Leggere 2.0

Faccio parte delle generazione analogica.
Quella generazione che vive a cavallo della transizione tecnologica, che ha visto (e vissuto) quello che c’era prima e sta vivendo in pieno quello che c’è adesso, intravedendo possibili sviluppi futuri.

E mi definisco una “migrante digitale”, proprio in virtù (e/o a causa) di questo viaggio da quello che c’era prima a quello che c’è adesso.
Con tutti i disagi del caso (ai primi approcci alla tecnologia assai poco user friendly dovevi essere quasi un programmatore per gestire i programmi in MS-DOS).
Ma anche con tutti i vantaggi del caso (la tecnologia via-via sempre più facile con interfacce dove bastano pochi tap per aprire applicazioni e muoverti al loro interno facendo una moltitudine di cose impensabili fino a poco tempo fa).

Il tutto in quasi 20/30 anni (da un punto di vista utente).

E proprio questa migrazione di utilizzo sta (se mai fosse necessario evidenziarlo) modificando nostre modalità e comportamenti.
Uno di queste modalità è la lettura.
In senso ampio e lato.

Un’attività che prediligo e sulla quale mi ritrovo spesso a riflettere, talvolta smarrita, talvolta entusiasta, talvolta preoccupata.
A seconda dell’umore della giornata.

Ci riflettevo proprio stamattina, leggendo un estratto del libro “La mente estesa”.

Lo stavo leggendo sulla app Kindle per iOS.
Quindi sul telefono, neanche sul Kindle che mi sono accorta rendermi stranamente più noioso l’atto della lettura (credo per la mancanza del colore e per la non grande capacità di rendere la lettura “estesa”, tipica degli ebook, che consente di seguire eventuali link presenti e navigare in approfondimenti).

Dopo qualche minuto di lettura dell’estratto, mi sono spostata “altrove” (su altre piattaforme) a leggere altri contenuti e mi sono ritrovata a riflettere su questa modalità che di primo acchito appare alla vecchia me (cresciuta a ore concentrata su un singolo libro) caotica e inconcludente, con forse anche delle tracce di “disturbo dell’apprendimento” (pensiero – questo – forse un po’ paranoico).

Ma che forse è indicativa di una modalità “reticolare” o “a propagazione”, parafrasando Giulio Xhaët che nel libro “#Ibridocene” di Paolo Iabichino scrive:

“In un mondo cosi complesso come quello Phygital non basta più avere competenze verticali, ma è necessario apprendere per “propagazione” provando nuove strade e unendo discipline anche molto distanti tra loro.”

Una modalità non per questo impoverita, bensì forse diversa.

Più orizzontale, anziché verticale.
Che si muove per link di approfondimento (negli ebook) e per contaminazioni di idee e loro collegamenti laterali.

Più adatta forse ai tempi che stiamo vivendo e che ci costringono, e ci stimolano, ad adottare nuovi modi per continuare a fare quello che facevamo prima.

Diversamente.

Sto scrivendo un libro

“Se volete diventare scrittori, dovete leggere e scrivere un sacco”
[Stephen King, “On writing: Autobiografia di un mestiere”.]

Vuoi scrivere? Leggi tanto e scrivi tanto!
Concetto espresso anche da Haruki Murakami nel suo libro “Il mestiere dello scrittore”.

Touché!

Con buona pace di tutti i corsi di scrittura creativa (e di “scrittura creativa” e suo anatema dedicato ho letto [o forse ascoltato] di recente da qualche parte e – tristemente – non ricordo più dove: un podcast? un libro?… non mi ricordo più… ed è stato solo 24 ore fa…).
Ma avevo già letto sul tema, nel lontano 2017, un articolo su Linkiesta che “non le mandava a dire” (come si suol dire).

Ma non sono qui a riflettere di scrittura creativa. E/o ad alimentare polemiche sul tema. No.

Sono qui a mettere per iscritto su questo blog, esponendomi e prendendo pubblicamente un impegno, che sto scrivendo un libro.

Ecco. L’ho dichiarato.
Lo vedo scritto nero su bianco.
E l’ansia ha fatto un altro (salutare) saltino in avanti.

Pensavo fosse facile!

“Ho tutto il materiale. Devo solo metterlo in ordine, stando attenta a non creare ridondanze e ripetizioni. Legandolo assieme.”, mi dicevo prima di iniziare.
Sì, più o meno…

Riprendere in mano del materiale scritto in tempi diversi, legato comunque da un filo rosso, e organizzarlo in modo che scorra e persegua un obiettivo ben preciso, è tutto un altro paio di maniche rispetto a quello che ti sei prefigurato nella testa.

Sicuramente il leggere tanti libri (soprattutto romanzi, anche di generi assai diversi tra loro, ma anche saggi) aiuta molto.
Ti permette di accedere a fonti, linguaggio e ricordi diversi tra loro, che vanno a comporre un mosaico.

Ma scrivere un libro è una sfida.
Anche se sei abituata a scrivere sui social media e se hai un blog (che aggiorno con scarsa frequenza).

