Futuro, professioni e Industria 4.0

 

lavoro-del-futuro
Immagine tratta da Smart Week (Le 11 professioni più richieste del futuro)

Il World Economic Forum stima che già nel 2020 (cioè fra 4 anni, praticamente domani…) si avrà una flessione del 5% delle professioni della fascia medio-alta (intendendo professioni legate alla amministrazione, ingegneria e discipline affini che definirei “intellettuali”). (A questo link è possibile leggere e scaricare il pdf del documento redatto dal WEF: “The Future of Jobs”)

L’anno scorso – in questo periodo – partecipai alla Alumni Polimi Convention dove si parlò di “Industria 3.0”. Oggi si parla già di “Industria 4.0” (semplificando: robotica + Intelligenza Artificiale + Big Data + …altro…). 

Rischi e incognite dell’Industria 4.0

Nell’articolo menzionato qui sopra (e in altri che si leggono sempre più di frequente) vengono disegnati scenari che possono preoccupare non poco. E di cui si legge comunque da un po’ di tempo (un anno fa circa avevo scritto qualche post “lato utente” sull’argomento):

Ci salverà l’esperienza?

Manualità vs progettualità

Robot e C.

E qualche mese fa ho letto il libro di Claudio Simbula “Professione robot”, dove l’autore individua 31 professioni ad alta probabilità di sostituzione da parte dei robot (alcune già in atto).

Tirando le prime somme, tra libri, articoli e rapporti sullo stato dell’arte, pare che nessuno sia escluso da questa rivoluzione sempre più incombente e più prossima. Sappiamo che non si tratta più dei soli lavori manuali e ripetitivi (operai, magazzinieri), bensì anche di attività di professionisti (avvocati, commercialisti, assicuratori, ingegneri, architetti).
Non solo.
Proseguendo nella carrellata di attività coinvolte, si parla anche di assistenza all’uomo in ambito medico e sanitario (è di questa estate la notizia del super-computer IBM Watson che ha trovato una cura per un caso di leucemia rara, grazie alle sue capacità di calcolo che hanno consentito un incrocio di dati in tempi ridotti e la conseguente individuazione di una terapia adatta). Senza dimenticare la vendita già da tempo oggetto di pesante mutazione grazie all’avvento dell’e-commerce e di sue declinazioni (più per la parte di intelligenza artificiale).
Insomma ce n’è per tutti.

Ed è comprensibile lo sconforto e la preoccupazione (anche perché personalmente non riesco a vedere quali possono essere le possibili evoluzioni e direzioni da prendere).

Ma una speranza c’è, a mio avviso (e non solo mio). E porta il nome di creatività
Quella capacità tipica dell’uomo di inventarsi cose e trovare soluzioni innovative per qualcosa.

Almeno fino a quando gli algoritmi non saranno così evoluti da apprendere e – sulla base di quanto acquisito – creare e progettare soluzioni nuove. (E se ciò avverrà mi auguro che accada il più in là possibile nel tempo.)

lalgoritmo-definitivo
In foto l’ebook del libro “L’Algoritmo definitivo” di Pedro Domingos, edito da Bollati Boringheri (lettura estiva che riprenderò a breve e che avevo interrotto perché necessita di una concentrazione che questa estate non c’era)

E restando nel campo degli algoritmi, e di Intelligenza Artificiale, proprio stamattina ho letto questo interessante articolo sul blog Nuovo e Utile:

Linguaggio naturale e intelligenza artificiale: una bella sfida

Che tratta di come la macchina può interpretare il linguaggio dell’uomo. E della differenza tra linguaggio naturale (usato dall’uomo e denso di sfumature interpretative) e linguaggio artificiale (usato dalla macchina).

[E se volete farvi una chiacchierata online con una intelligenza artificiale, provate con Mitsuku (ringrazio l’amico Antonio Tartaglia per avermelo segnalato).]

