Nutro una grande curiosità verso le Intelligenze Artificiali (IA o AI che dir si voglia).
Verso le loro applicazioni nei campi sempre più diversificati.
Riuscire a seguirne lo sviluppo è una impresa ardua, nel fiume di informazioni che ci avvolgono e ci circondano, unita alla loro velocissima evoluzione e progressione.
Seguo sempre con grandissimo interesse due siti/blog che narrano ed illustrano di medicina, AI, neuroscienze, ricerca e (bio)etica: La medicina in uno scatto e il blog di Paolo Benanti.
Due fonti che mi aiutano a sapere di più e a riflettere attorno all’argomento.
Una riflessione costante e continua sulla indubbia bontà e supporto che simili tecnologie possono fornire (e stanno già fornendo) all’uomo, sfruttando la grande capacità di calcolo, e soprattutto la velocità, che consentono di trovare soluzioni in tempi brevi laddove – se fosse l’uomo a farlo – ci impiegherebbe troppo tempo.
(E’ noto il caso di Watson – di IBM – e della sua diagnosi nel 2016 di un raro cancro, in tempi tali da consentire la cura tempestiva della paziente: Donna salvata da leucemia: il supercomputer Watson risolve caso medico.)
Ma – d’altro canto – la mia è anche una riflessione costellata di dubbi e di inquietudini.
Perché?
Perché più queste “tecnologie” sono sviluppate e potenziate e più acquisiscono capacità di discernimento e auto-determinazione.
(E’ di quasi un anno fa la notizia della sospensione del programma di ricerca di Facebook su due AI che avevano iniziato a dialogare tra loro in un modo non comprensibile dai loro programmatori, dando dimostrazione della capacità di sviluppo di un linguaggio ottimizzato per le loro funzioni: L’intelligenza artificiale di Facebook parla una lingua incomprensibile, ma niente panico.)
Da più parti voci più o meno autorevoli, rassicurano sul fatto che non c’è da preoccuparsi. Che le macchine e le Intelligenze Artificiali supporteranno l’Uomo e non la sostituiranno mai (fatto salvo la questione delle professioni).
E che – anzi! – ci consentiranno di dedicarci allo sviluppo e al potenziamento della creatività e di altre qualità umane non replicabili.
Uhm… Siamo sicuri?
Oggi leggo sul profilo LinkedIn di Francesca Gammicchia di Talento Umano (che ha creato la Scuola di Dibattito), la seguente notizia: Project Debater, la nuova AI capace di dibattere per aiutare a prendere decisioni. (Riporto il link alla versione italiana, per comodità.)

E cito, dall’articolo:
Il ruolo svolto da Project Debater sarà quello di “facilitatore” nel far meglio circolare pensieri, opinioni, punti di vista e riflessioni per arrivare ad una sintesi efficace ed efficiente. Un “Thinker” al servizio di pensatori in carne ed ossa.Project Debater, inoltre, riflette la missione di “IBM Research” di sviluppare un’intelligenza artificiale che impari diverse discipline per aumentare le capacità umane.
Project Debater è un passo in più verso una competenza che si ritiene (si riteneva sino ad oggi) sia di esclusivo appannaggio della specie umana: capacità di argomentazione.
Che unita alla enorme capacità di gestione, reperimento e organizzazione dei dati tipica delle AI sempre più evolute, apre scenari a mio avviso abbastanza imprevedibili
Si potrà obiettare che comunque i dati li immettiamo noi e la programmazione e lo sviluppo degli algoritmi delle AI sono “farina del nostro sacco”.
Sì, è vero.
Così come le scelte “if/or/and” nella programmazione delle opzioni e delle scelte, che possono porre delle discriminanti da non sottovalutare (è di qualche giorno fa l’interessante articolo di Paolo Benanti: Divinazioni: le AI di Google prevedono la morte).
Tutte variabili che ci permettono di progettare, governare e stabilire dei limiti (sperando che non vengano superati dall’autoapprendimento citato poco sopra) e che quindi – come per tutti gli strumenti ad alto potenziale – si prestano anche a possibili strumentalizzazioni utili ad assecondare fini non necessariamente etici.
(Uccideresti una macchina? L’automazione, i robot e il dilemma etico dell’intelligenza artificiale.)
Le strade da percorrere sono ancora parzialmente (o forse per gran parte) ignote, e forse non saranno mai chiare del tutto.
Forse le tracceremo nel momento in cui le percorreremo.
E credo che questo ci spingerà (ci deve spingere) a far fare alla creatività un ulteriore fondamentale salto in avanti.
Per necessità e per sopravvivenza.
[Immagine di copertina: 2001, Odissea nello spazio – Tutte le immagini sono tratte da Pexels ad eccezione dell’immagine tratta dal New York Times]