DonnaONLine

Lo scorso 7/8 marzo si sarebbe dovuto svolgere a Riccione il quarto Congresso DonnaON.
Sappiamo come è andata in quelle settimane: l’epidemia dilagante, i decreti e le ordinanze sempre più restrittive, i lockdown che si sono moltiplicati in un effetto domino…
Interi eventi, fiere e manifestazioni venivano via-via posticipati di qualche mese fino ad essere rinviati all’anno successivo… e anche DonnaON non è stato da meno.

Ma dopo un momento di comprensibile smarrimento, Carina Fisicaro (Founder del progetto) ha organizzato in breve tempo due maratone in diretta su Facebook a distanza di due settimane l’una dall’altra.
La prima a metà aprile e la seconda durante il primo weekend di maggio:

Empowered Women United for a World ” DonnaONLine” (18/19 aprile)

DonnaONLine Empowered Women United for the World (2/3 Maggio)

Due weekend durante i quali circa 40 professioniste (complessivamente) si sono alternate in una staffetta di speech della durata di 45 minuti, nei quali hanno condiviso esperienze, riflessioni, suggestioni e strumenti per fare meglio e affrontare questo periodo ad alta imprevedibilità.

Nei due weekend ho avuto il piacere e l’onore di portare il mio contributo su due temi a me molto cari: le parole e la loro cura (di cui avevo già fatto una specie di test-speech qualche settimana prima) e la leadership di servizio (di cui avevo scritto un articolo per QuiFinanza a gennaio).

I video delle dirette di tutte le speaker sono disponibili sulle pagine Facebook i cui link sono elencati qui sotto, mentre – in chiusura di questo articolo – sono visibili i video dei miei due interventi (disponibili anche sul mio canale YouTube):

Empowered Women United for a World ” DonnaONLine” (18/19 aprile)

DonnaONLine Empowered Women United for the World (2/3 Maggio)

L’importanza delle parole | DonnaONLine – Maratona Facebook 18/19 aprile 2020

La leadership di servizio | DonnaONLine – Maratona Facebook 2/3 maggio 2020

Le slide dell’intervento sono disponibili su Slideshare a questo link: La Leadership di Servizio.

Ricominciare daccapo

A maggio di quest’anno ho concluso il percorso educativo di Toastmasters (l’associazione di cui faccio parte dal 2012).
Un percorso che si è sviluppato e articolato su un doppio binario: quello dedicato alla comunicazione (il parlare in pubblico) e quello dedicato alla leadership (forse l’aspetto che mi è più caro per il grande lavoro che si fa su stessi).

E quando arrivi al termine subentra un po’ di stanchezza e un po’ di demotivazione.

Perché è vero che il percorso Toastmasters è pressoché infinito: è un processo di apprendimento che può essere reiterato tutte le volte che si vuole. Ma quando arrivi al termine di un viaggio che è durato 7 anni , qualche dubbio ti viene.

E ti trovi ad un bivio:

  • considero chiusa l’avventura e completato il “percorso di studi”?
    oppure
  • ricomincio daccapo perché non si smette mai di imparare (e perché un sano allenamento non fa mai male)?

Ebbene, il caso vuole che da qualche anno Toastmasters abbia cambiato radicalmente il percorso di formazione: sta abbandonando gradualmente i vecchi manuali (il “vecchio ordinamento” di universitaria memoria) a favore di nuovi Path (percorso Pathways, il “nuovo ordinamento” usando la metafora universitaria).
Passando nel contempo da una fase analogico-cartacea ad una digitalizzazione spinta, portatrice (nei soci senior) di non pochi mal di pancia. (E’ un bel salto, non c’è che dire.)

Foto ©Toastmasters International

Ebbene, dopo una fase interlocutoria durata qualche mese, dove non ho mai abbandonato il mio club ma ho preso le cose con un po’ più di filosofia, ho riflettuto che restare in allenamento e avere la possibilità di sperimentare, non sia una idea così poi malvagia.

E così martedì sera (dopo avere rimandato più volte) ho ricominciato daccapo, rifacendo l’IceBreaker (il primo discorso che il socio fa davanti al club per presentarsi).
Ho mosso il primo passo nel nuovo percorso scelto (Dynamic Leadership).

