Condivisione di saperi

Libri
Immagine tratta dal web

Tra ieri ed oggi mi è capitato di assistere (commentando) ad una discussione su Facebook relativa alla condivisione integrale di un libro tuttora in commercio.

Tecnicamente (e giuridicamente) si tratta di una violazione del copyright (Wikipedia dà una spiegazione abbastanza esaustiva e chiara dell’argomento, rimandando a link di ulteriore approfondimento: Copyright).

Infatti se prendo un libro (che non è mio, ma è frutto della fatica intellettuale e fisica di chi – rispettivamente – lo ha scritto e lo ha reso fisico e reale, rendendolo “prodotto”) ne faccio la scansione e lo condivido online commetto un reato. Non c’è molto altro da dire.

Ma quello che mi ha lasciato perplessa è stata la reazione delle persone che hanno dato il loro contributo alla discussione: poche hanno evidenziato il problema di violazione esprimendo forti dubbi, molte hanno parlato di condivisione positiva del sapere e di utile veicolo di diffusione della reputazione dell’autore.

In particolare mi ha colpito la “leggerezza” di approccio. Leggerezza che mi ha dato la sensazione che la questione dello “sharing” (e la sua scarsa conoscenza perché – presumo – argomento molto acerbo) stia facendo travisare la realtà delle cose, sdoganando comportamenti potenzialmente scorretti (mettendo un momento da parte “la buona fede”). (Sempre Wikipedia – nella versione inglese – ha una pagina molto esaustiva dedicata alla Sharing Economy di cui essa stessa – come “enciclopedia libera” e open source ne è una declinazione.)

Onestamente ho qualche grossa perplessità sul tema.

Penso che chi crede nella “condivisione a prescindere” rischi di perdere di vista un punto fondamentale: il valore del lavoro fatto da altri (che merita di essere riconosciuto non solo intellettualmente ma anche economicamente).

L’atto del condividere non è applicabile senza un minimo di cognizione di causa.

A chi accarezza questa idea (con più o meno buone intenzioni) porrei una domanda

Saresti contento di fare un lavoro intellettuale non retribuito? Saresti realmente soddisfatto della sola retribuzione in termini di visibilità?

Non credo…

Credo anzi sia necessario iniziare a fare delle distinzioni nel mare magnum dell’informazione online e offline, facendo mente locale e prendendo consapevolezza di alcune dinamiche che la velocità del web e dei click-baiting ci hanno fatto perdere di vista.

Partendo da un punto fondamentale secondo me: un conto è la condivisione delle idee trasmesse via social media (che non sono un prodotto di serie B a cui attingere a piene mani ignorando i “credits”, altra questione annosa), un conto è un prodotto intellettuale come il libro, messo in vendita il cui prezzo è costruito per ripagare chi ha contributo alla sua costruzione.

Sulla condivisione dei contenuti e delle idee via web ci sono interessanti esperimenti di tutela e pareri legali interessanti, che penso siano eccellenti per iniziare ad avere una idea di quali possano essere diritti e doveri.

Uno dei tanti è la licenza Creative Commons che rappresenta un buon metodo di regolamentazione e responsabilizzazione rispettivamente per chi produce contenuti e per chi li condivide (TED – colosso della condivisione, ma con precise regole – è tutelato da licenza Creative Commons).

E sempre per il web esistono molti interessanti studi e pareri di cui riporto qui alcuni link (l’elenco non è esaustivo e qualsiasi contributo aggiuntivo è ben accetto):

Credo che sia arrivato il momento di avviare un processo di alfabetizzazione su argomenti troppo nuovi per essere compresi appieno.

Ma che se capiti diventano uno strumento utile e vantaggioso per tutti, dalle immense potenzialità.

