Una chiacchierata sul public speaking

Prima dell’estate sono stata contattata dalla giovanissima associazione Thesis4U, un bel progetto nato a dicembre dello scorso anno (2020) che ha l’obiettivo di mettere in contatto studenti universitari ed aziende, per dare modo di realizzare “tesi d’azienda”.
Non scendo nello specifico della descrizione della loro mission per non dare informazioni errate e invito ad andare a visitare il loro sito a questo link: https://thesisforyou.com/.
Credo ne valga la pena.

Per quanto riguarda il mio contributo, con Stefano Perego abbiamo chiacchierato di public speaking, condividendo spunti e riflessioni per comunicare in modo efficace. Cercando di offrire uno sguardo d’insieme su un tema abbastanza vario e abitato da diverse variabili.

Buona visione!

[Durata del video: 1h30min]

Il discorso di Arnold Schwarzenegger

Sta facendo parlare molto di sé.
Mi riferisco al discorso di Arnold Schwarzenegger.

E dopo una mia personale iniziale perplessità, qualche riflessione l’ho fatta.

Confesso che quando me lo hanno segnalato, ho nutrito qualche “pregiudizio anticipatorio” (complice qualche mio bias sul tema).
Che però è scomparso ascoltandolo.

Infatti se da un lato ho constatato un utilizzo di modi misurati (mi riferisco al tono della voce, al ritmo e alle pause: alla modalità espressiva), dall’altro il contenuto è tosto, “non mandandogliele a dire” al Presidente uscente (rappresentante – tra l’altro – del suo stesso partito: infatti Arnold Schwarzenegger appartiene al Partito Repubblicano).

Forte è il rimando alla nefasta “Notte dei Cristalli” e agli spettri che risveglia (Schwarzenegger è austriaco naturalizzato americano).

Intelligente è l’uso del “Democracy First” con un chiaro rimando al motto di Trump “America First”.

L’uso della spada di Conan può far sorridere (in gergo tecnico è un “prop” [un oggetto di scena utilizzato a supporto della propria argomentazione], e non è l’unico presente nel video), ma fa parte della sua storia e diventa strumento e metafora della tempra. Efficace e incoraggiante in chi lo ascolta.
Spada/tempra che è anche una metafora della (sua) vita.

Il video può piacere o non piacere.
Lui può piacere o non piacere.
A mio avviso va però ascoltato e studiato, tenendo a mente il pubblico a cui si rivolge.

Tenendo anche a mente quello che Schwarzenegger rappresenta.

Una icona della cinematografia popolare, con una storia interessante alle spalle: immigrato, è stato culturista prima (Mister Universo, se non sbaglio, la cui traccia si rivela nella foto alle sue spalle, affiancata alle due bandiere americana e dello stato della California), attore poi (anche con ironia) e infine Governatore della California.
Appartenente al Partito Repubblicano e sposato (fino al 2017) con Maria Shriver Kennedy (il cui nome appartiene alla storia americana).

Un percorso (ed una figura) che stupisce per la sua eterogeneità e che – sicuramente – ha presa sull’immaginario collettivo.
Rappresentando esso stesso una concretizzazione del Sogno Americano.

Il testo tradotto è stato pubblicato sul sito Per La Retorica a questo link: Schwarzenegger, Arnold, “Il presidente Trump è un leader fallito”

[La foto in evidenza è tratta dal sito Cinematographe.it]

Di discorsi e modalità espositive

Avevo in mente di scrivere questo articolo da parecchio tempo.
Poi – come al solito – mi sono lasciata trasportare dalle incombenze ed arrivo un po’ lunga, anche se il ragionamento che intendo fare non ha scadenza.

Mi riferisco a due “pesi massimi” della politica e della economia dei cui discorsi si è molto parlato nei mesi precedenti.

Foto tratta da “The Conversation”
Foto tratta da Forbes

Prima doverosa premessa: la sospensione di qualsiasi giudizio di tipo politico, etico, ecc. ecc. che potrebbe inficiare la capacità di analizzare e trarre degli spunti utili.
Infatti quello che mi ripropongo qui, è di fare delle considerazioni sulla tecnica e sulla performance (esposizione).