Scrivendolo qui [Barbara ripeti con me: “Sto scrivendo un libro], mi do una sorta di pedata nel sedere da sola (visto che son settimane che cincischio, adducendo le scuse più strampalate e creative, disturbata dalla scimmia della procrastinazione).
E visto che ci sono mi do anche un tempo:

  • (massimo) metà ottobre per la chiusura
  • (massimo) metà novembre per la pubblicazione (tempo per raccogliere i contributi ospiti, che saranno tre).

Andando in autopubblicazione. Sì.
Per alcune ragioni.

Foto di James Tarbotton su Unsplash

La prima perché mi ha urtato profondamente sentire che per essere pubblicati devi pagare (avevo contattato una casa editrice per sondare la possibilità di pubblicazione di un “progetto di scrittura corale” a sfondo etico [momentaneamente fermo per problemi di altra natura], ma mi è stato fatto capire che un contributo alla stampa del libro era necessario; cosa che poi mi è stata confermata anche da un’altra persona).
Allora tanto vale che l’investimento di tempo e denaro, servano per l’autopubblicazione.

La seconda è perché essendo uno scritto un po’ particolare è bene che mi assuma in toto la responsabilità di questa operazione (niente di complottista, beninteso!).

La terza è indirettamente legata al fatto che l’intero ricavato delle vendite andrà a finanziare un progetto/ricerca. Devo ancora capire “chi” (anche se l’area è individuata), ma andrà in beneficenza per un motivo molto preciso che racconterò a pubblicazione avvenuta e in fase di presentazione del libro.

Ecco, è tutto qua.

Probabile che nei prossimi giorni (e nelle prossime settimane) venga colta da un desiderio di narrare questo progetto di scrittura e ciò che imparo strada facendo. Ma per ora mi fermo qui.

Vado a scrivere. Il libro.

[Headline di Pereanu Sebastian su Unsplash]

Riprendendo i podcast

L’altro giorno pensavo (ed esternavo su Facebook):

Stavolta non mi faccio fregare come al primo giro.
No.
Perché al “primo giro” sono andata in sovraccarico emotivo e non ho letto un libro per tutto il lockdown (una anomalia per me, che sono una “lettrice forte”). Recuperando poi (tra prestiti in biblioteca, acquisti e audiolibri), viaggiando oggi sui 23 libri letti (in una sorta di recupero del tempo perduto).
Stavolta proseguo e rinforzo, registrando letture (nel rispetto dei copyright) ripartendo con Spreaker (come già scritto un paio di giorni fa).
Forte di alcuni strumenti domestici (ma efficaci) acquisiti durante la registrazione di letture per il Patto per la Lettura.
Forte anche di una centratura recuperata (e di una pulizia fatta) durante il percorso di psicoterapia.
Stavolta non mi faccio fregare.
Proprio no.

Una specie di “colpo di reni” (una reazione) rispetto le imminenti (e progressive) restrizioni, che alla prima tornata mi avevano un po’ turbato.

Uno scatto in avanti rinforzato – inoltre – dal recente ritorno nel mio profilo Spreaker per fare un controllo random e piccola manutenzione.
E che ha riservato una piccola sorpresa.

Che poi è una piccola sorpresa-non-sorpresa perché chi mastica un po’ di web, algoritmi, ecc. ecc., sa che le notizie che immettiamo in rete, camminano poi con le loro gambe.
Anche se te le dimentichi.

E così è stato per circa un anno con i miei podcast, abbandonati a se stessi.
Ma che – pur nella microscopicità dei numeri – hanno continuato a fare i loro passettini.

E così, forte di questi “numerelli”, e forte della convinzione che

leggere cura l’anima

ho ripreso in mano il canale, riattivando l’abbonamento e ricominciando a leggere ad ad alta voce.

Ripartendo oggi con le letture tratte dal sito Nuovo e Utile (di Annamaria Testa), e selezionando testi da leggere i cui diritti d’autore sono decaduti.

Ascolta "Nuovo e Utile di Annamaria Testa" su Spreaker.

Ecco quindi che un insieme di eventi e scoperte mi ha riavvicinato ai podcast

la passione per la lettura,
la scoperta degli audiolibri (da me sempre scartati a priori) che tanto mi stanno anche insegnando in tema di interpretazione del testo,
l’essere lettrice volontaria del Patto di Milano per la Lettura che si è avvicinata agli audio in questo tempo di pandemia (non potendo fare tutti gli eventi in presenza),
l’essere convinta del beneficio della lettura,
e il desiderio di condividerlo come conforto in questi tempi così complessi,

rimettendo in marcia una piattaforma dimenticata per un po’ di tempo.

[La foto in evidenza è di CoWomen su Unsplash]

Leggere libri…

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Stamattina un contatto di Facebook, ha condiviso questo articolo della rivista Studio:

Leggere per piacere o leggere per dovere?

Il titolo dice già tutto e individua il nocciolo del problema.
Ma la dissertazione in esso contenuto va molto più in profondità, ponendo una questione forse non così scontata: “Se leggo per lavoro, è vera lettura?”

