Ho iniziato a scrivere questo post tra il primo ed il secondo giorno di gennaio, dopo un po’ di ragionamenti (gli ennesimi) sul fatto se portare avanti il blog o meno (riprenderlo in mano o abbandonarlo definitivamente?).
E durante il periodo di assenza da questo “luogo”, ho provato altri mezzi di comunicazione. Altri social media.
Concentrandomi sulla questione mobile: sulla possibilità di poter scrivere e condividere mentre sono in movimento, anche (e soprattutto) attraverso lo smartphone.
Così ho sperimentato nuovi media come Medium, abbandonando Pulse (di LinkedIn) per la sua grossa pecca (secondo me) di non poter essere utilizzato da mobile, provando così il social blogging (cosa che secondo me già si fa condividendo post più o meno lunghi sui social network).
[Ho fatto anche un piccolo test della versione aggiornata delle Note di Facebook, che non mi ha convinto molto, nel mentre cercavo – e cerco – di capire come è e cosa fa il nuovo Google+.]
Confrontandomi con amici e “colleghi di navigazione” sulla bontà o meno della sola condivisione dei video direttamente su Facebook, piuttosto che su YouTube.
Tutto ciò proseguendo nella ricerca di possibili evoluzioni della mia figura professionale (ormai strettamente interconnessa con la sfera personale), tentando di capire cosa succederà fra 5-10-15 anni.
Una ricerca non priva di asperità.
Molto intrecciata, senza soluzione di continuità.
Che è proseguita (e prosegue) parallela alla vita lavorativa, tra tentativi ed errori.
Fino ad oggi dove, durante questi giorni di pausa appena conclusi, mi sono fermata e ho cercato di mettere insieme i pezzi cercando di tessere una tela che creasse un legame sensato fra loro.
Questo processo di connessione (se vogliamo chiamarlo così), si è innescato dopo la lettura di un libro: “Architettura Open Source”, curato da Carlo Ratti.
Un piccolo libro acquistato per caso, dopo avere assistito ad una mattinata di formazione all’Ordine degli Architetti relativa alla “internazionalizzazione della professione”.
Lo stesso giorno sono andata alla Hoepli per acquistare un libro più “tecnico e gestionale” (legato agli argomenti trattati la mattina) e – anziché acquistare il testo che avevo in mente – sono tornata a casa con quella piccola opera che credo oggi di poter definire “il libro giusto al momento giusto”.
Non mi dilungo nel descriverlo (vi lascio al video riportato sopra), dico solo che quelle poche ma dense pagine hanno impiantato un piccolo e significativo seme, supportato da un grande conforto che mi ha fatto esclamare più volte durante la lettura: “Ma allora è possibile! Si può fare!”.

Da lì, pezzo dopo pezzo, scrivendo, disegnando e pensando possibili opzioni, ho iniziato a rivedere il modo di comunicare. Ipotizzando qualche passo indietro e/o di lato.
E sono ritornata anche qui, al blog (“Sei sicura di volerlo proprio abbandonare?”, mi sono domandata; “Sei sicura che non ti sia necessario avere comunque un luogo che raccolga in modo più organizzato testi, foto e video?”, mi sono domandata ancora).
Riconsiderando persino il concetto di “blog tematico/nicchia” (che faccio – facevo? – tanta fatica a digerire).
So che sembra un “avanti e indietro” continuo, che suggerisce indecisione e incertezza.
E – aggiungo – non è detto che sia la fase finale, il punto di arrivo del percorso di ricerca.
Può essere solo uno dei tanti momenti di sosta e di approfondimento.
Ma mi conforta un fatto: che spostarsi, provare, tentare, smontare e rimontare, rigirando di sotto in su le cose più e più volte, non è necessariamente indice di incapacità a prendere indecisioni, bensì può essere necessario per adattarsi alla realtà in costante mutamento.
E a tale proposito chiudo con il link ad un TED Talk che ho incrociato di recente e che credo offra una interpretazione delle cose molto interessante e da non sottovalutare.
Buona ripartenza da qui, dove siete (sono) ora.