Due “pesi massimi”, dicevo: Joe Biden e Mario Draghi.

Con due discorsi di alto livello e di contenuti importanti.
Con due esposizioni molto diverse tra loro.
Che possono avere effetti diversi in termini di valorizzazione, rendendo più o meno efficace il messaggio che trasmettono.

Seconda doverosa premessa: la politica americana ha una grande cultura in tema di public speaking (oratoria). Cosa su cui noi italiani pecchiamo un po’ e su cui il mondo istituzionale, politico ed accademico ha (forse) qualche “presunzione” o ne ritiene l’attenzione una variabile secondaria, preferendo concentrarsi sul contenuto.

E una ulteriore conferma della capacità americana in tema di comunicazione in pubblico la abbiamo avuta con il discorso di Joe Biden alla Convention Democratica.

Osservate il tono di voce, le pause, lo sguardo.
Persino le espressioni del volto.
Un discorso talmente preparato sin nei minimi dettagli, tale da essere interiorizzato (concetto su cui tornerò in uno dei prossimi articoli).
Qui sotto il file con il discorso di Biden tradotto in italiano (grazie alla pagina Facebook “Elezioni USA 2020“):

Ad onor del vero, va tenuto presente che in questi casi vi è sempre il “gobbo” sul quale scorre il testo (il cui nome corretto è Teleprompter).
Questo consente di mantenere il contatto visivo con il pubblico e – fattore non trascurabile – ci deve fare riflettere su un’altra variabile non meno importante: la lettura interpretata (un modo di interpretare le parole scritte che non è “semplice” lettura).

E questo mi porta a rivolgere l’attenzione al discorso di Mario Draghi al meeting di Rimini.
Contenuto di altissimo valore penalizzato – ahimè – dalla esposizione in una modalità tendente al mono-tono.
[L’intervento di Mario Draghi è dal minuto 00:24]

In questo caso un lavoro sulla voce, sulla sua varietà, la sua velocità e le pause, avrebbe aggiunto – a mio avviso – ulteriore efficacia alle già importanti parole da lui pronunciate.
Una “colorazione vocale” fatta nel rispetto della personalità dell’oratore, per mantenerlo entro la sua “zona di comfort” senza esporlo emotivamente.

Sì perché la voce è emozione.
E’ il veicolo delle nostre emozioni.

E questo mi rimanda ad una conversazione recente avuta con un manager di una grande società digitale, in occasione di un suo contributo.
Espresse la propria difficoltà nel dare maggiore efficacia alla sua esposizione: “Non riesco a fare più di così”, disse.
Quello che mi sentii di suggerire fu di lavorare sulla velocità e sulle pause: di accelerare o rallentare a seconda del contenuto, inserendo pause strategiche per sottolineare concetti o creare attesa.
Dando maggiore dinamicità al suo discorso per tenera alta l’attenzione del pubblico, dando la possibilità di cogliere di più dalle sue parole.

Buon ascolto e buona lettura!

[Immagine di copertina di Mikael Kristenson su Unsplash]

DonnaONLine

Lo scorso 7/8 marzo si sarebbe dovuto svolgere a Riccione il quarto Congresso DonnaON.
Sappiamo come è andata in quelle settimane: l’epidemia dilagante, i decreti e le ordinanze sempre più restrittive, i lockdown che si sono moltiplicati in un effetto domino…
Interi eventi, fiere e manifestazioni venivano via-via posticipati di qualche mese fino ad essere rinviati all’anno successivo… e anche DonnaON non è stato da meno.

Ma dopo un momento di comprensibile smarrimento, Carina Fisicaro (Founder del progetto) ha organizzato in breve tempo due maratone in diretta su Facebook a distanza di due settimane l’una dall’altra.
La prima a metà aprile e la seconda durante il primo weekend di maggio:

Empowered Women United for a World ” DonnaONLine” (18/19 aprile)

DonnaONLine Empowered Women United for the World (2/3 Maggio)

Due weekend durante i quali circa 40 professioniste (complessivamente) si sono alternate in una staffetta di speech della durata di 45 minuti, nei quali hanno condiviso esperienze, riflessioni, suggestioni e strumenti per fare meglio e affrontare questo periodo ad alta imprevedibilità.