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Immagine tratta da http://www.inc.com

Una immagine

Zuckerberg 3
Courtesy of FB profile di Mark Zuckerberg (dal Mobile World Congress)

Poco fa ho letto questo articolo (in inglese) pubblicato da The Verge:

This image of Mark Zuckerberg says so much about our future

Leggendolo mi ci sono ritrovata.
Ho ritrovato una visione un po’ preoccupata del futuro.
E tante spie di allarme si sono riaccese nella mia testa.
Riaccese perché proprio ieri avevo letto lo status di Zuckerberg su Facebook, accompagnato da foto ad alto impatto visivo che mi avevano inquietato non poco, generando nella mia mente delle immagini di un qualcosa di pericolosamente vicino alla distorsione.

Zuckerberg World Mobile Congress
Il post di Mark Zuckerberg

 

The Verge, nell’articolo, evoca scenari distopici (è quasi inevitabile pensarci, guardando quella foto) riandando allo spot della Apple “1994”, creato da Ridley Scott, che narrava di un futuro alla Grande Fratello di Orwell dove proprio Apple incarnava la figura dell’eroe che rompeva uno schema dominante (quasi un paradosso pensando alla presa emotiva che Apple ha oggi sui suoi clienti e non solo).

Apple Ridley Scott
Immagine tratta da Cult of Mac: lo spot di Ridely Scott per la Apple [“1984”]
Ma non solo.

Mi sono venute in mente anche delle immagini di un trailer del film “Prometheus” (sempre di Ridley Scott).
Un trailer che non era una sequenza del film, bensì il racconto di un episodio che mostrava un evento accaduto prima delle vicende narrate nella pellicola (un interessante esperimento di “cinema che esce dal cinema”).

Prometheus TED Talk
Una immagine tratta da uno dei trailer del film “Prometheus” [2012]

Zuckerberg 2
Dal profilo FB di Mark Zuckerberg, una delle immagini suggestive pubblicate (dal Mobile World Congress)

Ora, non metto in dubbio la bontà della iniziativa pensata da Samsung, “Samsung Gear VR”: personalmente intravedo sviluppi interessanti per persone con gravi disabilità (così come gli esoscheletri sono altrettanti interessanti studi che possono avere – e spero avranno – ricadute positive su persone in difficoltà).
Quello che mi fa impressione, che mi preoccupa, è la ricaduta sull’uomo comune.
E sulla sua percezione e distinzione tra ciò che è reale e ciò che è immaginario.

Già la potenza evocativa e di comunicazione di Facebook è in grado di sfumare il confine tra realtà ed ambiente virtuale (facendoci perdere di vista alcuni punti fondamentali relativi al comportamento sociale, al dialogo e alla interazione tra individui).
Già possediamo, e portiamo in tasca, dispositivi in grado di tenerci sempre connessi comunque e ovunque, che sono gli anelli di congiunzione tra due mondi non più tanto separati e sempre più permeati uno nell’altro.
Così facendo, il confine potrebbe definitivamente sparire, rendendo reale quanto alcuni film di fantascienza disegnavano solo pochi anni fa.

BRUCE WILLIS (right)
Immagine tratta dal film “Il mondo dei replicanti” [2010]
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Una sequenza tratta dal film “Il tagliaerbe” [1992]
Non voglio essere allarmista. Né purista.
Non servirebbe a niente.
Anche perché vivo in questo mondo e faccio un uso massivo dei social network e delle tecnologie (perdendo talvolta di vista alcuni concetti fondamentali e rendendo necessaria una presa di distanza per “rimettere a post alcuni paletti”).

Però penso che sia fondamentale ora più che mai una educazione all’utilizzo di questi mezzi, potenti e versatili, anche e soprattutto da parte di chi li pensa, li progetta e li produce.
Coniugando un uso consapevole ed etico ad una logica di marketing più che giustificata.

E a proposito di regole etiche, qui un link ad un dibattito in corso sulle auto che si guidano da sole:

Decisioni difficili per le auto a guida autonoma

A prima vista può sembrare un discorso lontano dall’argomento di questo post, ma forse è solo un altro aspetto che l’etica si trova ad affrontare in questo nuovo mondo.