Non amo particolarmente LinkedIn. Lo trovo piuttosto noioso.
Però, avendo un profilo aperto e semi-abbandonato da un po’ di tempo, mi sono messa d’impegno e mi sono letta il libro di Luca Conti.
Ben illustrato, è utile per chi si avvicina per la prima volta a questo social network destinato al business: è diviso per sezioni e ti accompagna passo-passo nella creazione del profilo e nella sua implementazione e gestione. Ha inoltre una seconda parte dedicata ai profili aziendali, alla spiegazione del profilo Premium, all’utilizzo per cercare candidati e cercare lavoro, ecc. ecc..
Però, nonostante il buon lavoro dell’autore abbia ri-acceso la mia attenzione, su alcune questioni sono rimasta perplessa.
Le elenco di seguito, così come le ho incontrare procedendo nella lettura.
I gruppi: ricordo benissimo perché questo social network ha iniziato a stancarmi. Partecipavo a delle discussioni, ma dopo un po’ leggere i commenti e le dissertazioni simil-dotte, infinite e sfiancanti, mi hanno fatto passare la voglia di intervenire ed interagire.
E mentre leggevo come gestire il networking all’interno dei gruppi, mi è sorta una domanda: “Ma i super-manager passano il tempo su LinkedIn a discutere nei gruppi, gettando serenamente il proprio tempo dalla finestra?… Oppure hanno così tanto tempo a disposizione da poter dialogare su Twitter?…”
Numero di contatti: in merito alla estensione della rete, viene asserito – neanche in modo così velato – che avere una media di 300 contatti è una cosa miserrima e che bastano 3 settimane per arrivarci…
Con buona pace del famoso numero di Dunbar… (Ed io – per la cronaca – ho 280 contatti, raccolti in due anni circa…).
Vengono così suggeriti alcuni sistemi per incrementare la propria rete: per come sono fatta io (che ho una crescita lenta che sottopongo a costante controllo) li ho trovati dallo stile un po’ competitivo, “pushy” e leggermente ansiogeno. Uno stile che mi ha fatto tornare in mente un altro testo che mi sono vista passare davanti e che recava nel titolo la parola “ipercompetitività”… una keyword (inevitabile) che mi fa scappare a gambe levate….
Dal mio punto di vista una sorta di innalzamento dei livelli di testosterone di “rampantiana” memoria…
E mi sono posta un’altra domanda: ma se io sono agli inizi, o sono uno studente, qualcuno mi spiega oggettivamente come faccio a mettere assieme 300 contatti in un battibaleno, avendo come priorità la fiducia e la solidità del contatto (che incide sulla reputazione)?
Le segnalazioni: a me non passerebbe mai per la testa di chiedere una referenza a qualcuno da poter scrivere sul mio profilo. Lo so, è una mia miopia.
O nasce spontaneamente, oppure mi suona tanto di mercato delle menzioni d’onore… (e vedo alcuni [non tutti] profili le cui numerose segnalazioni mi fanno pensare facenti parte di un mercato [io dò una cosa a te, tu dai una cosa a me] che non incide nell’innalzamento della reputazione, bensì il contrario…)
Dove sta il “purismo” tanto perorato sull’uso cautelativo e corretto di questo “social business”?
E nel mentre procedo nella lettura del testo, mi capita di leggere questo articolo: LinkedIn si fa più social e scopre le menzioni.
Sulle nuova strategia delle “menzioni” (simili ai tag di Facebook e di Google) mi sorge spontanea una terza domanda: come mai questa scelta? Come mai questo cambio di strategia ibridato con altri colossi del web? (Visto che LinkedIn è sempre stato proposto come il social per fare business…)
Comunque, dopo una prima ampia parte di spiegazione dedicata alla creazione del curriculum/profilo completo (e su questo ti viene comunque in aiuto LinkedIn stesso, che ti guida passo-passo nel completamento della tua pagina), il libro passa ad una seconda fase dove spiega (in modo abbastanza dettagliato) le molte funzioni, applicazioni e altro che il “social business” mette a disposizione.