Nei due weekend ho avuto il piacere e l’onore di portare il mio contributo su due temi a me molto cari: le parole e la loro cura (di cui avevo già fatto una specie di test-speech qualche settimana prima) e la leadership di servizio (di cui avevo scritto un articolo per QuiFinanza a gennaio).

I video delle dirette di tutte le speaker sono disponibili sulle pagine Facebook i cui link sono elencati qui sotto, mentre – in chiusura di questo articolo – sono visibili i video dei miei due interventi (disponibili anche sul mio canale YouTube):

Empowered Women United for a World ” DonnaONLine” (18/19 aprile)

DonnaONLine Empowered Women United for the World (2/3 Maggio)

L’importanza delle parole | DonnaONLine – Maratona Facebook 18/19 aprile 2020

La leadership di servizio | DonnaONLine – Maratona Facebook 2/3 maggio 2020

Le slide dell’intervento sono disponibili su Slideshare a questo link: La Leadership di Servizio.

Decameron 4.0

Durante l’ultimo meeting (online) del Milan-Easy Toastmasters Club ho tenuto un breve discorso del nuovo percorso educativo Pathways.
E’ stata una buona occasione per condividere (e/o perseguire) due obiettivi.

Il primo relativo alla modalità di comunicazione (comunicazione in video, che tanta importanza ha assunto improvvisamente a causa della pandemia Covid19), il secondo relativo a cosa condividiamo e raccontiamo in questi giorni di isolamento sui social network.
(La qualità del video è bassa perché ricavato dalla registrazione del meeting via Zoom)

Di seguito il testo del discorso, disponibile in formato pdf qui:

Una nota esplicativa

I colori usati per evidenziare la varie parti del discorso, mi sono tornati utili per avere una memoria visiva dei vari passaggi.
Non sono necessariamente un rimando agli argomenti trattati in diversi punti del testo (non ci sono collegamenti univoci tra argomento e colore), bensì si tratta di una semplice individuazione dei vari “pezzi” di cui è composto.

Chi mi conosce sa che peroro la manualità nella preparazione dei propri discorsi (scrittura a mano, disegni, schemi, matite e pennarelli…).
In questo caso mi sono trovata a scrivere velocemente il testo al computer (dopo diversi giorni di ruminamento su “di cosa parlo?”) e a lavorarlo successivamente, cercando un modo che aiutasse la mia memoria visiva a ricordare i vari passaggi in una sequenza di colori riconoscibile anche a colpo d’occhio.

Ricominciare daccapo

A maggio di quest’anno ho concluso il percorso educativo di Toastmasters (l’associazione di cui faccio parte dal 2012).
Un percorso che si è sviluppato e articolato su un doppio binario: quello dedicato alla comunicazione (il parlare in pubblico) e quello dedicato alla leadership (forse l’aspetto che mi è più caro per il grande lavoro che si fa su stessi).

E quando arrivi al termine subentra un po’ di stanchezza e un po’ di demotivazione.

Perché è vero che il percorso Toastmasters è pressoché infinito: è un processo di apprendimento che può essere reiterato tutte le volte che si vuole. Ma quando arrivi al termine di un viaggio che è durato 7 anni , qualche dubbio ti viene.

E ti trovi ad un bivio:

  • considero chiusa l’avventura e completato il “percorso di studi”?
    oppure
  • ricomincio daccapo perché non si smette mai di imparare (e perché un sano allenamento non fa mai male)?

Ebbene, il caso vuole che da qualche anno Toastmasters abbia cambiato radicalmente il percorso di formazione: sta abbandonando gradualmente i vecchi manuali (il “vecchio ordinamento” di universitaria memoria) a favore di nuovi Path (percorso Pathways, il “nuovo ordinamento” usando la metafora universitaria).
Passando nel contempo da una fase analogico-cartacea ad una digitalizzazione spinta, portatrice (nei soci senior) di non pochi mal di pancia. (E’ un bel salto, non c’è che dire.)

