[Avvertenza: post dal contenuto zigzagante… Partendo da un libro per arrivare a considerazioni personali, legate ad una precedente presa di coscienza in prima battuta sgradevole]
Ieri sera sono andata al primo incontro della nuova stagione del Bookeater Club di Zelda was a writer (di cui ho già scritto in tanti precedenti post).

E l’oggetto (o meglio, il libro) delle dissertazioni condivise è stato il nuovo romanzo di Jonathan Safran Foer, “Eccomi” (edito da Guanda).
Libro che – confesso – è stato di difficile lettura.
Per la sua monumentalità (circa 700 pagine) e per il suo contenuto.
Un libro che mi ha lasciato interdetta e che più volte – durante la lettura – mi ha fatto pensare: “Sì, va bene… Ma dove stiamo andando? Dove mi vuole portare l’autore? Qual’è la morale? Qual’è il fine ultimo di questo lavoro?”
Ed infine ci siamo…
Stasera in @rizzoligalleria con @zeldawasawriter a discutere sull’ultimo libro di Safran Foer.
Per me una “lettura scalata” (senza rotta e senza riuscire ad intravedere la vetta), per altri un amore sin dalla prima pagina.
Sono curiosa di ascoltare coloro che lo hanno amato per capire dove non ho colto.
[Scrivevo sul profilo Instagram ieri mattina]
Ma anche un libro che – contemporaneamente – mi ha intimidito.
Non avendo mai letto nulla di Safran Foer, e sapendo che è uno dei massimi esponenti della letteratura americana, mi sono sentita in difetto nell’esprimere una mia opinione che ne “sminuisse” l’opera. (Chi sono io per esprimere un parere, se non di dissenso, per lo meno di perplessità?)
Ed avendo avuto nei giorni precedenti un primo scambio di opinioni online con Camilla Ronzullo (Zelda), ieri sera sono stata invitata a condividere con gli altri le mie perplessità.
Perplessità e “lacune” che sono state sanate grazie all’analisi molto accurata che la stessa Camilla, insieme ad altri partecipanti, ha fatto.
E che hanno composto un mosaico ricchissimo, consentendomi di apprezzare il significato (i significati) veicolato attraverso una storia di normalità.
Già, la normalità.
O anche la quotidianità se volete.
Quella “situazione” che viviamo ogni giorno in modo scontato e talvolta passivo.
Che magari facciamo fatica ad accettare e a darle un senso.
Ma che può invece essere densa di contenuti ed insegnamenti.

Normalità che – personalmente – è tornata prepotentemente alla ribalta dopo che qualche giorno fa, mi sono resa conto che con le strategie ed i massimi sistemi che ho “frequentato” per lungo tempo sono arrivata alla fine. Non riuscendo più a trarre nessuno stimolo o spunto di riflessione.
Uno shock (che penso a posteriori essere stato salutare) che prima mi ha fatto capitombolare (metaforicamente) con un brutto sgambetto, poi mi ha riportato coi piedi per terra (dopo che mi sono rialzata e mi sono – sempre metaforicamente – tolta di dosso la polvere).
Facendomi ora vedere, osservare ed ascoltare l’intorno in modo forse leggermente diverso. (“Per arrivare a questo ci sono voluti 9 anni?”, mi sto domandando in questi giorni.)

E stamattina – sulla strada per l’ufficio – non so per quale strana ragione, ripensando alla bella serata del Bookeater Club e al libro di Jonathan Safran Foer, ho pensato anche alla personale quotidianità (non priva di preoccupazioni).
E ho pensato a come un libro che mi ha lasciato in prima battuta interdetta, ma che mi rendo conto sto metabolizzando grazie a ciò che ascoltato ieri sera, possa gettare una nuova luce su me stessa e su ciò che mi circonda.
Senza scuotermi, o strapazzarmi, bensì insinuandosi sommessamente.
[Qui sotto il minivideo della serata pubblicato sulla pagina Facebook di Zelda was a writer.]
molto bello quello che hai scritto.
9 anni.che sono mai?
Credo tu stia parlando di qualcosa che sfiori o investa in pieno la consapevolezza. Esistano, vivono al mondo persone che nemmeno si pongano queste domande. Perché ignoranti. Non so chi lo scrisse “l’ignorante non è colui che non sa, ma colui che pensa di sapere”.
Ogni volta che prendiamo cantonate, ci poniamo domande scomode per arrivare con fatica e fiatone, “forse” alla risposta che tanto cercavamo, lì stiamo vivendo.
Sto andando fuori tema.
Brava Barbara.
Ciao Giuliano,
grazie della tua riflessione!
Hai ragione, che saranno mai 9 anni…?
Mi rimanda alla mente il caro e vecchio detto “meglio tardi che mai”.
E forse, sì, forse è stato motivo di crescita anche questa strada (inutile?) percorsa per nove anni.
Ti dirò che adesso che ho preso coscienza (ho preso atto) della cosa, mi sento più leggera. E’ come se mi fossi (finalmente) liberata di un fardello di cui non mi volevo liberare (aggrappata come ad una personale copertina di Linus), ma di cui mi dovevo liberare.
Resta ancora un po’ il fastidio del tanto tempo speso (anche in termini economici). Ma passerà…
Ciao Giuliano!
Arrivederci a presto! Magari ad una serata all’Ordine degli Architetti. 🙂