Sulla vendita (ogni tanto ci torno)

L’ho scritto in passato (su questo blog e in diversi post sparpagliati nei social network), l’ho raccontato in qualche discorso Toastmasters ed è un concetto che – da quando ne ho preso coscienza qualche anno fa – non mi ha più abbandonato.

Quando mi sono resa conto che anche io (che con la vendita – intesa come “atto di vendere qualcosa a qualcuno” – non ho mai fatto pace) sono un venditore, il punto di vista si è improvvisamente spostato.

Mi sono auto-collocata nel duplice ruolo di venditore/cliente e da lì non mi sono più mossa.

[Il video dell’ultimo discorso tenuto al Toastmasters, relativo alla vendita]

La mia ossessione è stata verbalizzata in “non fare agli altri ciò che non vuoi che venga fatto a te” (parafrasando un motto di evangelica memoria).

Che detta in altri termini può suonare più o meno così: “Se ti dà un fastidio atroce essere martellato da chi ti vuole vendere qualcosa a qualunque costo, non martellare a tua volta qualcuno per vendergli il tuo servizio/prodotto a qualunque costo”.

Sì, lo so che bisogna fatturare.
Sì, lo so che bisogna fare numeri.
Sì, lo so che bisogna pagare le bollette (e/o “andare all’Esselunga alla sera quando si torna a casa”, come dice mio papà).

Ma in un’era nella quale siamo seppelliti di pubblicità.
Assediati da telefonate di call center che vogliono venderti servizi di ogni genere (con buona pace della tutela della privacy).
Con curiosi ritorni alla modalità di vendita porta-a-porta (forse nel tentativo di stabilire una connessione fisica/umana bypassando i filtri tecnologici, di qualsiasi tipo essi siano).

Forse un po’ di sano silenzio e ascolto attivo delle conversazioni e dei bisogni dell’altro, può essere una strada interessante da percorrere.

[Photo by Jose Francisco Fernandez Saura From Pexels]

Una strada che può riservare delle sorprese.

Certo, questo comporta forse investire più tempo.
Più risorse.
Più energie.
Impegnandosi ad acquisire nuove competenze.

Ma forse comporta anche la costruzione di rapporti più solidi, più duraturi e più fidelizzati.

Non mordi e fuggi.
Che vanno bene per un one shot e “morta lì”.

(Si tratta di punti di vista da cliente venditore…)

Immagine di copertina di Fancycrave.com da Pexels

Non solo vendita ma anche cultura

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Oggi, nel riordino post-vacanziero delle mail, ho dedicato qualche minuto in più di attenzione alla newsletter di Zumtobel (nota casa di produzione di lampade).
E nel prestare maggiore attenzione, mi sono accorta (probabilmente con un notevole ritardo rispetto alla effettiva messa online) del loro sito #lightlive, scoprendo un mondo nuovo.

Conosco Zumtobel da tempo, e l’ho sempre considerata un punto di riferimento nello studio di soluzioni di sorgenti, di apparecchi e di proposte tecnologiche. Così come ho sempre trovato interessanti le loro pubblicazioni tecniche che illustrano studi sulla influenza della luce, sulla importanza delle temperature di colore, sui ritmi circadiani e su altri aspetti appartenenti più ad aree “scientifiche” e “psicologiche” che al design illuminotecnico (così come conosciuto ai più).

E questo loro modo di operare – e divulgarne i risultati – credo sia rappresentativo di una forte identità (e congruenza) dell’azienda, che progetta e produce apparecchi per “illuminazione tecnica” ma si colloca anche in un’area interdisciplinare di ispirazione scientifica.

Oggi, navigando in #lightlive (“A Zumtobel project” recita il motto) ho visto un canale di comunicazione di questa loro identità molto ben fatto.

Questo mi ha fatto fare una ulteriore considerazione: “Questi signori non vendono (solo) lampade. Questi signori fanno (anche) cultura della luce.”

Ecco: fare cultura (oltreché vendere).

Penso che “fare cultura” sia una cosa molto importante: sono convinta che per vendere un prodotto, oltre a saperlo raccontare, deve essere supportato anche dalla ricerca che sta dietro.
Deve comunicare la cultura che ne costituisce le basi.
Deve comunicare un “perché” (qualsiasi esso sia).

Ritengo sia fondamentale nella comunicazione della sua identità.
A testimonianza del valore (aggiunto) di ciò che propone.

Certo non tutti siamo Zumtobel.
Non tutti abbiamo i suoi mezzi, la sua tecnologia ed il suo fatturato.
E – certo – comunicare “cultura” e “ricerca” che ci sono dietro ciò che si propone, comporta fatica.
Però penso che valga la pena tentare per dimostrare (comunicare) la validità di ciò che si produce.
Sia che si tratti di un prodotto fisico, sia che si tratti di un prodotto intellettuale (ancor più faticoso).

(Curiosità: Zumtobel ha vinto per la seconda volta il premio Superbrands. Qui il link alla news, che contiene anche il rimando al sito internazionale di Superbrands.)

[Immagini tratte dal sito http://www.studiomilani.eu e http://www.lighlive.com]