Polverizzazioni

 

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Immagine tratta dal sito Green Me

Scrivo sempre da utente neofita che corre dietro alla evoluzione tecnologica, mangiando costantemente polvere… (a proposito di “polverizzazioni”).

Vivendo la vita digitale (e anche una parte di quella reale) in stato Beta permanente (per usare una espressione coniata da Reid Hoffman e Ben Casnocha usata nel loro libro “Teniamoci in contatto”; che ho iniziato a leggere, ma che è in stand-by da un po’…).
Montando e smontando di continuo.

Ed il titolo del post nasce da una prima considerazione che mi facevo ieri (dopo una chiacchierata con un amico) su cui si è innestata una seconda considerazione nata da una iniziativa segnalata questa mattina su Facebook da Maria Cristina Pizzato.

Partiamo dal principio.
Se volessi dare un significato personale alla parola “polverizzazione” senza passare dal vocabolario, penserei ad una azione di livello superiore allo “sbriciolamento”. Ossia una azione meccanica di riduzione delle pezzature generate dalla frantumazione, rottura, di un oggetto.
Emotivamente parlando, lo considero un termine forte. D’impatto.
Che identifica una azione forte. (Mi ricorda anche il termine anglosassone disruption)

La prima considerazione sulla polverizzazione è partita l’altra sera, durante una cena.
Chiacchierando con un caro amico, sono state inevitabili alcune considerazioni sul (proprio) futuro professionale. Riflettendo su se stessi e sulle proprie competenze, percependo la difficoltà a comprendere il delinearsi all’orizzonte di nuovi mestieri (anche a livello di comprensione linguistica, per quanto mi riguarda), consapevoli della inevitabilità degli eventi.

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Ormai lo sappiamo bene e non passa giorno che non lo troviamo scritto da qualche parte, o che ci venga detto da qualcuno: che ci piaccia o no, alcuni lavori si stanno letteralmente polverizzando (partendo da quelli più “automatizzati” come cassieri, addetti alle biglietterie di cinema e aeroporti per esempio, per risalire via-via la “gerarchia”).

Ci salverà l’esperienza?

E gli strumenti con cui affrontare queste successive polverizzazioni sono mutevoli.
Mi rendo conto che appare come un paradosso (come diavolo fa uno strumento ad essere mutevole?, si potrebbe domandare qualcuno), ma credo sia realmente così: puoi solo stare allerta, con le orecchie dritte, affinando i sensi per cercare di catturare in anticipo segnali e tendenze.
Imparando sempre cose nuove, anche apparentemente lontane dal tuo mestiere.

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E qui arrivo alla seconda declinazione del concetto di polverizzazione: l’istruzione e la formazione.
Che stanno pesantemente mutando, macinati e sbriciolati da nuovi format e da nuovi canali di comunicazione.

In particolare mi riaggancio al post di Maria Cristina Pizzato di cui ho parlato all’inizio di questo post e che segnalava una realtà elearning nuova per me: Emma Mooc.

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Emma Mooc

Una ulteriore opportunità (ancora in versione Beta) che si va ad aggiungere ad altre consolidate realtà digitali di elearning (per citarne alcune: Lynda – recentemente acquisita da LinkedIn – Coursera, edX, SkillShare, … tutte disponibili anche in versione mobile, tanto per dire…)

Senza dimenticare format meno didattici, ugualmente ricchi di stimoli ed informazioni: TED (il più noto), 5×15 (5 speech da 15 minuti), Pecha Kucha Night (con la regola del 20×20: ossia 20 slide da 20 secondi) e la recente scoperta The DO Lectures (scoperto grazie ad un post su Facebook di Francesca Marchegiano).

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The DO Lectures

 

Tutte occasioni di ascolto di storie, di condivisione di esperienze e di competenze.

Tutti format che stanno scuotendo pesantemente la classica formazione in aula che – secondo me – per sopravvivere deve trovare nuovi modi di comunicazione e di coinvolgimento.

In tutta questa mutazione costante c’è da farsi prendere dallo sconforto, lo so.
Hai la sensazione di essere sopraffatto dalla incredibile disponibilità di informazioni.
E temi di non riuscire a stare al passo.
Temi di perdere pezzi importanti per strada.
Ed in questo caso scegliere è veramente difficile, se non impossibile (con buona pace del discorso delle nicchie).