Ebbene, nonostante tutte le previsioni possibili, è difficile avere una visione nitida del futuro (anche prossimo).
Di sicuro c’è che bisogna rimboccarsi le maniche.
Cambiare i famosi paradigmi.
E non smettere mai di imparare, informarsi e annusare le possibili tendenze del futuro. Implementando competenze e conoscenze, senza soluzione di continuità.

 

allo_google

Ah! A proposito… La foto qui sopra mostra alcune schermate di Allo di Google. La app sviluppata in risposta a Whatsapp (di Facebook) con integra l’assistente di Google, in una curiosa ibridazione tra “chat” e i vari Siri, Cortana & C (le intelligenze artificiali primitive che già ci portiamo in tasca).
Testate online parlano del rilascio (sia per Android che per iOS) tra oggi e domani.
Io sono curiosa di testarne il funzionamento.

[Immagine di copertina da ThinkStock Photos]

Vacanze: tempo di riflessioni

Immagine tratta da blog.tagliaerbe.com

Oggi – lunedì 31 agosto 2015 – si può dire che sia l’inizio di un nuovo anno (una data più significativa – almeno per me – di quella tradizionale del 1° gennaio).
Una data che può significare una ripartenza. Un nuovo inizio.
Preceduto da una pausa (una vacanza) più o meno lunga.
Pausa che può essere stata declinata in vari modi: riflessione, svago, …

Per me è stato anche un momento di riflessioni, di bilanci e di pensieri sul futuro.
E proprio in questi giorni di pausa mi è capitato di leggere un po’ di articoli e di post sulle professioni e sul lavoro.

Due mi hanno colpito particolarmente:

  • uno era un’intervista comparsa su Corriere Innovazione di un giovane imprenditore che si lamentava del fatto che non riesce a trovare giovani che vogliono mettersi in gioco (parlava anche di regolare assunzione);
  • il secondo è relativo ad una ricerca su alcune figure professionali legate alla comunicazione digitale (ho scorso la pagina per curiosità, leggendo di competenze dai termini “astrusi” che poi – forse – ridotte all’osso vogliono dire cose molto semplici).

Leggendo questi articoli (ma anche altri contributi) la domanda che mi è sorta spontanea è: ma una persona della mia età [ho 47 anni, n.d.r.], che cerca di capire come il mondo sta cambiando, che cerca di cavalcare come meglio può il cambiamento, che cerca di restare al passo (senza conoscere molti dei termini astrusi che vengono snocciolati come un rosario negli ultimi tempi), che investe tempo-testa-energia per formarsi… ha futuro? Oppure è destinato comunque ad estinguersi (come i dinosauri)?

Se uno si incaponisce nel voler assumere giovani (che non ne vogliono sapere, ammesso che sia così…), perché non prova anche a valutare candidature con età maggiore, che forse hanno più esperienza, e hanno grandi bagagli di competenza che possono mettere a disposizione?

Capisco che la linguistica, ed il suo uso sapiente, possono fare da filtro e da prima scrematura, ma perché non si prova a semplificare il linguaggio in modo da attrarre anche chi ha competenze maturate consapevolmente (o anche inconsapevolmente), facilmente verificabili online (e offline) e può condividere l’esperienza accumulata nel tempo?

Tutto questo (e altro ancora, che mi capita di leggere navigando nel web) mi ha fatto ricordare un annuncio che avevo letto anni fa su “Corriere e Lavoro”.

L’annuncio recitava (più o meno): “Azienda XYZ ricerca per inserimento nel proprio organico laureati in XKW, massimo 27 anni, pluriennale esperienza maturata in ambito YYY, conoscenza X lingue (livello madrelingua), conoscenze informatiche di [elenco di una serie di software], […]“.
Un elenco di svariate conoscenze e competenze oggettivamente impossibili per un laureato da pochi anni.
In sostanza “odorava” di una immensa presa in giro e di scarsissima serietà: veniva voglia di scrivere e chiedere se erano sicuri di quello che avevano pubblicato.

