Siamo tutti generali

Falegname

Siamo tutti generali” ha detto un collega geologo un venerdì sera, in una riflessione tipica da chiusura di settimana lavorativa.

È vero, condivido: siamo tutti generali.

Siamo tutti manager, nelle più disparate declinazioni: social, project, marketing, community, office, e chi più ne ha più ne metta.

Siamo tutti coach (nelle più disparate declinazioni: life, executive, project, e chi più ne ha più ne metta…).

Siamo tutti filosofi, facilitatori, sociologi, e lo sa Dio cos’altro.

Siamo tutti a caccia di titoli (Prof., Ing., Arch., Comm., Cav., Dott., e chi più ne ha più ne metta…).

Siamo tutti impegnati a pluridecorarci di master costosissimi e – spesso – perfettamente inutili. Per la gioia di chi li organizza.

Siamo tutti impegnati a vendere parole.

Tutti vendiamo servizi…

E non mi torna.

Continua a non tornarmi.

E non mi torna sempre di più.

Questo disagio lo avverto già da un po’.

Osservando internet, leggendo, parlando con altra gente, lavorando, mi aggiro da un po’ – smarrita – con una domanda: “Sì, va bene, ma chi fa?

Sì, va bene, ma chi realizza?

Chi costruisce qualcosa di concreto?

E mi pongo la domanda: sì, ma io che faccio? Come li misuro i miei risultati?

Tempo fa una persona che stimo mi ha chiesto (e ‘sta domanda continua a girarmi nella testa): “Ma tu cosa fai?

Bene, sono rimasta spiazzata perché non sono riuscita a dare una risposta che avesse un senso per me e per il mio retrocranio. Anche se faccio un mestiere che è già più identificabile di tanti altri, seppur la mia figura professionale (ossia il “professionista Barbara Olivieri”) sia già pesantemente ibridata da molto tempo prima che la parola “trasversalità” diventasse il mantra/tormentone degli ultimi tempi.

Non so, forse essendo una migrante digitale, sono a cavallo di un passaggio epocale del quale faccio fatica a vedere l’orizzonte a lunga gittata.

Oppure, forse, c’è un oggettivo problema di assoluta mancanza di concretezza. Di materialità.

E se è così, penso si sia prossimi ad un pesante aggiustamento.

Spero salutare.

Perché non si può continuare a vendere virtualità, immaterialità, inconsistenza.

Qualcuno deve costruire case.

Qualcuno deve realizzare pentole.

Qualcuno deve realizzare scarpe.

Qualcuno deve realizzare vestiti.

Qualcuno deve produrre cibo…

Le cose devono essere realizzate fisicamente.

Mica viviamo di aria e di irrealtà.

E mi torna in mente una immagine che mi ha raccontato mio papà: di recente (per questioni di lavoro) ha fatto un salto al Salone del Mobile. È rimasto colpito da uno spazio dove c’era una dimostrazione di lavorazione del legno: ragazzi che lavoravano i pezzi di legno, trasformandoli in oggetti. C’era una folla impressionante di giovani ad assistere e a prendere informazioni.

È un segnale.

Un buon segnale (secondo me).

Sì, perché io sono fondamentalmente concreta e leggere di questo mi fa ben sperare. In cosa non so. Ma mi fa ben sperare.

Perché amiamo tutti leggere, amiamo tutti parlare, amiamo tutti spiegare, amiamo tutti scrivere… E tutto questo è molto bello.

Però le cose, gli oggetti, poi devono essere fatti… Secondo me…

Forse è per questo che amo molto i cantieri

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