Questa riflessione mi ha fatto tornare in mente vecchie dissertazioni tra amici sul tema.
Una volta, ragionando attorno ad una idea di bookclub aziendali, un amico mi disse: “Mi hai fatto riflettere, perché non ho mai letto nulla al di fuori di libri legati al mio lavoro” (intendendo manuali).
E “a breve giro di posta”, chiacchierando con un altro amico sulla possibilità di partecipare ad un bookclub a cui volevamo iscriverci, mi disse: “Io non ho molto tempo per leggere libri al di fuori del mio lavoro!” (pensando al bookclub come ad una opportunità di variare letture e perdersi piacevolmente nelle storie).
E una terza persona (uno dei formatori più brillanti che conosca) seguendo un mio vecchio progetto di “un libro alla settimana”, mi disse: “Ma come fai a leggere così tanto? Quando riesci a leggere?”. E alla mia risposta (“Leggo durante gli spostamenti sui mezzi pubblici, e nei tempi di attesa vari che ci sono nell’arco di una giornata”) disse: “Leggi negli sfridi di tempo” (espressione assai suggestiva). E lui è una persona che macina libri come se non ci fosse un domani…

Ebbene, tre riflessioni di tre persone di grande vivacità intellettuale e di grande curiosità. (Ma?) Che leggono principalmente libri legati alla loro professione.

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Sì, posso essere d’accordo sul fatto che leggere solo ed esclusivamente libri legati al proprio lavoro possa alla lunga limitare la propria “visuale”. Ma è anche vero che comunque è un atto di acculturamento e aggiornamento, seppur dedicato ad uno specifico ambito.
In più, non dimentichiamoci che oggi il leggere sulla propria professione, significa anche andare in esplorazione di altri argomenti apparentemente esterni al proprio “recinto operativo”. Per ampliare ed arricchire le proprie competenze.

E poi c’è un’altra area che forse non è ancora così facilmente tracciabile: la lettura di contenuti online. Che provengono da testate giornalistiche, blog, siti,…
Una gigantesca prateria, dove pascolano indisturbate anche le famigerate bufale, ma dove si possono trovare contenuti molto interessanti (previo setacciamento paziente e certosino dei motori di ricerca).
E’ un’area che credo non sia ancora completamente mappata e che potrebbe riservare delle interessanti sorprese.
(Da tempo ho in programma di leggere un libro sull’argomento [“#letturasenzafine” di Paolo Costa, edito da Egea], che mi guarda da tempo e con insistenza da un ripiano della mia libreria.)

Ricordo anche (a tale proposito) una affermazione di Mafe De Baggis che giustamente osservò che quando vediamo una persona con lo smartphone in mano pensiamo immediatamente che stia “cazzeggiando” (mi si perdoni il termine), quando in realtà potrebbe stare lavorando e/o leggendo contenuti di alto livello e/o informandosi (ho una cara amica che usa lo smartphone anche per leggere ebook, nel mentre si sposta e viaggia, ottimizzando così anche numero di dispositivi al seguito, ingombri e pesi).

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Le “convinzioni antiche” sul termine “lettura” credo siano ancora tante.
Soprattutto legate alla lettura di libri e ancor più di classici (visti come un lasciapassare per assurgere a livelli di formazione e acculturamento superiori).
E questo potrebbe acutizzare il divario tra chi legge e chi non legge, allontanando tra loro le parti anziché lavorando per avvicinarle.

Poi, esistono anche modi di scrivere dove narrazione ed informazione si uniscono per trasmettere del sapere in un modo più coinvolgente, sfruttando la predisposizione della mente di apprezzare ed imparare attraverso esempi e storie.
Un argomento che si allontana un po’ da quanto scritto qui, e che meriterebbe una riflessione dedicata (che mi sto facendo in questo periodo leggendo “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello” di Oliver Sacks, e “Diventare se stessi” di Irvin Yalom.)

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“Leggere libri” è un argomento vasto e declinabile in mille sotto-dissertazioni.
Per non andare oltre (leggasi “uscire dal seminato”) scelgo di chiudere con due spunti finali, che arrivano dal sito della Treccani.
Uno è la definizione della parola “lèggere”:

  1. Scorrere con gli occhi sopra un testo scritto o stampato, per riconoscere i segni grafici corrispondenti a determinati suoni, e formare così, mentalmente o pronunciandole, le parole e le frasi che compongono il testo stesso […]
  2. Intendere, interpretare in un determinato modo uno scritto, un passo d’autore […]

L’altro è un articolo scritto nel 2013, ma sempre attuale: “Perché leggere?”
Un testo quest’ultimo molto interessante, che apre ad ulteriori (e trasversali) riflessioni.

[Immagini tratte da Pexels]

Di lettura ad alta voce

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Sono di ritorno da un weekend intenso, che mi ha fatto tornare a casa con un ricco bagaglio di esperienza in più.
Rialimentando la passione per la lettura (che ha attraversato un periodo di stanca, essendo sempre oscillante tra il leggere manuali e il leggere storie), saldando ancora di più il suo legame con la oralità del racconto e creando ulteriori (e talvolta inaspettati) punti di contatto con la comunicazione in pubblico.