(Senza contare la mia personale esperienza con una nota agenzia di “head hunter”: arrivata mi diedero un questionario da compilare fatto di tante crocette, dopodiché feci un colloquio con due ragazzi che avevano la metà dei miei anni [lui si atteggiava a manager, lei sembrava una velina]. Ricordo che uscita di lì mi domandai cosa prevedeva la loro procedura quando si presentava un manager di 50-55 anni…)

Davanti a questi episodi e a queste letture, ti fai delle serie domande.
Sul tuo futuro, sulla tua professionalità.
Su cosa ti aspetta da qui ai successivi 20 anni di lavoro.

Ed in momenti nei quali la stanchezza si fa sentire, ti capita di dire al babbo (tornando a casa assieme a lui una sera di qualche settimana fa): “Io vado a fare il contadino. Mi sa che è meglio.”
O forse no.

Buona ripresa!

“Facciamoci avanti (Lean in)” – Sheryl Sandberg

libro

Ho da poco terminato la lettura del libro “Lean In” (tradotto in italiano “Facciamoci avanti“) scritto da Sheryl Sandberg (Direttore Operativo di Facebook).

L’ho iniziato con scarsa convinzione: un po’ per quanto avevo letto sul web (che mi faceva intendere un cambio di passo sostanziale rispetto allo stile misurato di Susan Cain), un po’ a causa della introduzione scritta da Daniela Riccardi (Amministratore Delegato di Diesel, attualmente al termine del suo mandato, ed ex-Amministratore Delegato di Procter&Gamble Cina).

Quanto avevo letto sul libro (prima che venisse pubblicato e durante la fase di lancio pubblicitario) mi aveva fatto pensare ad un testo in tipico stile aggressivo-manageriale-americano. Ed appena uscita dal libro-soft (ma non per questo meno emozionante) “Quiet“, temevo – presupponendo – una dissertazione ad “alto impatto”.

E – purtroppo – l’introduzione aveva iniziato a confermare le mie pre-riflessioni: Daniela Riccardi dissertava con stile energetico (troppo energetico e vincente, secondo me) della difficoltà di essere mamma-manager che si doveva dividere tra aerei-marito-figlio-nanny (alias baby sitter), non necessariamente in questo ordine. Mentre leggevo le pagine iniziali pensavo – tra me e me – “Vallo a dire a quelle donne che non hanno una nanny al seguito come se la devono cavare!” (ed io ne conosco alcune…).

Invece, superato lo scoglio, nelle prime pagine Sheryl descrive sé stessa (ai tempi di Google) come una creatura stile “balena” (era incinta di uno dei suoi due figli), con camminata “a papera”, afflitta una nausea (che la perseguiterà per ben nove mesi). Insomma una descrizione umana e simpatica che riesce a farti vedere l’autrice non come la super-manager vincente, ma come una donna che si trova – sì – in una posizione privilegiata, ma che comunque si scontra con le difficoltà lavorative, con gli ambienti maschili e la gestione di una famiglia (ed il senso di inadeguatezza da mamma, accompagnata da sindromi da workaholic).

E’ un po’ il racconto della sua esperienza di vita e delle riflessioni che la accompagnano nella sua quotidianità lavorativa e umana.

Niente di epocale, ma comunque una dissertazione abbastanza trasversale e parecchio vivace (e leggera) sul binomio donne-lavoro. Da un punto di vista americano (dove non è tutto rose e fiori, come possiamo immaginare… tutt’altro…).

Si lascia leggere piacevolmente e ti fa fare qualche considerazione (soprattutto quando si parla dell’auto-sabotaggio, argomento a me molto caro…).

Una nota un po’ stonata è forse il finale: ho trovato la call-to-action troppo enfatica. E qui capisco anche perché il libro sia stato etichettato come un testo filo-femminista (cosa che l’autrice nega più volte nel corso della narrazione).

Comunque qualche spunto qui e là c’è.