Coraggio, invece!
Rimboccarsi le maniche e darsi da fare.
Creare il proprio piano di studi “open”, dando fondo alla curiosità e alla voglia di esplorare per trovare nuove soluzioni.
Pensando che abbiamo una grandissima fortuna: possiamo accedere a risorse intellettuali pressoché infinite. E non è così scontato.
Una cosa impensabile fino a pochi anni fa…

Buon surfing!

[Immagine di copertina tratta da http://www.antichitadelsito.it]

Ripartendo daccapo

Barbara Olivieri

Ho iniziato a scrivere questo post tra il primo ed il secondo giorno di gennaio, dopo un po’ di ragionamenti (gli ennesimi) sul fatto se portare avanti il blog o meno (riprenderlo in mano o abbandonarlo definitivamente?).

E durante il periodo di assenza da questo “luogo”, ho provato altri mezzi di comunicazione. Altri social media.
Concentrandomi sulla questione mobile: sulla possibilità di poter scrivere e condividere mentre sono in movimento, anche (e soprattutto) attraverso lo smartphone.

Così ho sperimentato nuovi media come Medium, abbandonando Pulse (di LinkedIn) per la sua grossa pecca (secondo me) di non poter essere utilizzato da mobile, provando così il social blogging (cosa che secondo me già si fa condividendo post più o meno lunghi sui social network).
[Ho fatto anche un piccolo test della versione aggiornata delle Note di Facebook, che non mi ha convinto molto, nel mentre cercavo – e cerco – di capire come è e cosa fa il nuovo Google+.]
Confrontandomi con amici e “colleghi di navigazione” sulla bontà o meno della sola condivisione dei video direttamente su Facebook, piuttosto che su YouTube.
Tutto ciò proseguendo nella ricerca di possibili evoluzioni della mia figura professionale (ormai strettamente interconnessa con la sfera personale), tentando di capire cosa succederà fra 5-10-15 anni.

Una ricerca non priva di asperità.
Molto intrecciata, senza soluzione di continuità.
Che è proseguita (e prosegue) parallela alla vita lavorativa, tra tentativi ed errori.
Fino ad oggi dove, durante questi giorni di pausa appena conclusi, mi sono fermata e ho cercato di mettere insieme i pezzi cercando di tessere una tela che creasse un legame sensato fra loro.

Questo processo di connessione (se vogliamo chiamarlo così), si è innescato dopo la lettura di un libro: “Architettura Open Source”, curato da Carlo Ratti.

Un piccolo libro acquistato per caso, dopo avere assistito ad una mattinata di formazione all’Ordine degli Architetti relativa alla “internazionalizzazione della professione”.
Lo stesso giorno sono andata alla Hoepli per acquistare un libro più “tecnico e gestionale” (legato agli argomenti trattati la mattina) e – anziché acquistare il testo che avevo in mente – sono tornata a casa con quella piccola opera che credo oggi di poter definire “il libro giusto al momento giusto”.
Non mi dilungo nel descriverlo (vi lascio al video riportato sopra), dico solo che quelle poche ma dense pagine hanno impiantato un piccolo e significativo seme, supportato da un grande conforto che mi ha fatto esclamare più volte durante la lettura: “Ma allora è possibile! Si può fare!”.

Gene Wilder
Gene Wilder in Frankestein Jr di Mel Brooks

Da lì, pezzo dopo pezzo, scrivendo, disegnando e pensando possibili opzioni, ho iniziato a rivedere il modo di comunicare. Ipotizzando qualche passo indietro e/o di lato.
E sono ritornata anche qui, al blog (“Sei sicura di volerlo proprio abbandonare?”, mi sono domandata; “Sei sicura che non ti sia necessario avere comunque un luogo che raccolga in modo più organizzato testi, foto e video?”, mi sono domandata ancora).

Riconsiderando persino il concetto di “blog tematico/nicchia” (che faccio – facevo? – tanta fatica a digerire).

So che sembra un “avanti e indietro” continuo, che suggerisce indecisione e incertezza.
E – aggiungo – non è detto che sia la fase finale, il punto di arrivo del percorso di ricerca.
Può essere solo uno dei tanti momenti di sosta e di approfondimento.
Ma mi conforta un fatto: che spostarsi, provare, tentare, smontare e rimontare, rigirando di sotto in su le cose più e più volte, non è necessariamente indice di incapacità a prendere indecisioni, bensì può essere necessario per adattarsi alla realtà in costante mutamento.
E a tale proposito chiudo con il link ad un TED Talk che ho incrociato di recente e che credo offra una interpretazione delle cose molto interessante e da non sottovalutare.

