Non so se capita anche a voi, di prendere consapevolezza (finalmente…) di qualcosa dopo averne letto tanto sui libri e nelle riviste del settore.
A cosa mi riferisco?
Mi riferisco a quelle che chiamo “rotture di schema” (o anche – più propriamente – “interruzioni di schema”) e ai loro benefici.
“Interruzione di schema” è una definizione che ho conosciuto e appreso diversi anni fa in ambito PNL e coaching. E via-via è diventato un termine che ho usato sempre più per identificare quelle azioni introdotte volontariamente (anche in autonomia) per dare una sterzata e spostare il focus (o il punto di vista) di situazioni che si arrotolano ed aggrovigliano su se stesse e mi impediscono di proseguire.
E la mia recente ed inaspettata “interruzione di schema” è stata la visitata di alcune mostre durante lo scorso weekend (lungo). Durante il quale ne ho concentrato un numero discreto in un breve lasso di tempo.

Di solito prediligo visite culturali ad intervalli di tempo più ampi, per poterne assaporare e goderne i “frutti” anche a distanza di giorni. Ma questa volta – complice una certa fatica intellettiva di cui andrò a raccontare a breve – mi sono sottoposta ad una dose intensiva di “acculturamento”.
Perché questo?
Perché nei giorni scorsi (complice le festività) mi ero prefissata di lavorare a tempo pieno sulla preparazione di alcuni speech ed educational dedicati a prossime iniziative formative del Toastmasters.
Invece mi sono resa conto che più ci lavoravo e peggiore era la resa.
Più mi impegnavo e più mi arenavo.
Distratta e confusa, mi rendevo conto che stavo alimentando un involontario rigetto a scapito della progettazione di un prodotto di qualità.
Questa fatica intellettuale è coincisa – casualmente – con una visita pianificata da tempo con WAAM Tours ad uno spazio espositivo: il Labirinto di Pomodoro (ospitato all’interno della sede Fendi a Milano, in zona Tortona).
La visita fatta il giovedì sera (alla vigilia del weekend della Epifania) è stata una bellissima sorpresa (qui uno dei numerosi articoli sull’argomento: Il sottosuolo di Fendi. Nell’ex Fondazione Pomodoro, a Milano) ed è stato anche un momento immersivo. Dove – per quanto mi riguarda – lo stupore l’ha fatta da padrone, facendomi dimenticare pensieri e incombenze varie.

Portandomi fisicamente all’interno di uno spazio onirico e a-temporale, che sospende tempo e spazio.
Facendomi percorrere una successione di ambienti che concentrano in un solo spazio ed in un solo momento, suggestioni ed ispirazioni provenienti dai quattro angoli del tempo e della storia dell’uomo. Senza indentificarcisi in modo univoco.
E l’effetto visita si è protratto ben oltre il momento della iniziativa.
Lasciando(mi), consapevolmente o meno, una traccia anche nella giornata successiva, quando (davanti all’ennesima “crisi di rigetto”) ho deciso di continuare a distrarmi.
Di continuare con questa interruzione di schema.
Approfittandone per visitare gli spazi della Triennale ed, in articolare, la mostra dedicata ad Antonio Marras (ma non solo).

Ed in quella occasione mi sono ritrovata a fare alcune ulteriori considerazioni nate da ciò che stavo vedendo (e visitando).
Percorrendo la mostra su Antonio Marras mi sono accorta che – a parte un pannello all’ingresso, che raccontava brevemente il motivo della mostra – lo spazio ospitava oggetti, disegni, installazioni senza nessuna spiegazione.
Come se l’interpretazione e l’interazione tra visitatore e autore fossero lasciate alla libertà assoluta di esperienza di ognuno.
Una cosa (per me) molto interessante.
Che mi ha consentito di vivere e percepire “l’insieme” in modo insolito.
Senza contagio didascalico.
Facendomi oscillare tra divertimento, curiosità, smarrimento in alcuni dettagli, emozioni…
Stimolando la curiosità e la creatività.
In modo “laterale” e non così codificabile.
Un modo apparentemente incomprensibile da un punto di vista formativo manageriale.
Ma invece molto utile per sperimentare come una stimolo che arriva da un ambiente così lontano (professionalmente) dal tuo, può impiantarti un piccolo seme (producendo un piccolo insight) che può generare quello che gli psicologi chiamano l’Effetto a-ha (l’espressione tipica che usiamo quando troviamo la soluzione del problema).
Condizione fondamentale è però quella di sospendere il giudizio.
Cercando di muoversi al di fuori dei propri schemi sicuri.
Superando il disagio (e l’imbarazzo) iniziale del trovarsi davanti a qualcosa di così diverso.
La seconda considerazione è nata visitando la mostra “W. Women design”.
Percorrendo lo spazio “invaso” da oggetti prodotti da designer, grafiche e creative, ho pensato una cosa: “Sto sbagliando approccio. Devo vedere la cosa da un altro lato.”
Inquinata (io) da una categorizzazione femminile (creata – ahimè – anche delle stesse donne, come ho scritto qualche tempo fa su Facebook, in merito alla “leadership” e ad altri argomenti), ho perso di vista cose silenti e ben più fondamentali (dinamiche di percezione, neurologia, processi creativi,… ) che vanno oltre qualsiasi classificazione.
Ragionamenti inaspettati, arrivati facendo e vedendo altro.
Ragionamenti che si sono intersecati e contaminati con argomenti sui quali sto ragionando e che si sono rivelati utili.
Stimoli e spunti laterali.
Link utili:
- Fondazione Pomodoro – http://www.fondazionearnaldopomodoro.it/
- Triennale di Milano – http://www.triennale.org/
Un libro che ho acquistato di recente (ma che devo ancora leggere): “L’arte per il management. Un nuovo modello d’incontro basato sullo storytelling.”, di Viola Giacometti e Sara Mazzocchi – Edizioni Franco Angeli
Gallery da cui ho tratto le foto per questo post (dal mio account Flickr):