Qualche settimana fa ho ricevuto una mail che segnalava una iniziativa di Letteratura Rinnovabile all’interno della rassegna LetterAltura ospitata a Verbania: un corso intensivo di due giorni (Masterclass) sulla lettura ad alta voce condotto da Giorgina Cantalini.
Che ho conosciuto durante la preparazione intensiva (a tempo di record) per la maratona di lettura della scorsa edizione di Bookcity. (Che – a sua volta – ha aperto una porta sul mondo della lettura ad alta voce, che mi ha fatto conoscere ed entrare nella realtà del Patto di Lettura del Comune di Milano.)

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E così, in questo weekend appena passato, ci siamo ritrovati in quattordici.
Un gruppo di persone nel quale ho ritrovato volti di Bookcity e che mi ha fatto conoscere persone straordinarie.

Ci siamo messi in gioco.
Provando, tentando e superando i propri limiti, misurandoci con una “lettura fisica”.

Ci sono stati momenti di fatica e di commozione.
Ci sono stati momenti di perplessità e di entusiasmo.

Momenti (personali) nei quali – complice la stanchezza – avrei buttato i fogli a terra, rinunciando ad andare avanti. (“Stai buona, Barbara. Stai tranquilla. Ascolta e guarda quello che fanno gli altri. Adesso passa…”, mi sono detta)

Emozioni vissute assieme ad un gruppo che via-via si andava sincronizzando e accordando come una orchestra (la bella metafora di Marco Zapparoli di Marcos y Marcos).

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Una due giorni coronata (a chiusura del festival) da una lettura pubblica a più voci di alcuni brani di Anna Karenina e di una novella di Pirandello (“Il viaggio”): storie di donne, di viaggi e di treni (il treno, tema della rassegna di quest’anno).



In mezzo una passeggiata filosofica, lungo il lago, attraversando splendidi giardini, in silenzio, in fila indiana, guidati da Duccio Demetrio.
Sperimentando non solo il silenzio fisico, ma anche il (personale) rarissimo silenzio mentale. 


È stato un weekend talmente tanto intenso che mi sembra di essere stata via il doppio del tempo.

Faticoso, sì.
Ma per il quale ne è valsa assolutamente la pena.

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Libri:

  • “Anna Karenina” di Lev Tolstoj
  • “Novelle” di Luigi Pirandello
  • “Leggere” con il corpo di Giorgina Cantalini

Link utili:

  • Letteratura Rinnovabile – http://www.letteraturarinnovabile.com/
  • LetterAltura – http://www.letteraltura.it/

Il (mio) Tempo di Libri

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Ieri pomeriggio ho visitato la (nuova) fiera dell’editoria a Milano, della quale molto si è parlato e si parlerà, tentando – a manifestazione conclusa – di fare bilanci sulla sua riuscita, in rapporto soprattutto al Salone del Libro di Torino (della quale rappresenta un non indolore spinoff ).
[Stamattina ho letto un post di Luca Sofri su Wittgenstein, del quale condivido i toni pacati ed equilibrati.]

E questo post non vuole essere una recensione dell’evento, bensì è un piccolo resoconto personale di quello che ho vissuto domenica pomeriggio camminando tra gli stand dei padiglioni 2 e 4, ascoltando qui e là i numerosi interventi ospitati dalle case espositive, e scoprendo realtà editoriali (e non) a me totalmente sconosciute.

Nei giorni precedenti avevo preparato un personale itinerario all’interno della manifestazione mirato ad argomenti legati più o meno direttamente alla mia professione, lasciandomi comunque strade aperte ad altri stimoli che avrei colto durante la passeggiata.

In particolare ero partita con l’idea di seguire un paio di interventi legati all’architettura: la presentazione della nuova rivisita Ardeth (edita da Rosenberg & Sellier) e la tavola rotonda sulla “architettura della casa nel noir, nei gialli e in Simenon”; trascorrendo il tempo in mezzo ai due incontri curiosando tra le case editrici presenti.

Una immagine della tavola rotonda sulla architettura nei romanzi gialli, noir e Simenon. Da sinistra a destra: gli scrittori Alessandro Perissinotto e Paolo Roversi, il moderatore ed architetto Luca Molinari, la scrittrice Alessia Gazzola e Ena Marchi (editor di Adelphi).

E se purtroppo il primo l’ho perso perché arrivata in ritardo, il secondo è stato invece un interessante stimolo ad adottare una chiave di lettura specifica ad un genere che ben ospita al suo interno la trattazione degli spazi e dell’architettura, utili a supportare la struttura ed il ritmo narrativo. (Discorso estensibile anche ad altri generi letterari.)

Interessante anche l’aggancio e la citazione al cinema di Hitchcock (in effetti nelle sue pellicole è forte la presenza dell’architettura), che mi ha fatto pensare ad un suo esatto contrario: Dogville di Lars Von Trier (dove invece è completamente assente e – forse – nella sua negazione si fa sentire ancora di più).