Foto ©Toastmasters International

Ebbene, dopo una fase interlocutoria durata qualche mese, dove non ho mai abbandonato il mio club ma ho preso le cose con un po’ più di filosofia, ho riflettuto che restare in allenamento e avere la possibilità di sperimentare, non sia una idea così poi malvagia.

E così martedì sera (dopo avere rimandato più volte) ho ricominciato daccapo, rifacendo l’IceBreaker (il primo discorso che il socio fa davanti al club per presentarsi).
Ho mosso il primo passo nel nuovo percorso scelto (Dynamic Leadership).

Confesso essere stato faticoso.
Perché ho dovuto cercare di liberarmi di tutta la complessità accumulata in 7 anni di discorsi.
Perché non sapevo di cosa parlare.
Perché non sapevo più come si faceva.

E’ così son tornata alle basi…
La prima traccia scritta al computer per superare il trauma da pagina bianca…
Le prove a braccio, registrandomi, per affinare via-via (facendolo) il contenuto del discorso…
L’estrazione e costruzione degli schemi del discorso per rendere visibile la traccia, la mappa, con la quale muoversi…

Ero tranquilla, sì. Lo confesso.
Ma ero un po’ preoccupata.
Temevo di perdere il filo.
Temevo di divagare.

Però il tornare alle origini, il ripartire, è stata una bella cosa.
Una bella sensazione.
È stato un riavvicinamento alla semplicità.
Senza slide.
Con pochi minuti a disposizione (dai 4 ai 6 minuti).

E così il viaggio è ricominciato.

Link utili:

[Foto in evidenza ©Toastmasters International]

Parlare in pubblico – Workshop #TodayAtApple

Martedì sera (26 marzo) ho avuto il piacere, e soprattutto l’onore, di tenere un workshop di 90 minuti allo store di Apple Piazza Liberty.

Inserito all’interno del programma di formazione continua di Apple che va sotto l’hashtag #TodayAtApple, e realizzato in collaborazione con SheTech (associazione di cui sono socia da giugno dell’anno scorso e che ha come scopo principale l’avvicinare le donne alla tecnologia e all’imprenditoria attraverso una serie di iniziative mirate), in occasione del mese di marzo (dedicato alle donne) e delle attività raccolte come #MadeByWomen, è stato un momento nel quale ho condiviso nel modo più semplice ed efficace possibile alcune buone regole per presentare in pubblico in modo chiaro e comprensibile.

Una sessione che ho articolato attraverso una scaletta che rispettasse la filosofia interattiva che contraddistingue i workshop tenuti negli Apple Store (fatti di tanta pratica) e che si sposa con la personale convinzione che ho che un momento formativo ed informativo dedicato al public speaking fatto di sola teoria è privo di senso.

[Ascoltare di comunicazione in pubblico stando seduto in platea, senza possibilità di provare? Direi di no…]

Ecco quindi che in accordo e in collaborazione con il Team Creator di Apple Piazza Liberty, abbiamo costruito una agenda che si è articolata in varie parti.

Una in apertura dedicata alla teoria (la più corposa) nella quale ho condiviso alcuni suggerimenti immediatamente spendibili su come costruire un discorso.
Seguita da una di pratica individuale nella quale i partecipanti hanno potuto scrivere/tracciare/disegnare una bozza di un discorso (grazie agli iPad messi a disposizione dallo store), alla quale ha fatto seguito la sessione di pratica collettiva nella quale quattro volontari (di età ed esperienze diverse) si sono messi in gioco provando il loro mini-discorso di tre minuti davanti a tutti.
Andando poi a chiudere con la parte finale condividendo alcune pillole su come dare/ricevere un buon feedback (nell’ottica di una revisione del proprio discorso) e su come costruire delle slide efficaci.

E come sempre accade in questi casi, anche in questa occasione ho avuto l’opportunità di imparare molto.

Perché lavorare – anche solo in modo episodico – con aziende del calibro di Apple, insegna parecchio in termini di operatività, coordinamento, professionalità nella preparazione della documentazione che servirà per la comunicazione attraverso i canali (prima) e durante la sessione.
[Il preparare la tua mini-cartella stampa con la bio, scegliere quali foto inviare affinché vengano utilizzate, progettare la scaletta della sessione, recepire le linee guida, assemblare le slide rispettando le policy aziendali e con un occhio molto attento alle regole sui copyright, ecc. ecc.]

