“Infuturazione” (e relativa capacità di).
Un termine che ho sentito per la prima volta qualche tempo fa, ascoltando un podcast dedicato alle emozioni primarie (rabbia, disgusto, gioia, tristezza e paura): Le Basi.
Ma cos’è la Infuturazione?
Sintetizzo con parole mie: capacità di proiettare, immaginare il futuro. Anche il proprio, aggiungo.
Se vogliamo dare uno sguardo ad una fonte autorevole, il sito Treccani definisce la parole Infuturare in questo modo:
v. tr. [der. di futuro], letter. – Estendere nel futuro. Come intr. pron., infuturarsi, prolungarsi nel futuro, spec. nella memoria dei posteri: Poscia che s’infutura la tua vita Via più là che ’l punir di lor perfidie (Dante).
E questo termine mi è venuto in mente ieri sera leggendo questo articolo di The Vision: A forza di imparare a sopportare il dolore del mondo, per difenderci, ci stiamo spegnendo.
Ebbene, non so come sei messә, ma negli ultimi tempi (con sempre maggiore e graduale aumento) faccio fatica ad immaginare il (mio) futuro. Soprattutto in termini professionali e progettuali.
Questo a causa degli avvenimenti degli ultimi due/tre anni che si sono succeduti (quasi affastellati uno sull’altro) senza intervalli di recupero (“entriamo ed usciamo costantemente da emergenze”, ha detto un collega qualche tempo fa).
Togliendomi – o comunque abbassando – la “capacità di infuturazione”.
E di cui avvertivo già una certa fatica da ben prima del 2020, i cui eventi non hanno fatto altro che dare una accelerata ai cambiamenti già in essere, ma che viaggiavano quasi sotto traccia e silenziosamente (e forse un po’ più lentamente).
E ieri sera, leggendo l’articolo, ho avuto una sorta di riscontro su quanto percepito.
Facendomi però anche pensare al suo opposto.
Cioè a quanti – per reazione uguale e contraria – corrono a ritmo indiavolato (quasi isterico) scivolando nella deriva della “psicologia positiva” (e motivazionale) contrapposta allo “spegnersi” citato da The Vision: la prima fugge (talvolta quasi senza meta), la seconda si rifugia nella caverna.
Due facce della stessa medaglia che necessiterebbero di entrare in contatto con una terza variabile: il pragmatismo.
Quel pragmatismo oggi forse un po’ “brutale” che ti fa guardare in faccia la realtà, che ti fa entrare in contatto con cose difficili, che ti fa ascoltare e osservare, portandoti a prendersi dei momenti per stare fermә (altrimenti come diavolo fai ad ascoltare?) per cercare di capire quale direzione prendere.
Cercando di cogliere i segnali deboli.
Prontә a cambiare strada, mantenendo un buon grado di fluidità.
[Foto di Drew Beamer su Unsplash]