Confesso essere stato faticoso.
Perché ho dovuto cercare di liberarmi di tutta la complessità accumulata in 7 anni di discorsi.
Perché non sapevo di cosa parlare.
Perché non sapevo più come si faceva.

E’ così son tornata alle basi…
La prima traccia scritta al computer per superare il trauma da pagina bianca…
Le prove a braccio, registrandomi, per affinare via-via (facendolo) il contenuto del discorso…
L’estrazione e costruzione degli schemi del discorso per rendere visibile la traccia, la mappa, con la quale muoversi…

Ero tranquilla, sì. Lo confesso.
Ma ero un po’ preoccupata.
Temevo di perdere il filo.
Temevo di divagare.

Però il tornare alle origini, il ripartire, è stata una bella cosa.
Una bella sensazione.
È stato un riavvicinamento alla semplicità.
Senza slide.
Con pochi minuti a disposizione (dai 4 ai 6 minuti).

E così il viaggio è ricominciato.

Link utili:

[Foto in evidenza ©Toastmasters International]

Leadership e storie personali

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Foto rawpixel.com da Pexels

The most effective business leaders don’t pretend to have all the answers; the world is just too complicated for that. They understand that their job is to get the best ideas from the right people, whomever and wherever those people may be.

La frase qui sopra è tratta dall’articolo pubblicato sulla Harvard Business Review: If Humility Is So Important Why Are Leaders So Arrogant?

Articolo che tratta dell’ancora esistente stile di leadership aggressivo e arrogante.

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Foto rawpixel.com da Pexels

Il messaggio fondamentale che passa dalle parole di Bill Taylor (che ho colto) è della importanza del riconoscere del “non sapere”.
Un atteggiamento di umiltà intellettuale che non è sinonimo di debolezza e di mancanza di capacità di leadership.
Tutt’altro.

È nell’immaginario collettivo che la parola “umiltà” ha assunto – nel tempo – una accezione negativa, da perdente (inteso come colui/colei privo di risorse e quindi privo di potere).
Ma il suo significato è ben più profondo e alto.

Infatti una delle tante definizioni di “umiltà” che si trovano in rete è quella riportata qui sotto.

Virtù per la quale l’uomo riconosce i propri limiti, rifuggendo da ogni forma d’orgoglio, di superbia, di emulazione o sopraffazione.

Una definizione che cela tra le righe una descrizione di Leadership (proprio con “L” maiuscola) di grande spessore.
Accompagnata da una parola importante: virtù.

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Foto di Amber Lamoreaux su Pexels

Quanto letto nell’articolo mi ha richiamato alla memoria un altro post letto di recente: Storie di leader che sbroccano.
Titolo un po’ particolare, ma che tratta di un argomento non così scontato.

Infatti Luca D’Ammando (autore del post) riflette sulla possibile fine dell’era dei CEO dall’Ego molto forte, alcuni dei quali al limite del sociopatico (pare infatti che un’alta percentuale di CEO abbia caratteristiche comportamentali orientate in tal senso).

(Tra i casi eccellenti viene menzionato Elon Musk, autore di recenti esternazioni  “insolite” su Tesla e la sua quotazione in Borsa che hanno portato successivamente ad un rapido dietrofront con relativa multa da parte delle autorità [ma non solo, perché nel frattempo si è reso protagonista di altre stravaganze]).

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Elon Musk – © Art Streiber

E tutto ciò mi ha fatto riflettere su due libri letti di recente: la biografia di Elon Musk scritta da Ashlee Vance (edita in Italia da Hoepli) e “Hit Refresh” scritto da Satya Nadella, CEO di Microsoft (edito in Italia da ROI Edizioni).

Due libri che raccontano due storie (due modalità di pensiero), tratteggiando il carattere dei due protagonisti. Carattere che si esplica attraverso le loro gesta e che individua due stili direttivi molto diversi.

Il primo profondamente egoico (nella sua genialità) e autoreferenziale (al limite del dispotico).
Il secondo più condiviso, aperto e di ascolto.

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Satya Nadella – Foto tratta da Windows Central

Procedendo nella osservazione/riflessione, mi è venuto spontaneo fare una ulteriore considerazione legata alla nazionalità (intesa come Paese di origine) e alla loro storia personale, che penso abbiano inciso ed incidano sullo stile di conduzione e dialogo con l’altro.