La risposta del pubblico in termini di partecipazione, di attenzione e di interazione, i primi feedback a caldo post-sessione, ed i commenti ricevuti a distanza di qualche ora, sono stati positivi.

Segnale – questo – che si tratta di un argomento molto sensibile e di sempre maggiore attualità (quasi imprescindibile ormai), e che il messaggio e gli strumenti condivisi sono arrivati all’audience “anche se” il tempo era limitato.
[Tempo limitato che – se ben organizzato e gestito – può essere molto più efficace rispetto a sessioni più lunghe che rischiano di fare i conti con il calo di attenzione di chi ti ascolta.]

Va da sé che una volta assimilati i concetti di base, il passo successivo è l’approfondimento e la preparazione “su misura” della presentazione.
Costruita e calibrata sulle singole esigenze e specificità del contesto, dell’oratore e dell’argomento, trasformando il processo di progettazione in un accurato lavoro artigianale.

Ringrazio SheTech e Apple per la fiducia e l’opportunità di calcare uno stage così importante.

[Photocredit Apple Piazza Liberty e SheTech – la gallery completa è condivisa su iCloud a questo link: Parlare in pubblico – #TodayAtApple – SheTech]

Un discorso da competizione

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© Toastmasters International

Si è appena conclusa a Chicago la Convention di Toastmasters International dedicata ai campionati mondiali di public speaking (“World Championship of Public Speaking®”).

Per la prima volta nella storia il podio è stato interamente al femminile:

Prima classificata – Ramona J. Smith con “Still standing”

Seconda classificata – Zifang Su (un estratto del suo speech: “Turn Around“)

Terza classificata – Anita Fain Taylor (un estratto del suo speech: It Is What It Is, It Ain’t What It Ain’t.)

Difficile (e non privo di un pizzico di presunzione) voler fare una valutazione dello discorso vincitore perché, quando si arriva a quei livelli, chi assiste ha solo da imparare.

Infatti accedere alla finale mondiale del campionato (e vincerla) significa avere superato un numero elevato di gare, sfidandosi con speaker via-via sempre più bravi (si parte dalle gare nel proprio club di appartenenza, per poi passare a quelle di Area, di Divisione e – successivamente – di Distretto, dopodiché si devono superare le semifinali e accedere alle finali; come se fossero – geograficamente parlando – gare locali, poi regionali, poi nazionali, poi europee ed infine mondiali).

Continuando – tra una gara e l’altra – ad affinare la propria performance attraverso feedback continui e l’appoggio di mentori di alto livello.

Come una gara sportiva, né più né meno.

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© Toastmasters International

Però in questo post mi diletto ugualmente a fare qualche considerazione sullo speech di Ramona J. Smith, ad uso di chi non conosce Toastmasters e di chi è incuriosito dal public speaking.

E lo faccio dopo averlo riguardato per la seconda volta.

Perché al primo “giro” (a caldo) non mi aveva convinto (più avanti spiegherò il perché). Invece rivedendolo l’ho studiato un po’ e l’ho apprezzato di più.

Focalizzandomi – da brava Toastmasterssulla performance in sé. Escludendo il contenuto (semplice, di facile comprensione e di facile presa sull’audience… e qui giace uno dei motivi della mia iniziale perplessità).

Contenuto che in genere non si prende in considerazione perché facile preda di valutazioni e percezioni soggettive che possono inficiare un contributo volto al miglioramento, quale un feedback è.

Vado ad analizzare.

Performance: molto dinamica ed energetica.

La metafora dell’incontro di pugilato aiuta, dando un ritmo ginnico allo speech.

Ed il ritmo ginnico aiuta a coprire l’intera area del palco.

Infatti è fondamentale (sempre!) considerare le dimensioni del palco e della platea: più sono ampi, più devono essere ampi i movimenti del nostro corpo e ampia la nostra “speaking area”. E’ per questo che quando si tiene un discorso è importante fare un sopralluogo preventivo, facendo possibilmente delle prove, per prendere confidenza con l’ambiente (anche da un punto di vista dimensionale).

