E’ un libro piccolo ed intenso, quello scritto da David Le Breton (docente all’Università di Strasburgo).
Trovato nella pagina dei libri consigliati nel sito di Sebastiano Zanolli (manager e scrittore), narra della marcia, del percorrere la strada a piedi.
E ne esamina i diversi aspetti che essa può assumere.
Una trattazione che si divide tra il filosofico, le riflessioni personali e la documentazione storica (numerose sono le citazioni ed i rimandi a testi di varie epoche, con comune denominatore di racconti e riflessioni attorno al viaggio a piedi).
Una analisi della marcia da diversi punti di vista: dall’allegro vagabondare, alla passeggiata filosofica, al vero e proprio viaggio intrapreso a piedi (una usanza consueta da noi – in tempi passati – dove avere mezzi propri era una cosa assai rara, ma una usanza/necessità tuttora presente in quei Paesi dove ancora oggi avere un mezzo proprio è quasi – se non del tutto – impossibile).
Senza dimenticare la camminata (la marcia) intesa come pellegrinaggio. Quindi con una valenza mistica.
Raccontando della marcia estrema, capitolo nel quale vengono raccontate alcune esplorazioni alla ricerca di terre lontane.
Vere e proprie prove al limite della sopravvivenza, sfidando condizioni estreme, privazioni e malattie, inseguendo verità presunte o immaginate.
Prove che ti danno la misura di cosa si è in grado di fare quando si è mossi da un obiettivo alto.
Un libercolo piacevole, che ho letto subito dopo quello di Murakami Haruki: dopo avere corso con uno, ho camminato con l’altro rallentando il ritmo.
Abbracciando totalmente l’idea della camminata filosofica: concetto che mi è già (inconsapevolmente) familiare.
Apprezzando il piacere della camminata in solitaria (comune denominatore con la corsa solitaria di Murakami).
Momenti nei quali ritrovi te stesso, ed entri in comunione con l’ambiente che ti circonda.
Stando in silenzio.
Ascoltando e ascoltandoti.
Aprendo i sensi ed affinandoli.
Stando nella e con la Natura.
Stando nel e con il Presente.
Cosa che – secondo l’autore – questo non avviene quando si cammina in città: luogo di sovrastimoli che impediscono la completa percezione di sé stessi e di ciò che ci circonda.
E’ malcelata la sua antipatia verso l’ambiente urbano, verso mezzi di trasporto (anche parziali) quali treni, autobus o altro (evitando il discorso dell’auto privata, esclusa a prescindere).
E questo tradisce un po’ il suo estremismo.
Col quale si può essere d’accordo o meno.
Personalmente questo è l’unico aspetto del libro che mi ha lasciato perplessa.
Camminare (vagabondare) in città può essere una esperienza interessante.
Girandola a piedi si possono scoprire luoghi inaspettati, discreti e nascosti.
Basta essere mentalmente presenti (e non persi nei propri pensieri).
Basta non dover correre dal punto A al punto B.
Resta comunque un libro interessante e ricco di spunti.
Utile per apprezzare i vari aspetti che questa sorta di “meditazione dinamica” è in grado di offrirti e che – magari – tu non hai mai avuto modo di percepire (piuttosto che di prenderne consapevolezza).
Camminare significa aprirsi al mondo. L’atto del camminare riporta l’uomo alla coscienza felice della propria esistenza, immerge in una forma attiva di meditazione che sollecita la piena partecipazione di tutti i sensi.
Buona lettura!