Parlando di robotica (da “neofita”)

La locandina della mostra in corso al MUDEC

Ho atteso questa mostra per un anno.
E finalmente il 1° maggio (giorno di apertura) l’ho visitata, previa prenotazione (obbligatoria nel weekend e consigliata durante la settimana; ma consiglio ugualmente sempre e comunque la prenotazione per non avere imprevisti sulla porta del museo).

Mi sono divertita ed emozionata.

Divertita perché la mostra racconta ed illustra senza tralasciare anche l’aspetto ludico.
Emozionata perché l’attesa durata un anno nel quale è accaduto ciò che ben sappiamo, si è fatta sentire (“risolvendosi”) salendo le scale del museo e rivedendo dopo tanto tempo l’atrio che – con la sua atmosfera – ti trasporta altrove.

Ho scattato foto (visibili a questo link) e ho condiviso le impressioni sui social.

E proprio dalla condivisione dell’esperienza sui social si è aperta la conversazione con Carlo Ottaviani (ex-collega Toastmasters) di Officine Robotiche che ha dato vita alla diretta che è andata in onda ieri sera sul canale YouTube di OR all’interno della rubrica ORAperitech.

Con l’obiettivo di condividere le impressioni sul tema da inesperta, semplice osservatrice incuriosita e possibile utente.

Qui sotto il video della serata.
Buona visione!

Robotica e protesica

Chi si ricorda la scena della mano robotica impiantata a Luke Skywalker, dopo che aveva perso la sua durante il duello con Darth Vader?
(Accade ne “L’impero colpisce ancora”)

Ebbene quella scena che rappresentava una delle tante chicche tecnologiche all’interno del film forse più tecnologico della prima trilogia proiettata al cinema (che non è la prima in ordine temporale narrativo), è diventata realtà.

Anche se l’aspetto della protesi permanente è ancora “primitivo”, è di questi giorni la notizia della riuscita del primo intervento di impianto di una mano robotica su essere umano.

Leggere questa notizia non solo mi ha emozionato, ma mi ha fatto immediatamente ricordare un talk che ascoltai alla edizione del 2015 di TEDxLakeComo, dove fu presentata una protesi, non permanente, realizzata con stampante 3D, di Open Biomedical Initiative: una mano “automa” che grazie a speciali tiranti (una versione) o comandi elettrici (la versione più avanzata) era (è) in grado di muoversi, permettendoti di prendere oggetti e manipolare cose.

E nel mentre stavo assemblando notizie, idee e ricordi per questo breve post, ecco che ho visto scorrere nella timeline di Facebook una notizia proveniente dal portale La medicina in uno scatto, che spiega di come le stampanti 3D stanno evolvendo grazie alla tecnologia di scansione usata dalle macchine diagnostiche:
Dalla diagnostica per immagini un’innovazione delle stampanti 3D

Ricerche e percorsi di sviluppo affascinanti che aprono scenari incredibili e di grande speranza per chi è portatore di disabilità permanenti o temporanee, congenite o acquisite per cause delle più disparate.

Della singolarità ed esponenzialità nella biotecnologia

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Foto da Pixabay

Stamattina – grazie ad un contatto su Facebook – ho letto l’articolo del World Economic Forum dal titolo “7 ways the ‘biological century’ will transform healthcare”.
Ed è stato immediato farmi alcune considerazioni.

La prima.
Siamo arrivati alle soglie della creazione del super-uomo.
E stiamo per varcare quella soglia (se non lo abbiamo già fatto).

[Qui un post di un anno fa nel quale raccontavo della due giorni della prima conferenza italiana di Singularity University, dove ebbi modo di ascoltare segnali per me inequivocabili.]

Questo perché, leggendo l’articolo del WEF, è stata per me immediata l’associazione con l’idea di processi di selezione di “mattoni” buoni per costruire esseri viventi più resistenti e più sani.

E se questa è una cosa molto bella, vista nella accezione della cura e sconfitta di malattie gravi e/o fino ad oggi incurabili, e nella riparazione di danni fisici subiti (è di questi giorni la notizia di un intervento di impianto spinale che ha consentito a tre pazienti di ricominciare lentamente e faticosamente a muoversi), dall’altro rende sempre più evidenti le implicazioni etiche che operazioni di questo tipo fanno sorgere (questione che viene evidenziata nello stesso articolo soprattutto da un punto di vista normativo):

In parallel, the next wave will be led by a distributed labs around the world, including China and other regions; medicine will be no longer dominated by the US and Europe. The regulatory environment in the US and Europe makes clinical trials somewhat difficult, and for good reason. However, China has a more open view of regulation in many new areas of medicine, coupled with the world’s largest market for most diseases and medical procedures.

E la seconda considerazione è proprio legata all’etica.
Se ne parla sempre di più: la questione assume importanza sempre maggiore.
E non può più essere ignorata.

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Foto da Pixabay

E se stanno nascendo corsi dedicati, si scrive molto in tema di “etica vs AI”, si redigono tesi e si stanno aprendo scenari professionali interessanti (a tale proposito seguo sempre con grande interesse il blog di Paolo Benanti, Francescano del Terzo Ordine che tratta di etica e scienza in modo molto aperto e laico), ho la percezione – nel contempo – di una attenzione focalizzata solo su specifici argomenti.

Per esempio – uno tra i tanti – sull’etica della guida autonoma (dove l’Intelligenza Artificiale deve decidere in situazioni di rischio come comportarsi):

Mentre non vedo (forse perché non sono in grado io di trovare le informazioni) approfondimenti sulla “operatività limite” (molto borderline) che coniuga Genetica  –  Etica – Big Data – Intelligenza Artificiale.
Un mix che apre scenari entusiasmanti nella cura dell’essere umano.
Ma che – se non ben gestita e regolamentata – rende molto concreto quanto da noi solo passivamente sperimentato (tra l’affascinato, l’incuriosito e l’impaurito) leggendo libri e/o vedendo film e serie TV.

