Alla ricerca del minimalismo

LessIsMore
Immagine tratta dal sito http://www.shaneoleary.me

Sarà l’età, sarà la sempre maggiore consapevolezza del caos informativo e “oggettistico” (oggetti che uno accumula, e che neanche si ricorda di avere), sarà il decidere (per varie ragioni) di creare un foglio su Google Drive nel quale fare il punto della situazione sulle spese (individuando falle in ogni dove, soprattutto di servizi online che paghi ma non usi e che quindi sono superflui e non reggono più la giustificazione del tipo “non si sa mai!”), sarà che sto leggendo l’inaspettatamente interessante libro di Jill Konrath “Vendere di più in meno tempo” (che offre interessanti spunti di riflessione sulla propria attività, qualunque essa sia), e sarà – infine – che recentemente incontro persone che puntano all’essenziale nelle scelte,…

Ebbene fatto sta che, volente o nolente, mi rendo conto che il desiderio di pulizia, riduzione e riordino è sempre più pressante, reclama sempre più attenzione.

Muji
Il minimalismo di Muji

E non solo da un punto di vista cosmetico (nella foto sopra Muji ed il minimalismo che lo permea in ogni singolo dettaglio, persino nei cosmetici), ma anche da un punto di vista – per esempio – del “parco libri”.

La mia grande passione verso la quale nutro un atteggiamento quasi compulsivo e di possesso.
(Si contano sulle dita di una mano le volte che sono uscita da una libreria senza avere acquistato nulla.)

Acquisto più libri di quanti ne possa oggettivamente leggere. Accumulandoli e dimenticando addirittura di averli acquistati. E che – passato il momento – perdono di interesse, ma di cui non mi libero perché “non si sa mai!”,…

Riordino
Momenti di (tentativi di) riordino

Ma non solo.

Anche gli abiti.
Che per me si declinano in magliette, maglioni e pantaloni.

Conservo capi di abbigliamento (che non uso) per anni.
Perché “potrebbero sempre servire”, tornare utili, che magari c’è una occasione per la quale posso indossare quel capo lì o quella scarpa là,…

Non ha importanza se i suddetti abiti restano parcheggiati ed inutilizzati per anni.
L’idea di liberarmene fa scattare nella testa il timore che io possa perdere qualcosa di importante.

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Foto di Juan Pablo Arenas da Pexels

E così vai avanti a conservare, stoccare ed accumulare.

Poi, ad un certo punto, ti guardi intorno e ti rendi conto che non va più bene andare avanti così.

Scegliere e liberarsi diventano due azioni imperative.
Lasciare andare e creare spazio, due necessità.

Ricordo ancora un articolo scritto da Zack Andresen su LinkedIn che racconta del suo periodo sabbatico, nomade, in giro per il mondo, alloggiando grazie a prenotazioni via Airbnb. Ricordo che leggendolo provai un grande senso di libertà.

Così come ricordo bene il docu-film The Minimalist (su Netflix): un film manifesto che è anche un invito a fare a meno del superfluo. A liberarsi del non necessario, senza privarsi.

Ricordo anche la perplessità (ma anche la curiosità) che provai leggendo il libro di Gabriele Romagnoli “Solo bagaglio a mano”.
Un libro che invita alla decrescita, intesa come utilizzo solo di ciò che è necessario. Percorrendo la vita e attraversando gli spazi con poche cose essenziali, con un bagaglio leggero.

Senza contare il talk di Elena Dak (antropologa e scrittrice, autrice del libro “La carovana del sale”) che ho ascoltato proprio questa domenica al TEDxMilano.
Già il titolo, “Farsi nomade”, anticipava l’argomento, ma ascoltarlo è stato come accompagnare l’Antropologa nella sua esperienza nomade con un gruppo di Tuareg. Osservando e condividendo il concetto di essenzialità, di silenzio, di economicità di pensiero e di azione (che non esclude la profondità di riflessione che scaturisce dalla osservazione generata dal silenzio).

sito-elena-dak
© Elena Dak – https://elenadak.it/

Lasciare andare.
Fare spazio.

Due concetti cari anche ad alcune filosofie orientali.
Ben più antiche dei moderni downshifting, decluttering, Marie Kondo, ecc. ecc.

Si dice che togliere, dare via, liberarsi, provochi sensazioni di beneficio.
Per quel che ho provato io, nel mio piccolo, posso confermare.
È come se l’atto stesso di rimuovere, crei un vuoto che non è sottrazione, bensì espansione.

Uno spazio che si crea.

Da lasciare così com’è, oppure da riempire con qualcosa di nuovo, oppure – ancora – disponibile per allargare altro che prima era compresso, dandogli ossigeno e possibilità di espansione.

 

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