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La finestra sul cortile (courtesy of The Shelter Network)

Dogville
Dogville (courtesy of 2byzantium.wordpresscom)

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Non si può non citare anche Peter Greenaway con la sua cinematografia (nella foto una immagine tratta dal film “Il ventre dell’architetto”)

Ma prima di assistere a questo intervento conclusivo (uno degli ultimi della giornata), la passeggiata tra gli stand è stata un misto di scoperte di una micro-editoria di nicchia, popolata di estimatori, e di conferme di alcune realtà conosciute.

Sono rimasta colpita dalla produzione Hazard Edizioni, che pubblica fumetti giapponesi stampati secondo lo stesso ordine di lettura dell’alfabeto del Sol Levante: si inizia a leggerli dalla (nostra) ultima pagina per finire alla (nostra) prima pagina (quindi da destra a sinistra).
Ho trovato Taschen ed Egea. Due case editrici che con la loro produzione ben intercettano aree che mi interessano, e nelle quali ho trascorso un po’ di tempo indecisa su quali testi acquistare.

Ho chiacchierato con i ragazzi di Bookabook, la realtà editoriale interessante che si poggia sul concetto di condivisione dei testi e degli strumenti di pubblicazione (“Casa editrice in crownfunding” recita la sua tagline).
Ho sconosciuto Luni Editrice che ho scoperto essere anche organizzatrice del Salone della Cultura ospitato in Superstudio Più lo scorso mese di gennaio (e che verrà replicato nel 2018), dalla quale ho acquistato due libri sul Giappone.

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E – ultimo ma non meno importante – ho sostato a lungo nel bellissimo stand dedicato alla realtà delle Biblioteche Milanesi: un angolo dove era possibile esplorare le loro molteplici attività fatte non solo di prestito libri, ma anche – per esempio – di laboratori makers, di contaminazione tra musica e letture e di molto altro.

Nella foto qui sopra due scorci dell’area dedicata alle Biblioteche Milanesi.

Come già scrivevo poco sopra, quello che mi è piaciuto di più del pomeriggio trascorso in fiera è stata la scoperta delle tante piccole case editrici, di nicchia e per appassionati; ma mi hanno incuriosito anche i grossi gruppi, la cui esplorazione mi è stata utile per capire la geografia editoriale.
E poi, amando i libri e la lettura, non nascondo che è stata una impresa titanica il trattenersi dall’acquistare l’impossibile tra saggi e narrativa. (E di molti libri ho preso nota per acquisti futuri.)

Chiudo questo post con una gallery dedicata a quello che è accaduto sabato sera: la presentazione ufficiale del Patto per la Lettura del Comune di Milano, del quale sono appena entrata a far parte. Una bella iniziativa di volontariato che porterà in giro per la città e per le strutture quali ospedali, biblioteche, scuole, case di riposo, carceri… gruppi di lettori volontari.
E sabato sera l’attore Felice Casciano, la psicanalista e formatrice vocale Laura Pigozzi e lo scrittore Hans Tuzzi, hanno condiviso alcuni insegnamenti per vincere la paura del pubblico, per controllare la voce e per entrare in sintonia con le persone che ci ascoltano.

[L’immagine di copertina è la locandina ufficiale di Tempo di Libri]

Se non lo vivo, non lo capisco

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In questi giorni ho ricominciato a “liberarmi” di un po’ di libri.
Di manuali di gestione, di comunicazione, di crescita personale, …
Libri che magari acquisti in determinati momenti della tua vita, durante i quali sei alla ricerca di nuovi strumenti per capire, per comprendere, per imparare.
E che oggi – passati quei momenti – ti rendi conto non hanno più nulla da dirti. Restando solo come presenze coi quali condividi lo spazio.

Attenzione, non sto dicendo che non sono testi validi. Tutt’altro!
Sono testi che hanno fatto la storia di alcune discipline e alcuni di loro sono diventati dei classici.
Solo che con me hanno fatto il loro tempo.

E stamattina, non so per quale strana ragione, mi è tornato in mente un libricino di cui ho già parlato in precedenti post, che – se di primo acchito mi aveva lasciato un po’ perplessa – oggi continua (silenziosamente e subdolamente) a lavorarmi ai fianchi su alcuni concetti che colsi durante la sua lettura.
Un paio di esempi (di concetti)? Prossimità e semplicità delle cose.
(E di “prossimità” ho scritto qualche settimana fa in questo post: Stanzialità e prossimità.)

Il libricino si intitola “Quando siete felici, fateci caso” (di Kurt Vonnegut).