Buona ripartenza da qui, dove siete (sono) ora.

 

Sul web apprezzo la brevità… credo

Letture digitali letture cartacee

Si fa tanto parlare di modalità diverse di lettura tra web e libri, web e articoli (su carta, piuttosto che online), tra libri cartacei e libri digitali… (di recente ho letto questo articolo condiviso da una amica: “8 motivi scientifici per cui dovremmo leggere spesso libri, meglio se cartacei: ci rende più intelligenti ed empatici”; ultimo di una lunga serie di contributi e riflessioni in materia).
E mi rendo conto che anche io (strenua sostenitrice della indifferenziazione del mezzo di lettura) negli ultimi tempi, sto registrando un livello diverso di attenzione a seconda del “tipo di supporto” su cui sto leggendo.

Ricordo anche che tempo fa era stato pubblicato uno studio che forniva delle indicazioni sulla lunghezza media dei contributi online (blog, social network, ecc.) ed ero rimasta sbalordita dall’elevato numero di parole che era consigliato per un post su un blog: 1500 parole! (“Ogni contenuto ha la sua lunghezza ideale…”).
Tant’è che avevo chiesto delucidazioni ad alcuni esperti del settore e si era convenuto che la forse l’interpretazione corretta del dato era “battute”, non “parole” (ridimensionando la lunghezza degli articoli a 500 parole).

LunghezzePost

Ed oggi, leggendo un post di Mafe De Baggis (“Overtip”) e – di rimando – un secondo contributo da lei suggerito (“Mi riprendo la gentilezza” di Arianna Chieli), mi sono resa conto di come la brevità di entrambi gli articoli sia stata da me apprezzata. Permettendomi di assaporarne in pieno il contenuto (forse anche l’argomento ha giocato la sua parte).

Ho ripensato a come ho apprezzato in modo differente i sempre notevoli contenuti di – per esempio – Roberto Cotroneo a seconda che li legga sull’inserto del Corriere, piuttosto che sul blog (sul primo “media” li apprezzo di più, pur trattandosi di argomenti – in entrambi i casi – di altissimo livello).

Ho pensato alla fatica che faccio nell’arrivare al termine dei bellissimi post di “Nuovo e Utile”: articolati, pieni di rimandi e ricchissimi di spunti. E talvolta lunghi.
Lasciando perdere la fatica immensa di lettura del blog “Brain Pickings”: articoli lunghi, con la variabile aggiuntiva della lingua inglese trattata – per i miei parametri – in modo complesso grazie anche alla preziosità dell’argomento. (E di questo mi rammarico non poco, cercando di riparare come meglio posso.)

Ho pensato alla riflessione che sto facendo su come (e se) proseguire nella lettura di “Pensieri lenti e veloci” di Daniel Kahneman: iniziato in formato ebook (per questioni di trasportabilità…), mi sono arrestata (mi sono accasciata, sarebbe più corretto dire), al 30% di lettura.
Tornata a casa dalle vacanze ho preso dallo scaffale la copia cartacea, sfogliandola e rendendomi conto che forse il metodo giusto per leggere questo tipo di libro sia proprio usufruire del tomo.

Senza dimenticarmi della esperienza di lettura de “Le città invisibili” di Italo Calvino.

Per ricordare bene quello che hai letto scegli un libro tradizionale. In questo, sfogliare le pagine fa la differenza rispetto a un e-book. Toccare la carta porta al cervello una sensazione ulteriore – riporta Wired Usa – che aiuta a capire e memorizzare le parole che leggi. [Dall’articolo pubblicato su Huffington Post, citato in apertura di questo post]

Che gli studi neurologici sulla differenza di approccio al mezzo di lettura abbiano un fondamento di verità…?
Non lo so.
Per ora ho aggiunto alla mia “lista dei desideri” dei libri da leggere “Slow reading: leggere con lentezza” di David Mikics (suggerito da una “social amica”), per capirci di più.
In rigoroso formato cartaceo.

Libri e Web, un binomio interessante [VIDEO]

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Ho letto il libro scritto da Davide Giansoldati, “Promuovere e raccontare i libri sui social network: Strategie, idee, consigli pratici e soluzioni su misura”.
Libro insolito che mette assieme, crea punti di contatto, tra due mondi ancora un po’ lontani ma che se intrecciati fra loro possono trarne un immenso vantaggio entrambi.