Uso delle “ancore spaziali”: sembra un termine mutuato da un Manga, ma questa terminologia significa il “posizionare nello spazio dei contenuti”. Dare loro una collocazione precisa durante la narrazione.

Durante lo speech, Ramona racconta di tre episodi che ha vissuto e li colloca in precisi punti del palco, tornandoci fisicamente ogni volta che li menziona, senza alcuna sbavatura e nessuna incertezza.

Si tratta di una tecnica oratoria che aiuta a tenere alta l’attenzione del pubblico, costruendo nel contempo una timeline che dia consistenza alla narrazione. Se non si è sicuri di saperla gestire, meglio non utilizzarla (personalmente credo di non averla usata quasi mai in questo modo, la uso spesso aiutandomi con le mani e collocando oggetti e concetti nello spazio).

E visto che ho menzionato i tre episodi, ecco la regola del tre.

Una specie di regola aurea che suggerisce di strutturare i propri discorsi secondo tre punti: tre episodi, tre concetti… La stessa struttura base di un discorso è composta di tre parti: apertura – corpo – chiusura.

Da dove viene questa regola?

Uno dei primi ad utilizzarla è stato Steve Jobs nel famosissimo Keynote speech di presentazione dell’iPhone. E da allora la “regola del tre” è entrata di prepotenza nelle leggi che reggono il public speaking.

Titolo: “Still standing” viene ripetuto più volte a scandire il ritmo, a dare il passo alla storia. A fissarsi nella memoria di chi ascolta (grazie anche ad un altro fattore chiave: la sua brevità).

Un altro fattore interessante è l’ammiccamento verso l’audience: un gioco che tiene alto il coinvolgimento del pubblico, rendendolo partecipe e annullando la distanza oratore-pubblico.

(A mio avviso un po’ “fuori luogo” la parte cantata; un azzardo che comunque rompe lo schema, introduce una novità nel ritmo e vivacizza [infatti il pubblico risponde].)

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© Toastmasters International

Il contenuto: e qui arrivo al punto di perplessità.

Perché? Perché il contenuto, la storia che viene raccontata, non brilla sicuramente per originalità e – come giustamente altri colleghi Toastmasters mi hanno fatto notare – non trasmette particolari emozioni.

Tanti discorsi hanno per oggetto storie simili: sono speech che ricadono nelle categorie “emozionale” e “ispirazionale” (obbedendo alla legge del “racconta una storia di vita vissuta da cui trarre una morale e che sia di ispirazione in chi ascolta”).

Poi però ho riflettuto sulla sua semplicità e “ovvietà”: è un discorso facile da seguire, linguisticamente e concettualmente comprensibile da molti (non dimentichiamo che in questo caso il pubblico proviene da ogni parte del mondo e non è previsto un servizio di traduzione simultanea). Semplicemente fluisce.

E la sua semplicità favorisce una gestione migliore della performance (che è quella che viene sostanzialmente valutata: struttura del discorso, vocal variety, linguaggio del corpo, uso corretto del linguaggio, comprensibilità da parte del pubblico…)

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“Share your life” – Cathey Armillas a TEDxHickory (da YouTube)

Tutto questo mi ha fatto ricordare un interessante articolo scritto tempo fa da Cathey Armillas, Accredited Speaker di TMI e Speaker Coach per TEDx, che – evidenziando le differenze tra Talk di TED e Speech di Toastmasters in una tabella molto ben fatta – sottolineava della performance di quest’ultimo, fortemente orientata alla tecnica.

D’altronde Toastmasters viene definito anche come la “palestra del public speaking”: si è strutturati in meeting periodici, nei quali ci si trova per allenarsi a parlare in pubblico. Ecco quindi che come in tutte le palestre che si rispettino, si lavora sulla tecnica ricevendo valutazioni sulla propria performance.

Slide sì, slide no…

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In questi giorni ho partecipato ad un paio di videochiamate dedicate al public speaking e al mentoring.
Il pubblico era costituito da donne facenti parte di una Academy di formazione interamente al femminile, provenienti da diverse parti d’Italia e collegate via Zoom.

