
Un paio di giorni fa – scorrendo Twitter – leggo questo tweet di Trame Formazione (associazione che si occupa di Medicina Narrativa e “Umanizzazione delle cure”, scoperto essere tra i miei follower con mia grande sorpresa):
Il link condiviso, rimanda ad un articolo pubblicato sul sito americano PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States) : Finding the plot in science storytelling in hopes of enhancing science communication.
L’articolo in questione riflette sulla necessità di usare la narrazione come strumento di divulgazione scientifica verso un pubblico “non esperto”.
Evidenziando “l’abitudine”, comprensibile, di coloro che lavorano nel settore a comunicare utilizzando un linguaggio tecnico orientato specificatamente alla documentazione di studi e ricerche scientifiche.
Anche se si tratta di una riflessione non così nuova, il fatto che sia un organo ufficiale a farla è significativo di un’apertura verso l’esterno, con la volontà di includere, di rendere partecipe e di condividere. (Tanto più nel far west quotidiano delle fake news di cui sono oggetto le informazioni scientifiche… ma mi fermo qui per non scoperchiare un pentolone…)
L’articolo però va oltre e approfondisce il tema, riflettendo sulla differenza tra story (storia) e plot (trama). Una sottile ed importante differenza (che nella nostra lingua si coglie meno, avendo la parola “storia” un duplice significato) che traccia una linea di confine tra il raccontare una sequenza di eventi (limitandosi ad un ordine cronologico) e il raccontare gli stessi eventi, motivandoli e dando loro una connotazione emotiva. Umanizzandoli e accompagnandoli con riflessioni.

A questo punto è un attimo mettere in relazione queste autorevoli considerazioni con la provata efficacia dello strumento della narrazione.
Si sa che Leggere romanzi cambia il cervello (come scrive Annamaria Testa nel suo interessante articolo sul suo blog Nuovo e Utile) e sappiamo anche che il cervello stesso è predisposto ad apprendere attraverso le storie.
Sappiamo che le storie sono forse il più antico veicolo di trasmissione della conoscenza (un libro che mi sento di consigliare – che studiai all’università – è “Oralità e scrittura” di Walter J. Ong, che narra della trasmissione del sapere attraverso la tradizione orale e scritta).
Sappiamo anche che le emozioni hanno un ruolo fondamentale nella capacità di “presa” di un concetto (e/o di una situazione): se ascoltiamo/leggiamo/vediamo qualcosa che ci emoziona, difficilmente ce ne dimentichiamo.
Di questo “leggere emozionandosi” ne avevo già scritto in passato (anche più di una volta), accusando difficoltà nella lettura di manuali e perdendomi invece nelle pagine di romanzi e di narrazioni in genere (col dubbio – allora – di non imparare nulla…).
E dove questo perdersi è coinciso con narrazioni scientifiche è stata – per me – una “epifania” (Yalom, Sacks e Gawande recentemente “insegnano”).

Ebbene, introdurre la narrazione in tutti quegli ambiti tecnici e scientifici che – ognuno a modo suo – comunicano in modo complesso, criptico, forbito, colma le distanze, divulgando e riducendo quella “ostilità” data dal fatto di non capire.
[Penso anche all’Architettura: disciplina che emoziona, che stupisce, ma che talvolta sembra distante nel suo essere troppo “saccente”, troppo imposta dall’alto. Tant’è che la “progettazione condivisa” e “del basso” sta assumendo sempre più forza ed importanza. A tale proposito suggerisco la lettura di “Design, When Everybody Designs” di Ezio Manzini e “Architettura open source” (a cura) di Carlo Ratti: due testi che offrono interessanti spunti di riflessione.]
E sempre in termini di narrazione di materie scientifiche, chiudo con il Talk che Michela Prest ha tenuto al TEDxLakeComo due anni fa: perfetto esempio di come un argomento ostico e pressoché inavvicinabile (la Fisica delle particelle) possa essere narrato in modo comprensibile ed altamente coinvolgente.
Grazie Barbara.
Aggiungerei al tuo elenco Malcolm Gladwell: il suo approccio all’ibridazione e all’uso dello storytelling mi pare molto interessante.
Ciao Luca,
Grazie per il suggerimento aggiuntivo!
È vero Malcom Gladwell è un ottimo storyteller.
Confesso che non lo avevo preso in considerazione perché ho pensato a tecnici che riescono a comunicare in modo accattivante, avendo la capacità di osservare da diversi punti di vista (non strettamente legati alla loro professione).
Grazie però!
Perché Gladwell è sempre una garanzia!