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Author Kurt Vonnegut Jr., wearing khakis, sitting in front of his typewriter in studio-like room. (Photo by Gil Friedberg/Pix Inc./Time Life Pictures/Getty Images)

E da questo inaspettato flash mattutino, è emerso un secondo ricordo più antico: l’esame di Fisica Tecnica e Impianti all’Università.
Esame che ho rifatto cinque (sì… 5…) volte per poi passarlo esausta con un 20.
(Era quasi più mortificato il docente della sottoscritta: avevo frequentato tutto il corso, sempre in prima fila a prendere appunti, studiato il suo libro fino a distruggerlo dalle tante sottolineature… e questo era il risultato… “Non ce la faccio a fare più di così…”, dissi al docente distrutta e sconsolata, arrendendomi all’evidenza… [Le quattro volte precedenti non avevo neanche superato la prova scritta, tanto per dire…])

Non c’era niente che potessi fare di più.
Quella materia non mi entrava in testa.
Nonostante le pazienti ripetizioni estive con un cugino laureato in Fisica e docente alla facoltà di Fisica di Napoli: due/tre volte alla settimana, di mattina – durante un agosto di tanti anni fa – con mio zio (insegnante di Matematica) che passava a prendermi e andavamo in campagna (dove soggiornava mio cugino per l’estate) e facevamo un’ora di ripetizioni di Fisica. Che proseguivano con lunghi e solitari pomeriggi di studio.

Mi ricordo che mentre cercavo di farmi entrare in testa il concetto di Entropia, nel mezzo di una delle tante crisi di incomprensione per la materia, avevo detto: “Se non riesco a capire concretamente il concetto non riesco a ricordarlo…!”
Lui (il cugino) rispose rassegnato: “Purtroppo alcune cose le devi ricordare così come sono. Senza alcuna spiegazione concreta.”

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La formula della Entropia (Fonte Treccani)

Ecco, probabilmente questo è un mio “baco cognitivo alla San Tommaso”: se non lo vivo, non lo capisco.
(Un “vivo” che può essere anche declinato in “vedo”)

E questo mi fa tornare alla questione dei libri (di cui ho già ampiamente scritto in vari post a più riprese).
Le tecniche, le strategie, su di me hanno una presa limitata (nella comprensione e nel tempo).
Affinché si installino nel retrocranio (o nel DNA, come preferite), devo vederle in storie e/o viverle con esperienze.

E questa considerazione mi fa sorgere una ulteriore domanda:
Sono nate prima le esperienze o le strategie?

(Una domanda che è anche l’origine delle personali crisi d’ansia da manuali… “se non leggo manuali, non imparo cose nuove”…)

[Immagine di copertina tratta dal sito http://www.medioera.it]

Sul web apprezzo la brevità… credo

Letture digitali letture cartacee

Si fa tanto parlare di modalità diverse di lettura tra web e libri, web e articoli (su carta, piuttosto che online), tra libri cartacei e libri digitali… (di recente ho letto questo articolo condiviso da una amica: “8 motivi scientifici per cui dovremmo leggere spesso libri, meglio se cartacei: ci rende più intelligenti ed empatici”; ultimo di una lunga serie di contributi e riflessioni in materia).
E mi rendo conto che anche io (strenua sostenitrice della indifferenziazione del mezzo di lettura) negli ultimi tempi, sto registrando un livello diverso di attenzione a seconda del “tipo di supporto” su cui sto leggendo.

Ricordo anche che tempo fa era stato pubblicato uno studio che forniva delle indicazioni sulla lunghezza media dei contributi online (blog, social network, ecc.) ed ero rimasta sbalordita dall’elevato numero di parole che era consigliato per un post su un blog: 1500 parole! (“Ogni contenuto ha la sua lunghezza ideale…”).
Tant’è che avevo chiesto delucidazioni ad alcuni esperti del settore e si era convenuto che la forse l’interpretazione corretta del dato era “battute”, non “parole” (ridimensionando la lunghezza degli articoli a 500 parole).

LunghezzePost

Ed oggi, leggendo un post di Mafe De Baggis (“Overtip”) e – di rimando – un secondo contributo da lei suggerito (“Mi riprendo la gentilezza” di Arianna Chieli), mi sono resa conto di come la brevità di entrambi gli articoli sia stata da me apprezzata. Permettendomi di assaporarne in pieno il contenuto (forse anche l’argomento ha giocato la sua parte).

Ho ripensato a come ho apprezzato in modo differente i sempre notevoli contenuti di – per esempio – Roberto Cotroneo a seconda che li legga sull’inserto del Corriere, piuttosto che sul blog (sul primo “media” li apprezzo di più, pur trattandosi di argomenti – in entrambi i casi – di altissimo livello).

Ho pensato alla fatica che faccio nell’arrivare al termine dei bellissimi post di “Nuovo e Utile”: articolati, pieni di rimandi e ricchissimi di spunti. E talvolta lunghi.
Lasciando perdere la fatica immensa di lettura del blog “Brain Pickings”: articoli lunghi, con la variabile aggiuntiva della lingua inglese trattata – per i miei parametri – in modo complesso grazie anche alla preziosità dell’argomento. (E di questo mi rammarico non poco, cercando di riparare come meglio posso.)

Ho pensato alla riflessione che sto facendo su come (e se) proseguire nella lettura di “Pensieri lenti e veloci” di Daniel Kahneman: iniziato in formato ebook (per questioni di trasportabilità…), mi sono arrestata (mi sono accasciata, sarebbe più corretto dire), al 30% di lettura.
Tornata a casa dalle vacanze ho preso dallo scaffale la copia cartacea, sfogliandola e rendendomi conto che forse il metodo giusto per leggere questo tipo di libro sia proprio usufruire del tomo.