L’obiettivo di questi incontri virtuali era trasmettere alcune prime informazioni e alcuni primi suggerimenti per un buon public speaking e per un fare del buon mentoring.
Ed il mio personale dubbio, fino a qualche giorno prima, è stato se usare delle slide o meno. Pensando su quale fosse il miglior modo per condurre questi incontri online.

Alla fine ho optato per delle “chiacchierate” gestite passo-passo, avendo in mente una traccia dei contenuti che volevo trasmettere, ma lasciando spazio a chi era collegato per chiedere chiarimenti e/o condividere riflessioni.

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Questi episodi mi hanno fatto prendere coscienza che negli ultimi tempi i miei discorsi sono sempre stati supportati da slide (strutturate secondo immagini corredate di poche scritte – su SlideShare sono caricate alcune presentazioni fatte).
Che col tempo sono diventate uno strumento per me fondamentale, per tenere traccia della struttura del discorso e per sostenere il contenuto raccontato con immagini a supporto e suggestione di chi assiste e ascolta.

Questo mi ha fatto tornare in mente due Talk, condotti senza slide: quello di Susan Cain e quello – molto più recente (TED2018) – di Jaron Lanier.
Sono due dei tanti che sono visionabili sul sito di TED, ma che mi sono cari perché uno parla degli introversi (il libro Quiet di Susan Cain è uno dei miei preferiti in assoluto) ed uno l’ho scoperto perché ne ho scritto una breve introduzione per l’evento che TEDxTorino ha realizzato per lo streaming di TED2018 (scoprendo anche chi è Jaron Lanier, a me totalmente sconosciuto fino a non molto tempo fa).
Due contributi dove tutto il contenuto è “a carico” dello speaker che con la sola sua presenza, l’utilizzo della linguistica, il contenuto in sé e la sua unicità (come individuo e personalità) è in grado di coinvolgere il pubblico (Lanier fa un passo in più, controintuitivo: conduce il Talk da seduto).

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Susan Cain – ©TED

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Jaron Lanier speaks at TED2018 – The Age of Amazement, April 10 – 14, 2018, Vancouver, BC, Canada. Photo: Bret Hartman / TED

Ho anche vissuto l’esperienza di affiancare la preparazione di due Talk per TEDxTorino: quello di Maureen Fan e quello di Bali Lawal.
Due talk che hanno trattato argomenti totalmente differenti (uno sulla Realtà Virtuale come strumento utile a generare empatia, ed uno su un progetto di moda condiviso), con due delivery completamente diverse.
E se uno (quello di Maureen Fan) era fortemente supportato da immagini a riprodurre una realtà immersiva, sul secondo abbiamo optato per la forza della storia e della idea (visione) della speaker, lasciando solo alla fine lo spazio per un video.

Quindi le slide sono necessarie?
No, non sempre.

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Ricordo di avere letto tempo fa una riflessione sulla possibilità/sfida di eliminarle gradualmente per lasciare spazio – e dare forza – alle parole (al loro potere evocativo) e all’oratore che le pronuncia.
Recuperando l’antica tradizione orale della trasmissione della conoscenza e del sapere.
(Jeff Bezos da tempo ha abolito le presentazioni in Power Point dalle riunioni: Le presentazioni in Powerpoint ignorano l’interconnessione delle idee.)

Esistono tanti prop utilizzabili per varie occasioni.
Io stessa in passato ho usato fogli, post-it, libri, una scatola piena di vecchi cellulari…
E mi rendo conto che col tempo le slide sono diventate una sorta di copertina di Linus (le ho usate ancora – recentemente – in uno speech aziendale di un’ora e col senno di poi mi rendo conto che forse erano un po’ troppe, irrigidendo la struttura dell’intervento, rendendo poco agile la gestione in momenti di condivisione con l’audience che stimolavo per coinvolgere ed invitare a riflettere).

Così nelle recenti videochiamate ho preferito parlare a braccio, “guardandosi in faccia”, ascoltando le partecipanti, raccontando e condividendo passo-passo, in un dialogo continuo.
In questo contesto le slide sarebbero state una ulteriore barriera, un filtro aggiuntivo a quello già presente del video (che bisogna prendere in considerazione). Un qualcosa di non necessario che – se utilizzato – avrebbe appesantito la comunicazione, rendendo l’audience ancor più passiva. Dando rigidezza all’incontro e obbligando ad una prima fase di solo ascolto, con una sessione successiva dedicata alle domande.

