Negli ultimi tre mesi abbiamo trascorso gran parte del nostro tempo tra le mura domestiche.
Ed è molto probabile che ne trascorreremo molto altro ancora (di tempo), assorbendo gradualmente e sempre più (spontaneamente o meno) nuove modalità di vita e lavoro.

Una “nuova normalità” (con buona pace di coloro che non apprezzano questo modo di definire questa quotidianità post-lockdown nella quale ci stiamo inoltrando) che sta mettendo in difficoltà molti di noi (a vari livelli, a seconda delle condizioni di vivibilità) che ci sta testando sia da un punto di vista fisico (la mobilità diversa), sia da un punto di vista psicologico.
Abitudini, agende, orari, movimenti e ritmi… tutto nuovo (o quasi).
Parlando con dei colleghi, ho ascoltato di diverse reazioni.
C’è chi ha deciso di affittare lo studio e lavorare (definitivamente) da casa.
Chi sta assaporando il lavoro da casa, forte di una disciplina che fa sì che rispetti orari che non lo portino ad abbruttirsi davanti al computer, migrando dal divano al letto, e viceversa.
E c’è chi – come me – dopo l’entusiasmo iniziale, fatica ad imporsi una disciplina (sulla quale sta lavorando).
Ma questo non è un post sulla organizzazione del tempo.
Sono la persona meno indicata per scrivere sul tema (a meno che non condivida un elenco di cose da non fare).
Questa è una riflessione sugli spazi che abbiamo abitato così tanto negli ultimi mesi (è probabile che molti di noi abbiano trascorso molte più ore in casa in queste settimane, che negli ultimi cinque anni…).
Spazi abitati sui quali in molti hanno scritto e parlato.
Evidenziando che la casa – oggi – ha assunto improvvisamente e realmente (anche) la funzione di luogo di lavoro, dopo che se ne teorizzava da tempo, restando sempre nell’ambito di pochi esempi “di nicchia”.
Vita personale e vita professionale, raccolte all’interno degli stessi metri quadri.
In una situazione forzata che forse ha distorto (nel bene e nel male) la percezione del tutto.
E nei periodi più difficili ho tenuto sempre “a portata di click” la videointervista ad Astrogiulia (al secolo Giulia Bassani) Coronavirus: stare a casa è un po’ come stare nello spazio. Parola di Astrogiulia (una piccola ancora di salvezza per vedere le cose da un lato diverso e più costruttivo)
Un video che – di recente e a scoppio ritardato – mi ha acceso una lampadina e mi ha fatto mettere insieme argomenti dei quali mi interesso da tempo ma mai – fino ad oggi – approfonditamente come vorrei.
Tre argomenti che riguardano gli spazi che usiamo, non da un punto di vista stilistico e di design ma da un punto di vista di fruizione dell’utente.
Che tanta familiarità hanno con il tema (quasi una missione che ho e mi muove) “progettare per gli altri“.
Illuminotecnica – Teoria del Colore – Architettura Comportamentale.

L’Illuminotecnica, una scienza che mi affascina da tempo e che non riesco ad afferrare totalmente in tutte le sue sfaccettature.
Ma che mi è particolarmente cara per la sua importanza sull’uomo.
Infatti è una disciplina che non mi affascina per il suo saper generare effetti scenografici (comunque stupefacenti); bensì mi affascina il suo influire (nel bene e nel male) sul benessere e sulla quotidianità dell’essere umano.
Un tema che ho sentito particolarmente nei giorni nei quali non uscivo di casa e che mi ha portato ad osservare con occhi nuovi l’illuminazione (artificiale e naturale) in casa.

La Teoria del Colore (è recente la mia associazione al Gruppo del Colore dopo un corso che mi ha fatto scoprire un mondo nuovo), altra disciplina che leggo in relazione al benessere e alla quotidianità dell’essere umano.
Una scienza dove il colore non è solo un elemento decorativo ma anche – e soprattutto – una componente in grado di influire sullo stato psicologico dell’individuo.
(Ricorderò sempre la mia riflessione – in tempi non sospetti, tanti anni fa – osservando un vecchio ufficio che aveva pareti grigie, arredo metallico e luci al neon; ricordo che pensai: “Capisco perché chi lavora qui dentro è particolarmente scontroso…!”)

Ed infine l’Architettura Comportamentale, scoperta grazie ad un corso frequentato nel 2018 a tema “Architettura e Psicologia”. Una esperienza che mi entusiasmò e mi fece esultare nel vedere finalmente delle contaminazioni “dichiaratamente chiare” tra ambiti non così lontani fra loro (contaminazioni che possono apparire scontate, ma in realtà non sono poi così banali).
Una disciplina – anche qui – che mette “insieme e in chiaro” due ambiti di studio che collaborano per rendere lo spazio più “amichevole” (user friendly, se vogliamo usare un anglicismo) e fruibile nella sua quotidianità.
Illuminotecnica – Teoria del Colore – Architettura Comportamentale
Tre aspetti che credo diventare ancor più importanti nella nostra nuova quotidianità (insieme alla Ergonomia, altra scienza legata alla fruibilità fisica degli oggetti).
Nei nostri ambienti domestici.
Che sono stati (nelle scorse settimane) luoghi nei quali abbiamo vissuto e lavorato con maggiore intensità.
E che forse abbiamo visto e vissuto – per la prima volta – da una diversa angolazione.
Scoprendone anche forse aspetti che non conoscevamo.

[Immagine di copertina di Michael Browning su Unsplash]