Senza dimenticarmi della esperienza di lettura de “Le città invisibili” di Italo Calvino.

Per ricordare bene quello che hai letto scegli un libro tradizionale. In questo, sfogliare le pagine fa la differenza rispetto a un e-book. Toccare la carta porta al cervello una sensazione ulteriore – riporta Wired Usa – che aiuta a capire e memorizzare le parole che leggi. [Dall’articolo pubblicato su Huffington Post, citato in apertura di questo post]

Che gli studi neurologici sulla differenza di approccio al mezzo di lettura abbiano un fondamento di verità…?
Non lo so.
Per ora ho aggiunto alla mia “lista dei desideri” dei libri da leggere “Slow reading: leggere con lentezza” di David Mikics (suggerito da una “social amica”), per capirci di più.
In rigoroso formato cartaceo.

Leggere: manuali o storie?

letture estive prima ideaQuesta è la cronaca un po’ bislacca delle mie letture estive (tutt’ora in corso). [Scritta da smartphone… Quindi scusate se l’impaginazione non sarà temporaneamente delle migliori…]

Sì, perché in prossimità della partenza condividevo sui social la foto qui sopra, annunciando a gran voce che questi sarebbero stati i libri che mi avrebbero accompagnato in vacanza (affiancati dal Kindle come “strumento di emergenza”, contenendo numerosi manuali in formato eBook).

Una scelta che per taluni può risultare banale, ma che per me costituiva una sfida: leggere romanzi, rinunciando alla lettura di manuali.

Sfidando la mia paura a non studiare, a non utilizzare i libri come strumento di apprendimento (o approfondimento) di nuove competenze.

Un timore – il mio – che farebbe la gioia di uno psicanalista…

Ma anche una verità a metà, perché in realtà due libri erano già partiti in anticipo e mi attendevano a destinazione: “La trama lucente” di Annamaria Testa e “Pensare come Leonardo” di Michael Gelb.

Invece che è accaduto?

È accaduto che ho scelto di partire solo con il Kindle con l’obiettivo di leggere i due libri sopra citati e “Pensieri lenti e veloci” di Daniel Kahneman.

Barbara Olivieri letture estive manualiCedendo così alle pressioni del mio io timoroso, abbarbicato alla ossessione dell’imparare sempre, comunque e dovunque.

E son partita proprio da lui, dal lavoro di Kahneman. Arrancando con sempre maggiore fatica.

Fino al (metaforico) collasso di qualche giorno fa.

Quando – consultando il tempo di completamento di lettura del libro che il Kindle perfidamente ti permette di vedere – mi è venuto da piangere: 6 ore e 28 minuti…

E nonostante procedessi pagina digitale dopo pagina digitale, il tempo restava inchiodato lì: 6 ore e 28 minuti…

Mi sono detta: “Tu ti stai facendo del male. Tu hai bisogno di leggere altro. Se vuoi leggere…”

Ho a bordo del Kindle le versioni digitali di alcuni dei libri della foto di apertura, ma avevo bisogno di carta.

Ed in particolare di una storia scritta su carta.

E così sono andata a curiosare nella torre di libri del babbo, appassionato di gialli (avevo scelto con lui le sue letture estive, facendogli da “consulente”, accompagnandolo alla libreria Open di Milano prima della partenza estiva).

La scelta è caduta forzatamente sul libro di Lisa Gardner, “Prendimi”.

Barbara Olivieri leggere storieMa seppur sia stata una scelta “forzata”, ha avuto l’effetto di un balsamo! Partita a razzo, sono avanzata allegramente all’interno del thriller (assaporando la storia e compartecipando alle vicende dei protagonisti).

E ripensando alla scelta un po’ infelice dei libri da portare con me in vacanza (scelta infelice adesso, perché non è detto che lo sia in altri momenti), un paio di pomeriggi fa – fissando pigramente il soffitto – mi sono domandata il perché di questa mia dipendenza dai manuali (per poi far sempre più fatica nel trovarne dall’effetto “wow”).

Ed è stata una conseguenza ripensare a quei romanzi che mi hanno catturato e mi hanno lasciato molto.

Non in termini di nozioni. Non in termini di  informazioni codificate.

Che mi hanno arricchito e di cui ne conservo ancora il ricordo.

Qualche esempio “random” (non esaustivo)?

  • Shantaram,
  • La saga del commissario Wallander,
  • La trilogia Millenium di Stieg Larsson,
  • Un giallo di cui purtroppo non ricordo più il nome ma che mi fece scoprire l’analisi comportamentale,
  • Molti romanzi di Tom Clancy (con il protagonista Jack Ryan),
  • I romanzi di Michael Chricton,
  • “Il cardellino” di Donna Tartt,
  • Un romanzo di Wilbur Smith che mi insegnò alcune cose sulla struttura sociale degli elefanti,

Quanto mi hanno dato queste storie…
In quanti posti mi hanno portato…
Quante cose mi hanno insegnato…

E forse ecco che la domanda-mamma emerge… Leggendo queste storie, questi romanzi, nel mio retrocranio una vocina timida chiede: “Ma se tu non impari cose nuove, come fai a raccontare fatti che possono interessare gli altri come i romanzi che ti piacciono tanto?”