Qui, almeno per me, è stato il momento di prendere appunti. Infatti mi sono resa conto che molte cose erano a me totalmente sconosciute.
Interessanti gli spunti sulle Applicazioni.
Un esempio: Reading List di Amazon. Per me – che leggo tanto e condivido le riflessioni che scaturiscono dalla lettura dei libri – poteva essere una utile applicazione da condividere sul profilo (visto che ho un account su Amazon). Ma purtroppo, con i recenti aggiornamenti del social network, l’applicazione non è più supportata.
Altre Applicazioni interessanti sono MyTravel (da dedicare solo ai viaggi di lavoro) ed Eventi (da dedicare agli eventi di tipo lavorativo).
Questa parte l’ho trovata già più confacente ad un discorso di tipo manageriale (così come le Domande, simili alla medesima funzione di Yahoo): mantieni vivo il tuo profilo, e non perdi tempo in discussioni (a volte sterili ed inutili) all’interno di gruppi dove i vari soggetti coinvolti fanno a gara a chi scrive cose più intelligenti.
Comunque il libro ha sortito il suo effetto: progredendo, dopo una partenza scettica e – a tratti – fastidiosa, ho iniziato a dedicare a LinkedIn un po’ più di attenzione. Per lo meno sto tentando di farlo.
Ed il cimentarsi seriamente in questa impresa richiede tempo e testa. Soprattutto un cambio di mindset non indifferente: LinkedIn richiede un atteggiamento mentale fortemente manageriale. Sostanzialmente diverso da altri social network.
Studiandolo, e continuando l’esplorazione del mondo del web (del quale continuo a considerarmi una neofita), mi è tornata in mente una affermazione che girava spesso ai tempi del curriculum cartaceo: “Cercare un lavoro è un lavoro“.
Beh… Saranno cambiati i tempi, ma questa affermazione resta – oggi più che mai – valida.
Cambiano i termini utilizzati, ma il significato di fondo resta e – anzi – diventa più complesso.
Riguardo a LinkedIn se poi, ad un esame più approfondito, ci si rende conto che non vi è affinità (come dice un amico, “ognuno ha il social network di preferenza” per capacità espressiva, struttura, uso…), si può sempre (si deve, ormai è un “must” esserci) mantenere curato ed attivo il curriculum, prediligendo altri canali per networking a sé più confacenti.
Concludo le riflessioni e le considerazioni, constatando che il web si evolve molto velocemente; non so fino a che punto ha senso continuare a scrivere libri che spieghino il funzionamento di determinati social network. Infatti questo testo è già – per alcuni aspetti – superato: alcune funzioni illustrare nel libro non sono più attive (Reading List di Amazon, citata precedentemente per esempio).
Sicuramente sono utili dei libri che illustrino le varie realtà digitali, per sommi capi. Ma la domanda che sorge spontanea è: quanto possono e devono essere approfonditi questi testi? Se poi vengono ampiamente superati dalla metamorfosi rapida di queste entità algoritmiche?
Forse conviene prendere in considerazione una trattazione degli argomenti più “generica”, supportando con riferimenti audio-video collegati che possono essere aggiornati con maggiore rapidità…
Non so, è una idea…
Concordo con te per quanto riguarda il numero dei contatti diretti. Non molto tempo fa, dopo aver letto “Teniamoci in contatto”, ho fatto pulizia, lasciando solo le persone che conosco personalmente e con cui ho avuto almeno un rapporto di lavoro.
Altra cosa che mi trova d’accordo è il non chiedere referenze. Mi sentirei di dare il consiglio opposto: “dai referenze, scrivi segnalazioni”. Questo mondo (e specialmente questo paese) ha bisogno di persone che danno senza chiedere niente in cambio.
Ciao Luca,
Mi trovi d’accordo sulle tue riflessioni.
Soprattutto sul bisogno di persone che danno senza chiedere niente in cambio.
Grazie!
Grazie per le osservazioni Barbara, felice che tu ne abbia trovato una utilità
Grazie a te, Luca!
Trovata, trovata, l’utilità.
Grazie ancora e buon lavoro.