Stanzialità e prossimità

 

Una Yurta Mongola [Fonte Wikipedia]

Ieri mattina mi sono ritrovata a fare delle riflessioni dopo che mi ero svegliata con una scelta precisa da compiere.

Si trattava di una considerazione che coinvolgeva (e coinvolge) l’anno che mi si prospetta davanti e che – per una attività volontaria che sto svolgendo – comporta numerosi spostamenti.
E che necessita quindi di una programmazione attenta ed una ottimizzazione delle attività altrettanto accurata.

Non è arrivata come un “fulmine a ciel sereno”.
Tutt’altro: è stata ruminata ed è maturata nel corso di giorni precedenti durante i quali – per una strana casualità – avevo anche incrociato un articolo che aveva catturato il mio interesse:

I lati positivi di non cambiare mai città.

E che forse ha contribuito in qualche misura – ed in modo indiretto – al ragionamento in corso.
Facendomi anche riandare alla memoria ad un altro articolo, apparentemente diverso per argomento, ma nel quale ho “sentito” (intuito) più che visto, un legame con il precedente:

I nuovi viaggiatori che non prendono l’aereo.

Il processo di associazione di idee non si è fermato qui, bensì è proseguito, riandando ad un libro che ho letto lo scorso Natale: “Quando siete felici fateci caso”.
Una raccolta di discorsi che Kurt Vonnegut ha tenuto in diverse scuole ed università americane.
Leggendolo talvolta avevo l’impressione che il relatore si trovasse in un curioso stato dissociato (alcune affermazioni mi risultavano un po’ sconclusionate), ma un filo logico, quasi un mantra, che tornava spesso nel libro è “la prossimità”.
Intesa come comunità di appartenenza, chilometricamente vicina, con cui interagire e presso cui portare il proprio contributo.

 

Foto natalizia del libro (scattata durante la sua lettura)

Ed è stato proprio durante questa curiosa ed inaspettata associazione di idee che mi sono domandata se e quanto vale la pena sgomitare e annaspare per andare, fare, brigare con il rischio che il tutto diventi compulsivo a soddisfacimento del “must do” (ricadendo quindi anche nei ragionamenti che mi stavo facendo sulla scelta da prendere).

E in un’era dove sembra che se non sei internazionale, se non presenzi e se non fai networking in maniera percussiva, in un’era dove la vaporizzazione di confini virtuali data dai social network (che hanno annullato distanze fisiche e temporali) sta travasando anche nello spazio fisico, forse si iniziano a cogliere i primi cenni di una inversione di tendenza (o comunque un ridimensionamento).
Di un ritorno ai luoghi a noi prossimi e alla comunità fisica (che raramente collima con quella virtuale).

O forse è solo una personale percezione e altrettanto personale ricerca di equilibrio.
Per non farsi sopraffare da obblighi imposti da altri che – se non sono in risonanza con te – rischiano di diventare fonte di frustrazione.

E a proposito di prossimità e comunità, chiudo con questo “talk” di TEDx Lake Como dell’anno scorso, che narra di una bella iniziativa:

[Foto di copertina: ©Aldo Mingozzi “Villaggio di campagna”, olio su tela – http://aldomingozzi.com/]