“La promessa, però, è un mondo in cui vita e tecnologia si mescolano senza soluzione di continuità.”
Questa frase è tratta dall’articolo che ho letto stamattina pubblicato da Business Insider: “Lo smartphone sparirà prima di quanto pensi […]“.
Leggo sempre con grande interesse gli articoli che riguardano la tecnologia.
E mi affascina (e mi inquieta, nel contempo) la progressione esponenziale che sta avendo. Come se avesse ormai superato abbondantemente quel tipping point (ossia il punto critico, o anche “punto di non ritorno”) citato da Malcom Gladwell nel suo libro omonimo “Il punto critico”.
E come sempre mi accade ogni volta che leggo queste notizie (quindi a cadenza pressoché giornaliera), ripercorro la mia “storia tecnologica” ed il personale rapporto con device, computer, smartphone…
Penso a come sono stata risucchiata (lentamente, prima, e sempre più velocemente poi) da questo “mondo”. Da questa “realtà”.
Con entusiasmo (da considerare che i miei film preferiti sono “Blade Runner” e “Strange days”…) ma – ora, negli ultimi tempi – con una parallela sensazione di inquietudine crescente (l’incontro con “Black mirror” ha costituito un salutare bagno di “realtà”… se così si può definire…).

Ricordo nitidamente quando nel 1994 dicevo: “Io, il computer non lo userò mai!”, disegnando gli elaborati per la tesi con Rapidograph su carta da lucido, battendo a macchina il testo e portandolo ad un centro battitura tesi per la versione finale.
[Autocad era già una realtà abbastanza consolidata anche se successivamente avrebbe visto incrementi sostanziali; così come si parlava già molto dei programmi rivoluzionari di videoscrittura Macintosh.]
Ricordo nitidamente il corso di alfabetizzazione DOS fatto allo IED subito dopo la laurea (non sapevo neanche come si accendeva un computer). E poi – in rapida successione – Autocad Base e Avanzato.
Ricordo l’uso della tavoletta grafica con Autocad 12 nel mio primo posto di lavoro (la gioia di non dover digitare comandi da tastiera).
Da lì è stato un sempre più rapido incremento tecnologico, di cui sono stata in parte spettatrice e in parte utente.

Dai primi timidi passi con il primo computer (un 486), il primo telefono (un “Nokia-bisonte” che anche da tre piani sottoterra ti consentiva di telefonare…), fino ad arrivare ad oggi con un “supercomputer in tasca” (una suggestiva definizione dello smartphone che ho sentito usare al TEDx Lake Como nel 2015 da uno degli speaker).
In 23 anni ho visto come la tecnologia mi ha gradualmente e sempre più pervasivamente preso con sé. Diventando una presenza fissa sulla quale conto sempre di più per supportarmi nella quotidianità.
Ora leggendo di sperimentazioni di chip sotto pelle (“Il dipendente-cyborg: un chip sottopelle e butti carte e badge“), di lancio del progetto Neuralink di Elon Musk, di esperimenti e brevetti su lenti a contatto “intelligenti” (utili per monitorare stato di salute dei pazienti – ottima cosa secondo me – ma anche per registrare ciò che vediamo [qui un rimando ad alcuni articoli della lente Sony iVision]) e studi di Google sull’occhio bionico (“Occhio bionico by Google, si inietta e poi si trasforma“), la situazione assume aspetti interessanti che aprono scenari inaspettati e confronti etici molto delicati. (Siamo abbondantemente oltre i wearable device.)
Ma voglio essere ottimista.
(Visto che comunque con questa imminente realtà bisognerà abituarsi a conviverci.)
Come sempre accade, quando ci troviamo davanti a “rivoluzioni copernicane”, la paura ci fa immaginare scenari nefasti.
Il nostro “cervello rettiliano” ci fa ragionare per modalità conservativa dello status quo, facendoci rifiutare tutto ciò che è nuovo (qualsiasi esso sia e a qualsiasi livello esso si trovi).
Facendoci anche opporre resistenza verso la inevitabilità dei processi “evolutivi” (e dei cambiamenti in genere), con conseguente nostra obsolescenza (per usare un termine caro alla tecnologia).
Invece forse conviene avere anche fiducia in questi progressi tecnologici.
Pensandoli e vedendoli anche come processi utili per gli altri (soprattutto in campo medico e sanitario, e a supporto di persone con gravi disabilità o problemi di salute).
Come strumenti utili al miglioramento della qualità della vita.
E confidare forse anche in una cosa: l’assestamento ed il rallentamento della curva di crescita verso un andamento asintotico. Una volta fatto questo “passaggio di stato” (mutuando il termine dalla fisica) verso un nuovo modo.
(Sempre che non sia corretta la previsione di Ray Kurzweil sulla Singolarità Tecnologica.)
Chiudo con un link ad un “articolo speranza”:
Noi umani abbiamo un superpotere. È l’empatia che ci rende eccezionali.
[Immagini tratte da Google Immagini]
Pur avendo 85 anni, apprezzo e condivido tutto quanto esponi con grande chiarezza.
Mi complimento, quindi, con te ( spero che non ti offenda la forma forse troppo confidenziale con la quale mi rivolgo),come peraltro già altre volte mi è capitato di incontrarti in questa sede.
Giuseppe Russo
Buonasera Giuseppe,
Grazie! Nessuna offesa per il tono infornale.
Argomento spinoso, questo della tecnologia, che ci sta mettendo davanti a temi etici interessanti. E credo sia comunque una cosa di cui non possiamo fare a meno.
Ci torneremo sull’argomento. 🙂
Grazie ancora,
Barbara