Sudafricano e con una storia personale e familiare complessa (il primo), indiano e con trascorsi di vita molto diversi (il secondo), entrambe comunque accomunati da drammi familiari, suggeriscono la formazione e sviluppo di due caratterialità profondamente diverse.
Che hanno portato la costruzione di due professionalità e carriere diverse.

E la personale convinzione che nutro è che quanto noi acquisiamo e viviamo nelle prime fasi formative della nostra vita (derivanti dalla famiglia e dall’ambiente sociale e culturale nel quale cresciamo), lasci tracce che daranno una impronta al nostro stile di leadership.

Con questo però non voglio dire che si tratta di un processo irreversibile ed impermeabile a possibili cambiamenti.
Tutt’altro.

Si può cambiare lungo la strada.
Se si vuole.

Va presa coscienza di quello che si è e della strada che si è percorsa.
Di quello che si è vissuto e si è acquisito.
Della propria storia personale.
Utilizzando il bagaglio di esperienza come punto di partenza per possibili cambiamenti.

 

[Fonti immagini:
http://www.pexels.com
http://www.windowscentral.com
http://www.artstreiber.com]

Volate in solitaria

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Stamattina – in auto, in coda – riflettevo sulla leadership e sulla sua solitudine.

Questo pensiero mi è venuto in mente a seguito di alcune recenti esperienze non immediatamente collegabili tra loro, ma che hanno – a mio avviso – un comune denominatore.
Vado ad elencare.

Ieri ho intercettato nella timeline di Facebook questo articolo del sito Toastmasters:
“Creative Leadership – Why it’s an essential skill in today’s changing workplace.”

Scritto in inglese, l’autore condivide della importanza del binomio leadership+creatività per stimolare ed invitare al cambiamento e alla sperimentazione (Creative Leadership è uno dei Pathways [programmi educativi] di Toastmasters International e il post è funzionale a stimolare curiosità e interesse per il percorso dedicato).
Alcuni passi hanno attirato la mia attenzione:

“Leaders don’t just have an official leadership title or position; they often contribute the most and have the most influence.”
[…]
“A person with a more rounded understanding and experience of a whole organization will understand that organization better and be in a better position to contribute creatively. ”
[…]
“Leaders can ensure their organizations thrive in a creative environment by understanding the creative process and using it to nurture creative ideas and establish a creative environment.”
[…]
“[…] leaders and individuals can use their creativity to help shape the future.”

In sintesi, viene suggerito – sì –  ai leader di iniettare e stimolare la creatività per far crescere persone ed organizzazioni, per restare al passo con l’evoluzione rapida del mondo professionale (e non solo). E – nel contempo – invita ad usare la creatività per diventare, esercitare ed essere dei buoni leader. (Senza dimenticare una cosa importante: i leader non sono necessariamente coloro che hanno dei titoli – delle investiture ufficiali – bensì sono [anche e forse soprattutto] coloro che contribuiscono attivamente, influenzando gruppi e situazioni.)

art-board-game-challenge-163064Recentemente – durante uno speech aziendale – ho parlato di comunicazione, di leadership e di feedback.
Analizzando e commentando queste tre variabili, strettamente interconnesse tra loro, uno dei partecipanti ha riflettuto che la leadership non è sempre e solo conduzione di gruppi (come spesso si pensa) ma è anche leadership di se stessi: spesso accade di dover condurre noi stessi verso un obiettivo e capita che questo lo si faccia (per scelta o per necessità) da soli. Diventando eventualmente poi (in un secondo tempo) un esempio per gli altri, che possono decidere di seguire le nostre orme.

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E qui mi sovviene alla memoria un motto celebre:

“Non fare mai del bene se non sei preparato all’ingratitudine.” [Enzo Ferrari]

Motto che mi ha fatto ripensare ad un recente “sfogo” che mi è stato espresso da una persona che si rammaricava di non avere avuto riscontri, di non avere avuto séguito, su un percorso di innovazione che aveva iniziato con l’intento di condividere, informare e stimolare altri ad intraprenderlo.

