Spesso (ma non sempre), quando mi capita di ascoltare alcune persone che hanno molto seguito (definibili nuovi “guru”?), ci sono alcune cose che non mi tornano.
Sto parlando di quelle persone che hanno fatto scelte più o meno radicali, prendendo talvolta anche alcune posizioni decise e ben delineate, e che vengono indicati come dei fari che illuminano nuove strade da percorrere.
Spesso (non sempre) ho notato che sono persone che partono da posizioni di vantaggio economico.
Per esempio sono dei manager che – dopo una vita passata a spremersi e a spremere come un limone l’umanità – decidono di cambiare vita, giustamente stanchi ed esausti. Non riconoscendosi più in quello che fanno e nel ruolo che ricoprono.
Fin qui nulla di strano.
Succede. Ed è comprensibile.
(Conosco persone che ad un certo punto hanno detto basta e hanno fatto la virata, con tempi fisiologici di cambiamento medio-lunghi.)
Io stessa (dal basso della mia posizione di piccola rotella all’interno di un enorme ingranaggio) spesso mi faccio delle domande sul senso di quello che faccio, cercando di vederci un disegno, un obiettivo nel futuro.
E quando c’è nebbia (e spesso c’è), arrivano inevitabilmente le domande sul perché faccio quello che faccio.
Ma se prendo in considerazione la possibilità di cambiare vita, iniziano i problemi raccolti sotto una domanda-mamma: “Sì, ma come?”
Ossia, logisticamente ed economicamente parlando come posso fare?
Perché il pane me lo devo comunque guadagnare… Devo mangiare, devo coprirmi, devo pagare le bollette…
E osservando queste figure di riferimento, porta bandiera dei cambi radicali di vita, mi sono fatta una riflessione che suona più o meno così:
“Sono manager che hanno deciso di cambiare vita. Ma quanto guadagnavano questi signori?”
Presumo (ma è una mia ipotesi) che il loro compenso fosse consistente.
E presumo (è sempre una mia ipotesi) che – all’atto delle dimissioni – una buona uscita succosa l’abbiano intascata.
Una buona uscita che ha permesso loro di ragionare con calma e di avere un “cuscinetto economico” che permettesse loro di pianificare ed organizzare la propria vita.
Per quanto mi sforzi, non ricordo casi di persone in “posizioni intermedie” che hanno deciso di punto in bianco di cambiare, rinnegando vita e ruolo, e andando a fare altro, professando la proprie idee in una sorta di nuova evangelizzazione (a proposito di evangelizzazione, qui un interessante articolo su Guy Kawasaki che non c’entra molto con l’argomento del post, ma che fa fare qualche riflessione interessante).
E mi è capitato di osservare che in alcuni casi questi “nuovi guru” si sono circondati (volontariamente o involontariamente) di persone adoranti, pronte ad osannarli e a seguirli: proseliti che – alla fine – sono diventati una sorta di nuovi collaboratori di una nuova “azienda”.
Sì, perché poi accade che queste persone tornino a fare quello che avevano rinnegato: tornano a fare business.
Continuando a rifiutare (apparentemente) le forme di business.
E questo è il secondo punto che non mi torna: una incongruenza che crea una distonia (almeno per me).
Mi preme però sottolineare una cosa: non contesto ciò che queste persone portano avanti come idee (la conservazione del pianeta, la salvaguardia ed il recupero di alcuni valori, e altro), ma resto molto perplessa davanti a prese di posizione che rinnegano il proprio passato, tornando comunque a fare quello che facevano prima, con un vestito diverso.
Davanti a questo io non riesco a credere a quello che queste persone dicono.
Per quanto siano ottimi oratori e le idee che portano avanti siano sacrosante, io proprio non riesco a credere loro.
Ed è per questo che apprezzo chi porta in giro certi valori con un assunto di base:
“Resto dentro il sistema perché questo sistema mi permette di avere dei vantaggi, anche se ha generato e genera delle storture. Storture che cerco di cambiare come meglio posso.”
Sono persone che cercano di farsi portatori/portatrici di valori, idee e strumenti che possono far mettere in discussione alcune devianze strutturali.
E che cercano di cambiarle al meglio delle loro possibilità.
Senza rifiutare il sistema, bensì riconoscendolo e cercando di lavorarci dentro e attorno per migliorare la situazione.
[Immagine: Ben Kingsley in “Love Guru”]