in azione, ma tutti me ne avevano parlato bene e mi avevano anticipato che è molto pratica.

Sono state confermate le aspettative che mi ero creata, anzi sono state anche ampiamente superate.

Donna carismatica, che “riempie lo spazio”, dallo sguardo vivacissimo, ha spiegato la “Psicologia dei 6 Bisogni” di Anthony Robbins.

Ci ha fatto lavorare molto, moltissimo.

Ci ha fatto scrivere la nostra graduatoria dei bisogni e mi sono accorta che mentre si proseguiva nella giornata, nella mia mente avveniva una modifica nell’ordine dei bisogni che avevo inizialmente scritto. E credo che non sia finita qui: fra qualche giorno li riprenderò in mano ed esaminerò se è avvenuto un ulteriore modifica nella scala dei bisogni (come credo).

Mi sono resa conto (e ho avuto modo di confrontarmi anche con Matteo, Lisa e Carina Paula, al termine della giornata nei consueti 10 minuti di “brainstorming”) che pare un metodo di superficie, ma si tratta in realtà di una metodica che va molto in profondità. Incominci a scandagliare la tua anima, il tuo cuore, e pian-piano scopri cosa è realmente importante per te, quali sono i tuoi bisogni primari che ti spingono a fare le cose.

Ma è anche un sistema che, opportunamente utlizzato, è validissimo nell’utilizzo immediato nella vita di tutti i giorni, per comprendere gli altri e le loro modalità operative in tutti gli ambienti nei quali si muovono e vivono.

Ora che sto leggendo anche il suo libro “Finding your forever love”, in lingua inglese ma comprensibilissimo (unendo quindi anche l’occasione per rispolverare il mio inglese un po’ arrugginito), mi sembra di essere immersa in una sessione di life coaching dove il “coachee” sono io.

Da questa giornata e dal libro, sto imparando ancora qualcosa di nuovo di me stessa. Sto definendo che cosa è importante per me, cosa mi motiva e quali sono i miei bisogni, le mie necessità che mi spingono a compiere determinate azioni e ad attuare comportamenti ed automatismi in varie situazioni.

Per me è molto importante sperimentare in prima persona le tecniche, per comprenderle appieno e viverle in modo il più completo possibile, prima di sperimentarle sugli altri.

Una continua scoperta di se stessi e degli altri. Un viaggio affascinante.

Monologo sulla vita – The Big Kahuna

Dal film The Big Kahuna (che non ricordo più e che andrò a rivedermi), questo meraviglioso monologo sulla vita.

Da ascoltare ogni volta che uno fa fatica ad affrontare la giornata e da ascoltare alla sera dopo una giornata che magari non è stata come vorremmo che fosse stata…

Intercettato attraverso la pagina di facebook di “We all are extraordinary”, dove Claudio Belotti consigliava un sito ad un componente del gruppo, sono andata a recuperarlo su You Tube e ho deciso di condividerlo sul mio blog.