Di seguito riporto quelli che mi hanno colpito di più:

“Non penso più che esista un professionista dal lunedì al venerdì, e una persona vera per il resto del tempo. Probabilmente questa separazione non è mai esistita e, oggi che viviamo nell’era dell’espressione individuale, aggiornando di continuo il nostro stato su Facebook e twittando ogni minima mossa, ha ancora meno senso. Anziché indossare una falsa “personalità tutta-e-solo-lavoro”, penso che ci farebbe bene esprimere la nostra verità, parlare di situazioni personali e riconoscere che, spesso, le decisioni professionali sono dettate dalle emozioni.”

“[…] la vera leadership nasce da un’individualità espressa onestamente e, talvolta, in modo imperfetto. Tutti ritengono che i leader dovrebbero privilegiare l’autenticità anche a scapito della perfezione.”

“Avere tutto” è da vedersi come un mito e, come molti miti, può comunicare un utile ammonimento. Pensate a Icaro, che si librò a grandi altezze con le ali preconfezionate con le sue mani. Il padre lo aveva avvertito di non volare troppo vicino al sole, ma Icaro ignorò il consiglio. Volò ancora più in alto, le ali si sciolsero e precipitò a terra. Il perseguimento di una vita sia professionale che privata è un obiettivo nobile e raggiungibile, ma fino ad un certo punto. Le donne dovrebbero imparare da Icaro a puntare al cielo, ma tenendo presente che tutte noi abbiamo dei limiti oggettivi.”

“Fatto è meglio che perfetto”
La ricerca della perfezione porta alla frustrazione nel migliore dei casi, e alla paralisi nel peggiore.”

“Sarà piuttosto caotico, ma abbracciate il caos. Sarà complicato, ma gioite delle complicazioni. Sarà del tutto diverso da come pensate, ma le sorprese vi faranno bene. E non spaventatevi: potrete sempre cambiare idea. Io lo so bene: ho avuto tre carriere e quattro mariti.” [Nora Ephron alla cerimonia di conferimento delle lauree a Wellesley nel 1996.]

“So che non è istintivo, ma io successo a lungo termine nel lavoro spesso dipende dal non cercare di accontentare ogni richiesta che ci viene fatta. Il miglior modo per lasciare spazio sia alla vita che alla carriera è fare deliberatamente delle scelte: porre dei limiti e rispettarli.”

“Il generale Colin Powell […] spiega che la sua visione di leadership rifiuta “gli stronzi stakanovisti” che trascorrono lunghe ore in ufficio senza rendersi conto delle conseguenze sul loro staff. […] “Li pago per la qualità del loro lavoro, non per il numero di ore”

Se dovessi adottare una definizione del successo, direi che successo significa fare le scelte migliori possibili, e accettarle.

Ogni lavoro richiede un sacrificio. Tutto sta nell’evitare i sacrifici inutili. Questo è particolarmente difficile perché la nostra cultura del lavoro dà molto valore alla dedizione totale . Temiamo che menzionare altre priorità ci faccia perdere valore come lavoratrici.

“Leadership significa migliorare la condizione altrui grazie alla vostra presenza e accertarsi che i risultati siano duraturi anche in vostra assenza” [Youngme Moon, Frances Frei e Nitin Nohria – Harvard Business School]

I genitori a tempo pieno – per lo più madri – rappresentano un’ampia quota del talento che ci aiuta a sostenere le scuole, le organizzazioni non profit e le comunità locali.

Alzare la mano e dire “Non si può fare” è garanzia che non si farà mai.

Buona lettura!

Questo il sito del progetto “Facciamoci avanti”: www.facciamociavanti.it

Questo il sito del progetto americano (originale) “Lean In”: http://leanin.org/

Ibridazione e Contaminazione

Ho scelto per questo post una foto dell’opera di Salvador Dalì, “Geopolitico che osserva la nascita di un nuovo uomo” (1943), perchè trovo i quadri di Dalì fortemente visionari, evocativi e pregni di immagini ibride e contaminanti.

E parto da qui per riflettere sul concetto di “ibridazione” e di “contaminazione“.