In sintesi non esiste la ricetta perfetta.
Come sempre tante sono le variabili da considerare per confezionare e condividere il nostro contenuto davanti ad un pubblico.

[Ad eccezione delle immagini di TED – con didascalia – le altre immagini del post sono tratte da Pexels]

Due Talk biotecnologici e ispirazionali

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©TED

Sono una appassionata di TED.
Lo sanno anche i sassi (come dico sovente quando ribadisco i concetti fino allo sfinimento.)

Seguo il loro blog, sono iscritta al portale con un profilo personale (lo sapete che potete costruire il vostro profilo personale nel quale potete anche salvare i vostri video preferiti?), ho avuto il piacere e l’onore di vivere una esperienza con TEDx Torino dietro le quinte (imparando tantissimo) e ho letto diversi libri dedicati.

TED Talks

Ultimamente ho letto quello scritto da Chris Anderson, “TED Talks” (tradotto in italiano in “Il migliore discorso della tua vita”… non commento sulla scelta del titolo per la versione italiana, riflettendo che forse dipende dal mercato nel quale si colloca, l’Italia, dove TED inizia ad essere conosciuto solo adesso, grazie al proliferare di eventi TEDx sul territorio).
Un racconto sul format della celebre conferenza fatto da un insider d’eccezione (l’autore è il curatore e direttore di TED).
Una guida per capire come funziona un talk e che illustra quali sono alcuni strumenti utili per essere efficaci nella propria comunicazione in pubblico.

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Chris Anderson ©TED

Ma non solo.

Infatti, a supporto delle sue argomentazioni, l’autore cita dei Talk di esempio: alcuni noti, altri meno.

E proprio nel secondo gruppo (i meno noti, almeno per me) si colloca quello di Neri Oxman (“Design at the intersection of technology and biology“, TEDGlobal 2015).
Portato ad esempio su come le tecniche di presentazione possono raggiungere altissimi livelli tecnici e di coinvolgimento, l’architetto e artista israeliana spiega e racconta dell’intreccio di diverse discipline e di come queste generino nuove idee, sviluppando tecnologie (di costruzione in questo caso) molto interessanti.

Una epifania per la sottoscritta, sempre affascinata dalla interdisciplinarità e sempre alla ricerca di punti di contatto, e fili rossi inaspettati, che legano ambiti anche tra loro molto diversi.

(Ascoltando il suo talk è emerso dal fondo della mia memoria il ricordo dei Tensegrity, strutture leggere che ebbi modo di analizzare durante la preparazione della mia tesi di laurea nel lontano 1994. E poi come non pensare anche a Buckminster Fuller con le sue strutture geodetiche? O agli studi effettuati sulle tele di ragno come esempio perfetto di tensotrutture?)

Tensegrity
Tensegrity (Immagine tratta da Pinterest)

Ma non solo.
Ancora…

E’ recentissima la (mia) scoperta di questo altrettanto recente Talk di Hugh Herr: “How we’ll become cyborgs and extend human potential“.

Presentato all’ultimo TED Global 2018 a Vancouver (non sono ancora disponibili i sottotitoli in italiano, ma assicuro essere un talk molto comprensibile), illustra e – soprattutto – racconta del rapporto uomo e tecnologia e delle sue immense potenzialità.
Presentando anche una nuova forma di progettazione: NeuroEmbodied Design.
Un ambito dove neuroscienze, progettazione, ingegneria ed ergonomia si intrecciano creando nuove possibilità di supporto all’uomo.
(Il rimando al ben più estremo progetto Neuralink, ideato da Elon Musk, è pressoché immediato.)

Due talk suggestivi ed emozionanti, da ascoltare, vivere e assorbire nella loro visione.
Non solo da un punto di vista di tecniche di presentazione ma anche – e soprattutto – da un punto di vista di contenuti.

Buona visione!

[Immagine di copertina ©TED]