Di seguito la recensione pubblicata su Amazon seguita dalla videoriflessione presente su You Tube:

“L’ho letto in pochissimi giorni e l’ho trovato un testo utile.

In particolare ho letto la versione ebook, che consiglio vivamente per la seguente ragione: dal titolo è facile evincere l’argomento trattato dall’autore, che cita numerose fonti e siti web utili alla esemplificazione di quanto scrive.

La presenza dei link attivi sull’ebook, ti permette di visionarli direttamente dal dispositivo conducendo così un esperimento di “lettura integrata” e – se vogliamo – dal sapore “social”.

Inoltre – pur non essendo io un editore o un autore di libri – ho trovato molti spunti e suggerimenti validi anche per chi ha un blog e/o condivide informazioni relative ai libri che legge.

Di lettura agile e rapida, si divora in pochissimo tempo.

E resta un testo da tenere comunque a porta di mano, per poterlo riprendere in qualsiasi momento come guida per potersi districare nell’intricato mondo del web, che forse dialoga con un po’ di difficoltà con il mondo della editoria (ancora legato – per alcuni aspetti – al mondo cartaceo… ma questa è una mia impressione da “migrante digitale”).”

Buona lettura!

Slot Temporale

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Questa stravagante commistione di due parole quasi ridondanti tra loro (“slot” e “temporale”, nel senso di tempo), mi è venuta in mente oggi, mentre guardavo ad una serie di iniziative culturali e digitali alle quali mi sono iscritta.

Tra la Fondazione del Corriere della Sera (che avvia un ciclo di tre conferenze dal titolo “Cultura e Sviluppo nel mondo che cambia”, che verteranno sulla “Creatività”, sulla “Innovazione” e sulla “Conoscenza”), le iniziative di Meet the Media Guru, la magica scoperta che ho fatto delle visite guidate ad Hangar Bicocca (spazio spettacolare!)  e le conferenze della Social Media Week (che si terrà a Milano settimana prossima), mi sono resa conto che il comune denominatore di queste iniziative è il tempo.

60, 90 minuti massimo di conferenze e visite. Non di più.

Uno specchio dei tempi (sempre più accelerati) che inizio ad apprezzare particolarmente anche io.

E mi domando, da migrante digitale quale io mi sento, se questo è indice di un abbassamento di attenzione e di volontà di approfondimento, oppure se si tratta semplicemente di un cambio radicale del modo di comunicare.

Perchè osservo (o per lo meno, mi sembra di osservare) che sì, c’è una maggiore superficialità della condivisione di informazione (prova ne sono certe bufale, gettate abilmente in rete, alle quali abboccano subito in tanti, senza previa verifica della veridicità della notizia), ma c’è anche una abile ricerca di trasmissione e condivisione di informazioni, operando delle sintesi efficaci.

Sintesi che – ribadisco – apprezzo sempre più, forse perchè riescono a trasferire contenuto senza entrare nella “pericolosa” zona del calo di attenzione (che non ricordo più dopo quanto tempo si verifica).

Infatti – in contemporanea – mi rendo conto che davanti a filmati lunghi, tomi impressionanti e visite guidate fiume, mi stanco, mi distraggo e mi annoio.

Mi affascina il linguaggio e la comunicazione, ed i mezzi utilizzati per trasmetterli.

Ed in una Era come questa – dove la comunicazione (soprattutto visiva… ma questa è un’altra riflessione che mi facevo dopo avere visto Prometheus) ha assunto aspetti affascinanti che presagiscono evoluzioni che forse noi (almeno io…) non riusciamo ancora ad intuire – accorgermi di un cambiamento percettivo che mi interessa da vicino, mi stupisce e mi disorienta.

Io, me!, povera migrante digitale che ha passato anni a studiare tomi mostruosi, visitando mostre oceaniche…

Immagine tratta dal Sintesi Digitale

Il Mondo è cambiato…

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Il Mondo è cambiato…!
“Ma dai!? Ma giura!? Non ce ne eravamo mica accorti…!”, potrebbe pensare qualcuno. E a ragione.
Ma questa riflessione banalissima ed evidentissima, arriva da una serie di ragionamenti che mi facevo ieri mattina.

