Che brutta parola!
Fallimento… (Anche l’immagine l’ho scelta apposta… e non è stato facile trovare qualcosa di attinente sul web…)
Una parola che suona quasi come una bestemmia.
Un tabù.
Un qualcosa di cui non si deve assolutamente parlare.
Per lo meno in tanti ambienti.
Dove si gioca a livello linguistico con la parola “Successo” (“participio passato di succedere” – sì – ma non solo).
E dove l’atmosfera da “ricchi premi e cotillon” serve – in modo molto perfido – a fare leva sul tuo desiderio di successo.
Però facendo una ricerca sul dizionario, alla parola “successo” si legge:
successo (su’t:ʃɛs:o)
nome maschile
1. riuscita buon fine superare l’esame con successo
2. notorietàpopolaritàconsenso accoglienza favorevole, apprezzamento generale riscuotere un grande successo – Il successo gli ha dato alla testa.
di successo – molto famoso, apprezzato, amato un professionista di successo una trasmissione di successo
3. ciò che ha riscosso il favore del pubblico una raccolta dei più grandi successi
Che poi è il significato che io ho sempre considerato (e credo come me, tanti altri).
Attenzione, non sto contestando l’utilizzo massiccio e massivo della parola “successo”: è comunque una parola che viene spinta anche giustamente in avanti, utile ad esorcizzare paure varie ed eventuali che ci inseguono senza tregua (tendendoci agguati ad ogni angolo).
Solo che secondo me (e non credo di essere la sola) questa parola sta iniziando a creare qualche problema.
E ascoltare stamattina alla radio (Virgin Radio) un DJ che raccontava di un blog di successo dedicato proprio al fallimento, mi ha spinto a riflettere e a recuperare dei ricordi.
In particolare il DJ ha citato un blog (segnalato dal sito di La Repubblica) intitolato “Start up Over“: un sito/blog dedicato a tutte quelle Start Up nate come funghi e rovinosamente fallite.
Ne esamina le dinamiche, con l’obiettivo di “imparare dai fallimenti altrui e propri”.
Idea molto interessante.
Anche perché, dal mio punto di osservazione molto periferico e da perfetta neofita, osservo questo proliferare di nuove iniziative (tutte battezzate come “start up”) che hanno un comune denominatore: la tecnologia.
Un oceano che – secondo me – sta diventando via-via sempre più rosso, tendente al purpureo.
(Mi ricordo di un open-day della redazione di Wired al quale avevo partecipato e che aveva presentato nuove start up, con un comune denominatore: tutte applicazioni per web-mobile… Tant’è che mi ero domandata dove stava il vantaggio di tutto ciò. Percepivo una virtualizzazione sempre più spinta all’eccesso, con un pericoloso rischio di “sovra-esposizione”. Non a caso oggi si parla di possibile “bolla delle start up”).
Ma il “gancio” colto dal DJ stamattina e che gli è stato utile per lanciare un dibattito in rete è stato:
“Ma tu come vivi il fallimento?”
Mi sono detta: “Già, come vivo il fallimento?”
Risposta: male, molto male!
Ovviamente a seconda della entità del fallimento, della cura che ci metto in una cosa, nel sentirmi più o meno sotto esame, nel livello di coinvolgimento con altre persone, ho diversi livelli di metabolizzazione del fallimento: vado dal “chissenefrega!” nel caso di errore minimo, alla frustrazione, rabbia e depressione se sbaglio/fallisco in cose a cui tengo molto (sono fresca su questi argomenti, ahimè…).
Attraversare la tempesta emotiva che ne segue, può essere una impresa piuttoso difficile.
Posso passare giorni a rimuginare sulla cosa, domandandomi ossessivamente dove ho sbagliato.
Però, poi, passata la fase di implosione/esplosione, mi rialzo, mi scrollo la polvere di dosso, mi guardo in giro un po’ frastornata, e – barcollando come un pugile suonato – mi rimetto in moto.
Sicuramente con un bagaglio conoscitivo in più.
Essì, perché che mi piaccia o meno (e non so come la pensi tu), ho imparato di più dai fallimenti che dai successi.
E ne sono uscita pure rinforzata…
L’unica mia preoccupazione è che non diventi l’unico modo per imparare in modo efficace… 🙂
Immagine tratta da http://www.associazionequadri.it
Ho conosciuto Andrea Dusi nel 2009 in occasione di Promotion Expo. In quella occasione gli chiesi quali fossero gli ingredienti fondamentali della sua carriera e lui mi rispose:
-Una significativa esperienza all’estero e nella consulenza direzionale dove ha maturato competenze per gestire la delicata fase di start up.
-La capacità di gestire le relazioni significative e di scegliere i collaboratori giusti.
– Ma la prima risposta d’istinto fornita da Andrea alla mia domanda è stata :lavoro, lavoro, tanto lavoro di qualità…
Pare quindi essere una persona con una certa competenza in materia… Anche se a leggere ciò che scrive nel blog si intuisce una conoscenza approfondita dell’ambiente e delle sue dinamiche.
Credo sia molto importante fare tesoro dei propri errori e rialzarsi sempre e comunque…
Sì, sono d’accordo.
E sono anche convinta che ogni volta che ti rialzi, sei più forte e con maggiori capacità.
Ciao Vanni e grazie per il tuo contributo,
Barbara