
Ho pubblicato questo articolo su LinkedIn qualche settimana fa, dopo una delle visite in Expo.
Ed oggi ho deciso di condividerlo anche qui – sul blog – in una “struttura” più organizzata.
L’obiettivo del post non era (e non è) parlare dell’evento Expo e/o delle vicende ad esso collegate: penso si siano sono spese (e si spendano tutt’ora) migliaia di parole, da più punti di vista. E non mi sento di aggiungere ulteriore caos alla interpretazione di questa manifestazione. Mi diletto solo a far parlare le immagini, condividendo sui social le foto che faccio, e trovandola – tra l’altro – una manifestazione molto bella dove l’architettura fa da padrona.
Desidero invece ragionare su quello che ho visto nel Future Food District creato da Coop: YuMi, il robot realizzato da ABB, operativo all’interno del supermercato-prototipo (spazio progettato – tra gli altri – da Carlo Ratti del MIT). Osservando questa macchina che sposta, inscatola, ordina, ho avuto la sensazione di “avere preso un bel granchio” (per usare un eufemismo).
Sì, perché mi è tornata in mente una precedente installazione dimostrativa progettata e realizzata dall’architetto Carlo Ratti: il robot barman Makr Shakr, portato a Milano in occasione di una sua “lecture” per Meet the Media Guru.
E mi sono ricordata anche di un articolo letto qualche giorno prima che presentava il robot muratore Hadrian, in grado di costruire una casa in due giorni.
In tutto questo convergere di informazioni sull’avanzata della tecnologia delle macchine, è stato inevitabile il rimando alle riflessioni fatte qualche tempo fa sulla nostra esperienza (che forse – ma non è detto – ci salverà), sui lavori che stanno scomparendo, sui prototipi di auto e camion che si guidano da soli (Mercedes ne sta testando uno).

E ho pensato che forse la convinzione che la manualità sia quella competenza che garantisce comunque un futuro, non sia totalmente corretta.
Sicuramente è un attività umana sulla quale si può e si deve continuare ad investire, ma non mi sembra la via di uscita.
Dal mio punto di osservazione, il mondo con il quale ci stiamo gradualmente ed inesorabilmente confrontando sempre più è un mondo fatto di macchine, “app”, software… Dove la nostra intelligenza e capacità di programmazione (unite alla nostra creatività) possono essere la chiave di volta (pensando anche all’auto-produzione con stampanti 3D).
Non c’è bisogno che lo dica io (ci sono fior-fiore di studiosi, scienziati, ingegneri, che ci ragionano e ci lavorano attorno), ma credo che ci si debba sforzare nell’avere una visione della propria professione su media e lunga gittata. Ponendoci domande su come vogliamo trasformarla, su che direzione vogliamo prendere, su cosa vogliamo fare, su dove andare a catturare ed imparare le tendenze del futuro.
Con pragmatismo, lungimiranza, senza paura (la cosa forse più difficile) e senza smettere di imparare.
[E continuo a domandarmi – quotidianamente – se e quanto possa valere l’esperienza accumulata sino ad oggi… Forse come “forma-mentis”… Ma come esperienze accumulate, non ne sono più tanto convinta. A meno che non ci si sprema le meningi su come ricombinarle in modo nuovo, in funzione di quello che verrà e che ancora non conosciamo, visto che lo stiamo disegnando…]
Chiudo con qualche link ad articoli di approfondimento:
- manco a farlo apposta, oggi ho letto su LinkedIn questo articolo (in lingua inglese) pubblicato sul “magazine” di Speexx (azienda che si occupa di formazione in lingue straniere per le aziende) che ragiona attorno allo stesso argomento, in toni rassicuranti (riconoscendo comunque una mutazione in corso delle professioni): Technology creates jobs.
Se volete invece approfondire su YuMi, su Makr Shakr e sul Future Truck, qui sotto trovate degli articoli dedicati:
la robotizzazione della società non può avvenire senza una successiva condivisione del benessere con la collettività. A che servono i robot se poi non hai un mercato dove piazzare i prodotti?
Ciao Flavio,
condivido la tua riflessione.
Ricordo di avere sentito di un esperimento che stanno conducendo (o hanno già condotto) su una realtà sociale piccola dove ognuno riceve un contributo economico equo che compensa la mancanza di lavoro e consente di vivere dignitosamente. (Questo in funzione della progressiva obsolescenza di alcune professioni)
L’esperimento in sé è molto interessante (e pare stia dando ottimi risultati).
La questione è: come è possibile estenderla ad una realtà molto più estesa (una nazione)?
Non so. Leggo e vivo cambiamenti inevitabili ed inarrestabili (come tutti) e mi domando come sarà il futuro (molto prossimo).
Grazie!