Tutto è partito dal pensiero che sto finendo lo shampoo e la crema districante per i capelli.
Purtroppo sono di una marca di un noto parrucchiere e pensavo – fino a non molto tempo fa – che sarei dovuta andare in uno dei suoi saloni per acquistare i prodotti.
Finché, qualche settimana fa, non ho scoperto che posso acquistarli direttamente on-line da una nota catena di profumerie.

Pensando a questo (pensiero di altissimo livello…), ho anche pensato che spesso faccio le corse alla sera per arrivare a casa in tempo utile per fare la spesa, prima che il supermercato del posto in cui vivo non chiuda (e ciò avviene alle 20.00). Ed improvvisamente mi è tornato in mente che forse una soluzione comoda c’è: l’acquisto on-line dei prodotti alimentari, attraverso il portale di una notissima catena di supermercati, con consegna a casa tua fino alle ore 22.00 (se non ricordo male). Quindi posso fare il mio ordine da un qualsiasi portatile, pc, tablet… e – senza correre come una forsennata – arrivare a casa e aspettare la consegna. Magari costa un po’ di più, ma il risparmio in termini di tempo ed il guadagno in termini di corse, è molto alto.

Proseguendo queste riflessioni, mi sono ricordata che lunedì devo andare a Padova per una riunione. Il solo pensiero mi fa venire il mal di pancia: tanti chilometri, riunione di 2-3 ore, e altrettanti chilometri per tornare indietro, col buio e la stanchezza che ti accompagna.
Ho pensato che abbiamo installato Skype in ufficio ma non lo abbiamo mai attivato.
Acquistando per pochi soldi una webcam ed un microfono, potremmo serenamente fare tutte le riunioni del mondo, agli orari più impensati, riducendo drasticamente i chilometri percorsi e guadagnando tempo prezioso.

E pensando sia agli acquisti on-line (consegna a casa, o dove vuoi tu), che a Skype & C. (grazie al quale ieri ho avuto un bel colloquio telefonico dove ho scambiato idee ed opinioni su un importante progetto, mentre nei giorni precedenti ho fatto lunghe chiacchierate con amici veneti e – grazie a queste modalità di collegamento – sto costruendo assieme ad altre persone, dislocate geograficamente ovunque, una serie di iniziative), ho percepito realmente che il mondo sta cambiando ed è cambiato.

Sembra di una banalità e di una evidenza scontata, ma forse non lo è così tanto.
Perché proprio una settimana fa, girando per Milano con delle persone, si osservavano alcuni esercizi commerciali chiusi, e si rifletteva sulla “crisi”.

Sì, è vero, la crisi c’è ed è pesantissima.
Personalmente – essendo una Partita IVA – vivo costantemente con la Spada di Damocle sulla testa, col pensiero fisso di dovermi reinventare per essere pronta ad affrontare virate improvvise di rotta…
Però, pensando alle molteplici attività di commercio di beni materiali ed immateriali, forse non è stato totalmente metabolizzato questo cambio operativo.

Io, come utente finale, trovo comodo reperire ciò che mi interessa on-line, acquistarlo a qualsiasi ora e farlo arrivare direttamente a casa (salvo alcune merci, tipo abbigliamento, per le quali ho ancora la necessità di vederle, toccarle e provarle).
E forse qualcuno che svolge questa attività non ha ancora ben recepito questo cambio radicale che è in corso.

Analogamente, credo che qualcuno che lavora all’interno di team dislocati in vari punti geografici, non ha ancora ben percepito che esistono tecnologie che permettono di alleggerire parecchio la fatica degli spostamenti.

Io, come progettista e venditore di servizi, trovo molto comodo poter usufruire delle tecnologie di comunicazione sempre più avanzate, che mi permettono di dialogare, ragionare, progettare con persone che si trovano chilometricamente distanti.
Una volta tutto questo non potevo farlo o, se potevo/dovevo, dovevo sobbarcarmi chilometri e chilometri di strada.

Qualcuno potrebbe obiettare che così si finirà per stare ognuno nel proprio loculo/cubicolo, isolato dai propri simili pur essendo in contatto col mondo intero.
Non sono totalmente d’accordo.
Quello che forse non riusciamo ancora a percepire bene è invece l’allargamento immenso dei confini operativi e il guadagno di tempo (che si perde/perdeva negli spostamenti) per fare altro, ottimizzandolo a favore di altre attività.

Ma forse mi sbaglio…
Non lo so…

Questo è semplicemente un flusso di coscienza, partito da una constatazione che mi sta finendo lo shampoo…

[Immagine tratta da Google Image]