“Quello che non mi uccide, mi fortifica.”, Friedrich Nietzsche
Qualche giorno fa – scorrendo la timeline di LinkedIn – ho letto un post che menzionava un TED Talk che affrontava la questione su come acquisire nuove abitudini. Il Talk serviva per affrontare l’argomento di gestione del “business social network”, e sottolineava di come la pazienza e la perseveranza siano strategiche per acquisire e metabolizzare nuove routine.
Inaspettatamente (ma forse neanche poi così tanto, visto che il cervello continua a lavorare in background sul suo vissuto, come un vero e proprio sistema operativo, elaborando quanto acquisisce attraverso i sensi) mi sono trovata a riflettere ancora una volta sulla recente esperienza di “affiancamento” di mia madre nella sua degenza di tre settimane in Terapia Intensiva.

Questa volta però cercando di rispondere ad una domanda che mi pongo spesso al termine di una qualsiasi vicenda vissuta (qualunque essa sia): “Cosa mi porto a casa?“.
In particolare – oggi – mi chiedo: “Che cosa ho imparato (da questo episodio)?”
Cosa ho acquisito che mi può tornare “utile” nella quotidianità?
Tutto ciò fatto salvo la dissertazione attorno al tempo e al riordino delle priorità di cui ho già scritto nei precedenti post dedicati.
(E mentre scrivo stanno emergendo altre riflessioni; in particolare sulla linguistica, sull’uso di termini specifici e su parole chiave che possono incidere in modo molto diverso in chi ascolta e nella sua percezione della realtà. Ma su questo scriverò più avanti.)
Ebbene, ho imparato cosa sono la calma e la pazienza.
Nella loro accezione più forte.
Pazienza che devi avere nell’avanzare giorno per giorno, aspettando senza aspettative. Una condizione che – per essere sostenuta – deve essere supportata dalla calma. Quella calma che ho modellato osservando medici ed infermieri del reparto. Che – sì, certamente – non hanno lo stesso livello di legame affettivo che hai tu con la persona che giace nel letto, ma che nel loro comportamento possono fornirti indicazioni utili su quali sono le caratteristiche che le compongono.
Ho imparato cos’è la costanza (e la sua associata: la tenacia).
Avanzare con costanza giorno per giorno.
Cercando di mantenersi stabili e solidi.
Tenendo lo sguardo il più possibile davanti a sé, diritto.
Senza però avere (e alimentare) un focus sulla lunga scadenza (che potrebbe serbare delusioni dure da digerire).
Osservando – e trovandocisi immersi – in un metaforico campo di battaglia emotivo.
Ed infine ho imparato cos’è la resilienza.
Che accorpa ed ingloba le precedenti pazienza (calma) e costanza (tenacia).
Una tipologia di resilienza molto avanzata e molto lontana dalla resilienza sportiva, fisica, manageriale e delle organizzazioni di cui si legge.
Una tipologia di resilienza che riguarda la tenuta mentale ed emotiva e che – come tale – incide profondamente sul fisico. Che – a sua volta – in un processo circolare deve sostenere la mente (e per farlo necessita di cure e sostegno suppletivi).
Calma, costanza e resilienza.
Due (calma e costanza) che generano, sviluppano e alimentano la terza (resilienza).
E che tutte e tre insieme creano una struttura (abbastanza) solida per fronteggiare situazioni inaspettate (e non) che la vita ti mette sul percorso.
[Immagini tratte dal web]