Tutto ciò mi ha fatto riflettere sulla leadership come volata in solitaria.

Mi ha fatto riflettere sul fatto che quando si decide di intraprendere una azione (una innovazione, o il perseguimento di un obiettivo, o che dir si voglia) per prima cosa si deve essere convinti in prima persona.
Non ci si deve aspettare un plauso dagli altri (che possono non essere interessati o – nella peggiore delle ipotesi – anche essere appollaiati sul ramo, aspettando un nostro fallimento).
L’aspettativa di plauso può essere la manifestazione inconsapevole di una nostra necessità di conferma e di approvazione che – se non arriva – può compromettere la nostra convinzione, rivelandone le radici molto deboli (“Lo faccio perché sono realmente convinto o perché voglio dimostrare quanto sono bravo?”, è bene chiedersi).

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La leadership è guida, è ascolto, è osservazione, è mentoring, è servizio (ed è anche potere).
Ma è anche “situazione solitaria”.
Nel bene e nel male: le persone guardano a te come guida, aspettando talvolta indicazioni su come procedere, nel mentre cerchi (e trovi) appoggio e forza su te stesso per trovare e mantenere la motivazione ad andare avanti (e oltre).

[Immagini tratte da Pexels]

L’analisi dello speech di Oprah Winfrey [dal blog Manner of Speaking]

75th Annual Golden Globe Awards - Press Room, Beverly Hills, USA - 07 Jan 2018
Foto ©Variety

John Zimmer è colui che si può definire un “professional speaker” (figura professionale non ancora pienamente nota da noi).
Il suo blog è stato menzionato come uno dei blog più interessanti (ed influenti) relativi al “public speaking”.
Ed essendo un argomento (quello della comunicazione in pubblico) che mi interessa molto, lo seguo e lo leggo con una certa assiduità.

Ebbene, questo articolo che “re-bloggo” è una analisi molto interessante ed approfondita del discorso di Oprah Winfrey alla premiazione dei Golden Globe.
Un discorso che ho guardato ieri (ma lo riguarderò anche nei prossimi giorni, con occhio via-via sempre più tecnico) e che considero come forse uno dei discorsi più potenti che io abbia mai ascoltato.

Dicevo che me lo sono guardato/ascoltato/osservato ieri.
E sebbene sia partita con un atteggiamento analitico e di studio della struttura e della “delivery”, sono finita con le lacrime agli occhi.
Ho pensato a come mai.
Che cosa stava facendo questo discorso su di me?
Perché non è un discorso recitato, teatrale, o in forma di arringa.
E un discorso colloquiale, ma che ha una potenza emotiva che arriva da una grande profondità ed entra in profondità.
E che va in crescendo (come un’onda lunga, come scriveva Sara a commento del mio post su Facebook)

Il testo del discorso (in inglese) è a questo link:
Read Oprah Winfrey’s Golden Globes Speech

Il video dello speech è qui di seguito:

https://youtu.be/fN5HV79_8B8

Qui sotto invece il reblog dal sito “Manner of speaking” di John Zimmer (testo in inglese).

Manner of Speaking

The 2018 Golden Globe Awards were handed out last night (7 January 2018). There were several highlights and many winners, but the overwhelming consensus is that Oprah Winfrey stole the show.

Winfrey, a talk show host, actress and philanthropist was honoured as the first black woman to win the Cecil B DeMille lifetime achievement award. She used her acceptance speech to repudiate racial injustice, abuse against women and attacks against the press.

It was a powerful speech that brought the audience to its feet for prolonged applause on more than one occasion. The speech, in full, is below. My thoughts follow.

    • Oprah had clearly prepared for this moment. Of course, she knew that she was being honoured with the award, but it is obvious that she had worked hard on her speech.
    • And yet, as prepared as she was, her speech felt natural and conversational. That is the result of good…

View original post 888 altre parole

Usare i (propri) punti di debolezza per imparare

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Torno online sul blog dopo una pausa di riflessione che coincide con la chiusura di un incarico che mi sta lasciando un inaspettato e ricco bagaglio di esperienza che sta contribuendo a smontare delle personali convinzioni limitanti. E che mi sta facendo acquisire quel “coraggio propositivo” per me impensabile fino a non molto tempo fa (e parlo di settimane, non mesi o anni).