Su Wikipedia alla voce “Ibrido” si legge di ibridazione biologica, chimere e altre cose che evocano immagini mitologico-orrorifiche ed immagini di orrori di sperimentazione biologica. Mentre alla voce “Contaminazione (letteratura)“, si leggono definizioni più consone all’idea che io ho dei concetti in questione.

Credo che sia molto diffusa una concezione negativa dell’ibridazione e forse è per questo che quando, durante una chiacchierata, alla mia affermazione che io mi sento un ibrido (professionalmente parlando), ho suscitato qualche perplessità.

Ma questo non ha cambiato la mia idea. Anzi, recentemente, è stata rafforzata dal libro di Herminia Ibarra, “Identità al lavoro”, che – per me – ha rappresentato una vera e propria rivoluzione copernicana in termini di approccio al cambiamento, all’interno di una realtà in forte mutazione.

Ed una ulteriore prova, nonché una concretizzazione di questa idea, mi si sta presentando davanti nel corso della prossima settimana: sarà uno dei numerosi (spero!) momenti nei quali testerò l’effettiva valenza del concetto di ibridazione professionale e contaminazione culturale. Infatti mi accingo a partecipare (come uditore neofita) ad un convegno sulle nuove professioni in ambito digitale (Job Matching a Milano, martedì prossimo 6 marzo) e mi accingo a fare un check delle capacità acquisite in ambito Coaching (l’8 marzo) e parteciperò alla presentazione del libro “Create!” di Mirko Pallera (fondatore di Ninja Marketing) previsto sempre per il giorno 8 marzo, alla libreria Fnac di Milano, con l’obiettivo di annusare l’ambiente digitale e di trarne ulteriore ispirazione.

Mi sto rendendo conto che la mia formazione accademica (laurea in Architettura) e la mia professione (lavoro da quasi 15 anni nell’Ingegneria), rappresentano già un primo fenomeno di ibridazione (come mi è stato evidenziato da tanti clienti).

Ora, nell’ultimo anno e mezzo, ho mosso i primi passi nella realtà digitale, immergendomi nel web e facendomi assorbire da questi scenari – per me nuovissimi – e dalle sue potenzialità per me quasi inesplorate.

Se a questo aggiungo il rinnovato interesse per l’Arte (il recupero di quanto studiato al Liceo Artistico) e tutte le forme di Creatività (digitale e non), una effettiva commistione di interessi c’è.

E mi trovo, come tanti (se non tutti), in un momento molto particolare e di transizione della realtà lavorativa: mi rendo conto che è necessario rivedere il concetto di professione svolta fino ad oggi (anche e soprattutto intorno ai 40 anni, la mia età, dove ci si trova a metà del percorso lavorativo).

Nei mesi scorsi mi sono presa del tempo e ho scritto (in una sorta di brainstorming in solitaria) cosa mi piace fare, cosa mi diverte e cosa mi viene facile (senza che accusi fatica fisica e mentale): sono emersi spunti interessanti e ho buttato via cose che non servivano più (in una sorta di feng-shui mentale, come dice la mia amica Sara), rimuovendo un po’ di ruggine stratificata nel tempo e focalizzando.

Ora, continuando la sperimentazione, il grosso del lavoro sta nel collegare cose nuove e cose note in modo diverso rispetto a quanto fatto finora. Perchè la chiave ed il futuro della (mia) professionalità è lì: bisogna inventarsi qualcosa di nuovo, continuando ad indagare e a sperimentare. Continuando ad essere ricettivi, aprendo la propria mente e funzionando come i migliori radar mai esistiti. Anticipando i tempi e cercando di stare sempre un passo avanti.

Non è facile. Anzi è molto difficile.

Vanno scardinati vecchi processi mentali (cristallizzati nel tempo), vanno coltivati nuovi interessi, vanno fatti esperimenti. Va fatta (tanta) fatica. Ma, per come la vedo io, va fatto se si vuole sopravvivere e – soprattutto – rinascere.

E va buttata a mare la pigrizia e la paura. La paura dell’ignoto. Perchè “l’ignoto è quel luogo dove tutte le idee prendono forma…”.