Questa mattina, mentre stavo andando a prendere il treno per andare a lavorare, sono passata vicino ad un gruppo di uomini che si stavano accingendo a montare dei ponteggi.
Sono stata colpita da uno di loro in particolare: abbastanza minuto (ma scattante), capelli lunghi grigi (raccolti in una coda), barba ed orecchino con brillantino al lobo. Tenuta: canottiera, pantaloni da lavoro e scarpe di cantiere. Dissertava allegramente con un collega-colosso, in bermuda, capace – credo – di sollevare diversi chili di materiale senza fare una piega.
Di cantieri ne ho visti (e frequentati) parecchi come Direzione Lavori e Coordinamento Sicurezza.
L’ultimo – in ordine di tempo – è stato (per me) il cantiere dei record: un mese scarso di lavori per allestire una struttura ricettiva di design.
Per favorire l’impresa, e portarci avanti coi lavori (visti i tempi drammaticamente ristretti), mi sono fatta tutti i tracciamenti degli impianti elettrici da sola (disegnando sui muri e preparando tutti i disegni possibili di supporto), sono andata in cantiere un giorno sì e l’altro pure. E sono rimasta fino all’ultimo, il giorno prima dell’apertura della struttura, per dare una mano – come potevo – agli impiantisti. Andando via alle otto di sera, insieme a loro.
Questo ha colpito l’impresa che ha riconosciuto la mia disponibilità, proattività e reattività.
Ripensando ad un precedente cantiere (che si è preso due anni della mia vita e che ho vissuto con la massima intensità, credendoci fino in fondo), mi sono domandata perchè – dopo i timori dei primi tempi – amo questi luoghi: ambienti maschili (e anche un po’ maschilisti per autonomasia), a volte difficili e comunque impegnativi (perchè sei sempre sotto esame da parte di muratori, carpentieri, impiantisti che ne sanno molto più di te, che arrivi lì bello-bello a fare la Direzione Lavori).
Amo i cantieri perchè sono luoghi dove vedi crescere qualcosa. Dove tutte le menate mentali vengono sospese a favore della risoluzione oggettiva e concreta di problemi. Dove impari, prendendo anche delle sonore facciate, la differenza sostanziale che c’è tra la progettazione a tavolino e la realizzazione in sito. Dove ci sono ruoli ben definiti e dove i meriti ti vengono riconosciuti sul campo, in base alle tue effettive capacità (ecco perchè spedirei gli azzimati manager a fare un po’ di sano training in mezzo al caldo/freddo, fango e polvere). Dove è bene che tu riconosca i tuoi limiti davanti a chi ha molta più esperienza di te (e se non riconosci i tuoi limiti da solo, c’è chi ci pensa per te).
Secondo me il cantiere è una scuola di vita. Un luogo dove impari, diventi risolutivo e vai al sodo.
Una esperienza che tutti quelli che fanno un certo tipo di mestiere (uomini e donne) dovrebbero fare.
Immagina tratta dal sito http://www.polizialocale.com
2 pensieri riguardo “Il cantiere: una scuola di vita”