Per ora mi destreggio tra stati di ansia, altri di entusiasmo, altri di profonda perplessità (“sarà vero?!”, “dove sta l’inghippo?!”, mi scopro a domandarmi sovente), avanzando passo-passo, testando su me stessa la riuscita o meno delle piccole azioni che sto facendo.
Contando quotidianamente – con stupore crescente – i giorni di anzianità di alcune idee nate qualche settimana fa (reduce da precedenti “epifanie” che facevano sorgere idee come pop-up che franavano rovinosamente dopo 48 ore).

E proprio di recente ho affrontato una piccola e grande sfida (per me): dare il mio contributo durante un transition meeting all’interno dell’esperienza Toastmasters.
(Il transition meeting è un passaggio di consegne tra officer – soci con ruoli – uscenti ed entranti, per condividere esperienze e informazioni utili.)

Dove stava la piccola (e grande) sfida?
Non stava tanto nel cosa dovevo dire (spiegare cosa è un club visit report), ma quanto nel come dirlo: in inglese, tenendo un webinar di 15 minuti via GoToMeeting.

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Sorvolo sulla preparazione di slide e contenuti, cercando di conciliarli con il tempo a disposizione.
Taccio sulle prove a braccio, durante le quali mi registravo e poi mi riascoltavo, preoccupata del mio inglese un po’ naïf e della moltitudine di incertezze.
Pensando alla diretta web.

Diretta che è stata messa alla prova dal sorgere di problemi tecnici durante la mia sessione (l’audio è saltato), che è stata interrotta ed è stata ripresa in un secondo momento (in una rapida staffetta tra relatori coinvolti).
Successivamente (in fase di editazione) il mio intervento è stato cucito per creare una sessione continua, ed è stato caricato su You Tube insieme agli altri contributi.

E fin qui tutto bene.

Quello che invece non mi ha soddisfatto è stata la mia performance: al riascoltarmi ho notato tutte le incertezze nell’inglese, i commenti off topic, e altre cose che non mi sono piaciute.

E la “Barbara giudicante” ha fatto sentire il suo parere.

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In tanti mi dicono che “mi prendo troppo sul serio”, “uso il bazooka per sparare ad un moscerino” (è la mia preferita), “sono troppo critica con me stessa”, ecc ecc. Tutte osservazioni che condivido e sulle quali lavoro alacremente per smussare, tollerare, accettare…

Ma proprio oggi pensavo anche che una convivenza con questo spirito critico ed esigente, è possibile e può tornare utile.
Per fare sempre meglio, alzando gradualmente e costantemente l’asticella.
Senza entrare in loop punitivi e auto-sabotanti.
Muovendosi lungo la linea di demarcazione del doppio significato della affermazione “puoi fare di più”:

  • ok, va bene, e puoi fare meglio (più propositivo)
  • non va bene, fai meglio (più tranchant)

Success ladder

E così sabato mi sono messa di buzzo buono e ho rifatto la registrazione.
Sempre in inglese e sempre a braccio (quindi con tutte le imperfezioni del caso, ma decidendo scientemente di non preparare un testo scritto).

Ascoltando l’insoddisfazione, usandola come stimolo per rifare (al meglio delle mie possibilità).
Trovandomi davanti anche alla necessità di usare un programma per registrare il nuovo video e cogliendo l’occasione per imparare qualcosa di nuovo (ho scoperto Camtasia e non si contano le versioni di prova che ho registrato e regolarmente cestinato).

Ed è stato inevitabile per me ricordare il vecchio adagio “sbagliando si impara”.

Il risultato è una “extended version” che apre una finestra su uno dei compiti che gli Area Director hanno nel corso del loro mandato.

Sono soddisfatta del risultato?
Pur non essendo perfetto, sì.

Perché?
Perché è frutto di una personale ricerca.
Perché ho cercato di fare il meglio possibile.
Perché ho imparato cose nuove.

Si poteva fare meglio?
Sì, sicuramente.
Ma di questo piccolo risultato mi piace l’autenticità e la ricerca che c’è stata per produrre un risultato.
Su cui costruire qualcosa di migliore, alla prossima occasione.

[Immagini tratte da Google Immagini]