A cui fa da contraltare un’altra voce più ferma e pacata: “Sì, va bene, ok. Ma se non vivi, non fai esperienza, non ascolti… Come fai ad imparare ed elaborare cose nuove che puoi raccontare agli altri?”

Una piccola storia e qualche lettura in rete

  
[Avviso ai naviganti: questo post è scritto e pubblicato da tablet, quindi è probabile che l’impaginazione non sia ottimale. Mi scuso per questa eventualità e prometto di sistemarlo al mio ritorno su Pc. Nel caso in cui invece l’impaginazione sia corretta… Beh… Fate finta di non avere mai letto questo annuncio…]

E dopo l’avviso introduttivo mi accingo a condividere una piccola storia. Leggera ma – spero – non superficiale.

La storia parte da un po’ lontano: diversi mesi fa ho ricevuto un messaggio privato sul mio canale YouTube da una ragazza di nome Luisa. Mi accorsi del suo messaggio con un mese di ritardo (per me un tempo troppo lungo per rispondere ad una persona) ma la questione ancora più importante era che mi chiedeva consigli su quali libri leggere e – soprattutto – come trovare i libri più adatti per se stessi. 

Una bella responsabilità per una come me, che legge libri per diletto senza nessun obiettivo particolare, senza nessuna formazione come critico letterario (o simile), bensì lasciandosi ispirare da recensioni (professionali e non), copertine (ebbene sì! strumento assai persuasivo), e altre suggestioni. Le diedi dei pareri personali, le spiegai che io avanzo per tentativi ed errori e che mi capita di incappare in libri difficili da digerire (in questi giorni sto arracando con “Pensieri lenti e veloci”, indubbiamente interessante ma un po’ pesante…).

Dopo la mia risposta, la cosa finì (apparentemente) lì.

In questi mesi poi ho sempre più faticato a mantenere il ritmo di un libro alla settimana (con relativa pubblicazione di videoriflessione su YouTube) e spesso ho pensato di chiudere l’esperienza. 

Ma Luisa è (provvidenzialmente) tornata con un nuovo messaggio che mi ha motivato ad andare avanti. Oltre a ringraziarmi per averle fatto scoprire il libro “Spade” di Giovanni Gastel (e la realtà 5×15, dove Gastel ha tenuto uno speech intenso di 15 minuti), mi ha ringraziato anche per averle fatto conoscere il blog di Zelda di Was a Writer (che cito spesso nei video, frequentando il suo bookclub).

E mi ha chiesto se conoscevo altre realtà come quella di Zelda Was a Writer… 

Domanda ardua!

Non solo perché “Zelda” è unica nel suo genere, ma anche perché non sono una esperta di blog. Anche qui avanzo per tentativi, e ciò che seguo rispecchia il mio personalissimo gusto.

E così mi sono ritrovata a pensare a cosa potrebbe essere utile ed interessante per gli adolescenti (Luisa è giovanissima), senza essere noioso. Ed è scattato l’azzardo (sperando di non aver alzato troppo il tiro). 

Ho pensato a quattro blog/siti particolari di cui due forse un po’ complessi, ma che penso possano dare moltissimo anche a persone in giovane età (non solo agli adulti). [Portarli nelle scuole, buttando dalla finestra programmi vetusti, sarebbe una gran bella cosa]

Sono tra i miei preferiti nell’area creatività e cultura (e cerco di seguirli il più possibile anche se il tempo è tiranno)

  • Meet the Media Guru (con i suoi articoli e la sua sezione dedicata alle “lecture” delle conferenze che organizzano e che possono essere seguite anche in streaming)  – http://www.meetthemediaguru.org
  • Nuovo e Utile (il magnifico blog curato da Annamaria Testa, continua fonte di informazioni di alto livello) – http://www.nuovoeutile.it
  • Brain Pickings (sito in inglese, vasto, contiene spunti provenienti dalla cultura in senso lato… arte, libri, filosofia… un progetto vastissimo) – http://www.brainpickings.org
  • TED (bisogna presentarlo…? non credo… video dei “TED talk”, sezione blog con articoli, suggerimenti di lettura dagli speaker di TED… una banca dati di condivisione straordinaria) – http://www.ted.comhttp://blog.ted.com

Non so se andata fuori tema con Luisa. Spero di no. Spero di averle dato ulteriori fonti di ispirazione…

Nel frattempo se avete altri suggerimenti, e volete condividerli nei commenti, ve ne sarò grata! Perché non si smette mai di imparare e nel web, l’evoluzione di contenuti e piattaforme è molto rapida e fluida.

Buona navigazione! E buon ferragosto!

PS: qui sotto i due link ai due libri citati nel post: