In questi giorni (e – in modo meno consapevole – in queste ultime settimane) mi sto rendendo sempre più conto (se mai ce ne fosse bisogno) di quanto sia difficile comunicare.
Riuscire a comunicare (e a farsi capire) dal proprio interlocutore, attraversando il filtro delle credenze, dei valori e delle emozioni di chi ci ascolta (di chi sta udendo le nostre parole, che non vuol dire necessariamente “ascoltare”).
Questo avviene di norma.
Quotidianamente.
Se poi ci si trova in una situazione di crisi come – per esempio – la presenza di una malattia grave che colpisce un tuo “caro” (che sia un amico o un parente più o meno stretto), dove ci sono in gioco emozioni molto forti, stress ed un processo di negazione in atto, diventa ancora più complesso.
(E dove il processo di negazione può coinvolgere tutti gli attori coinvolti, interni ed esterni all’ambito familiare.)
E se – ulteriore gradino – tu non sei un elemento direttamente coinvolto (familiarmente), ma sei un esterno (comunque interessato emotivamente), la situazione è ancora più complessa.
Con la variabile aggiuntiva di un recepimento delle informazioni probabilmente parziale, probabilmente filtrata (in termini di contenuti e di presenza di un filtro emotivo).
Una situazione dove tu – esterno ma emotivamente coinvolto – non puoi (e non devi, se non ti è espressamente richiesto) interferire.
Dove puoi suggerire degli strumenti che non è detto vengano utilizzati (e per questo non devi frustrarti).
Dove devi essere in grado di individuare linee di demarcazione di azione e di comunicazione che non possono (e non devono) essere superate.
Tutto questo in una configurazione di rete di comunicazione che vede medico-parente-paziente come una galassia dove tu (esterno) sei un satellite. Più o meno ascoltato e considerato (per i motivi più disparati che possono esserti o meno noti).
La comunicazione è un processo complesso.
La comunicazione in una situazione di salute compromessa è un processo complesso e assai delicato.
Dove il “distanziamento emotivo” non deve essere interpretato come una disumanizzazione, bensì come una ricerca e acquisizione di lucidità.
Lucidità di comunicazione (emittente) e interpretazione (ricevente).
Una lucidità necessaria (seppur talvolta difficile da applicare) per acquisire informazioni attraverso ricerche e per poter fare le giuste domande, le più accurate possibili (talvolta scomode ma necessarie), per avere chiarezza di visione e di possibili percorsi intrapresi.
Una lucidità necessaria (seppur talvolta difficile da applicare) per affrontare i problemi che possono essere di una enormità emotiva difficile da accettare. E che nella loro enormità emotiva possono essere intimidatori, non consentendoti di avere la forza (e quindi la lucidità) necessari per gestirli.
Senza per questo negare le (necessarie) emozioni che essi generano e che devono essere gestite con consapevolezza (riconoscendole e non negandole) e (appunto) con lucidità.
Nell’interesse del tuo caro-paziente-amico che è al centro di questo universo non solo medico ma anche comunicativo.
Caro-paziente-amico che va tutelato, rispettato, protetto e accompagnato.
Mi ha messo nel pensiero di oggi e di quello che sto vivendo da una settimana
Una riflessione bellissima che condivido in tutto e per tutto!
Grazie Laura, purtroppo è un percorso faticoso ma necessario.