Chiudo con due spunti di riflessione ulteriori.
Un Talk — che ebbi modo di ascoltare dal vivo e che mi dissero divise la platea — ed un sito che intercettai per puro caso diversi anni fa e che mi inquietò non poco:

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©Black Mirror – Arkangel

 

[Immagine di copertina: Cyborg di iWebDesigner]

Di AI, dialettica e dibattito

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Nutro una grande curiosità verso le Intelligenze Artificiali (IA o AI che dir si voglia).
Verso le loro applicazioni nei campi sempre più diversificati.
Riuscire a seguirne lo sviluppo è una impresa ardua, nel fiume di informazioni che ci avvolgono e ci circondano, unita alla loro velocissima evoluzione e progressione.

Seguo sempre con grandissimo interesse due siti/blog che narrano ed illustrano di medicina, AI, neuroscienze, ricerca e (bio)etica: La medicina in uno scatto e il blog di Paolo Benanti.
Due fonti che mi aiutano a sapere di più e a riflettere attorno all’argomento.

Una riflessione costante e continua sulla indubbia bontà e supporto che simili tecnologie possono fornire (e stanno già fornendo) all’uomo, sfruttando la grande capacità di calcolo, e soprattutto la velocità, che consentono di trovare soluzioni in tempi brevi laddove – se fosse l’uomo a farlo – ci impiegherebbe troppo tempo.
(E’ noto il caso di Watson – di IBM – e della sua diagnosi nel 2016 di un raro cancro, in tempi tali da consentire la cura tempestiva della paziente: Donna salvata da leucemia: il supercomputer Watson risolve caso medico.)

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Ma – d’altro canto – la mia è anche una riflessione costellata di dubbi e di inquietudini.
Perché?
Perché più queste “tecnologie” sono sviluppate e potenziate e più acquisiscono capacità di discernimento e auto-determinazione.
(E’ di quasi un anno fa la notizia della sospensione del programma di ricerca di Facebook su due AI che avevano iniziato a dialogare tra loro in un modo non comprensibile dai loro programmatori, dando dimostrazione della capacità di sviluppo di un linguaggio ottimizzato per le loro funzioni: L’intelligenza artificiale di Facebook parla una lingua incomprensibile, ma niente panico.)

Da più parti voci più o meno autorevoli, rassicurano sul fatto che non c’è da preoccuparsi. Che le macchine e le Intelligenze Artificiali supporteranno l’Uomo e non la sostituiranno mai (fatto salvo la questione delle professioni).
E che – anzi! – ci consentiranno di dedicarci allo sviluppo e al potenziamento della creatività e di altre qualità umane non replicabili.

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Uhm… Siamo sicuri?

Oggi leggo sul profilo LinkedIn di Francesca Gammicchia di Talento Umano (che ha creato la Scuola di Dibattito), la seguente notizia: Project Debater, la nuova AI capace di dibattere per aiutare a prendere decisioni. (Riporto il link alla versione italiana, per comodità.)

 

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Un momento del dibattito – ©NewYorkTimes

E cito, dall’articolo:

Il ruolo svolto da Project Debater sarà quello di “facilitatore” nel far meglio circolare pensieri, opinioni, punti di vista e riflessioni per arrivare ad una sintesi efficace ed efficiente. Un “Thinker” al servizio di pensatori in carne ed ossa.Project Debater, inoltre, riflette la missione di “IBM Research” di sviluppare un’intelligenza artificiale che impari diverse discipline per aumentare le capacità umane.

Project Debater è un passo in più verso una competenza che si ritiene (si riteneva sino ad oggi) sia di esclusivo appannaggio della specie umana: capacità di argomentazione.
Che unita alla enorme capacità di gestione, reperimento e organizzazione dei dati tipica delle AI sempre più evolute, apre scenari a mio avviso abbastanza imprevedibili

Si potrà obiettare che comunque i dati li immettiamo noi e la programmazione e lo sviluppo degli algoritmi delle AI sono “farina del nostro sacco”.
Sì, è vero.
Così come le scelte “if/or/and” nella programmazione delle opzioni e delle scelte, che possono porre delle discriminanti da non sottovalutare (è di qualche giorno fa l’interessante articolo di Paolo Benanti: Divinazioni: le AI di Google prevedono la morte).

ai-artificial-intelligence-astronaut-39644Tutte variabili che ci permettono di progettare, governare e stabilire dei limiti (sperando che non vengano superati dall’autoapprendimento citato poco sopra) e che quindi – come per tutti gli strumenti ad alto potenziale – si prestano anche a possibili strumentalizzazioni utili ad assecondare fini non necessariamente etici.
(Uccideresti una macchina? L’automazione, i robot e il dilemma etico dell’intelligenza artificiale.)

Le strade da percorrere sono ancora parzialmente (o forse per gran parte) ignote, e forse non saranno mai chiare del tutto.
Forse le tracceremo nel momento in cui le percorreremo.
E credo che questo ci spingerà (ci deve spingere) a far fare alla creatività un ulteriore fondamentale salto in avanti.
Per necessità e per sopravvivenza.

 

[Immagine di copertina: 2001, Odissea nello spazio – Tutte le immagini sono tratte da Pexels ad eccezione dell’immagine tratta dal New York Times]

Due giorni nel futuro

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Con un po’ di ritardo sulle tabelle di marcia, metto insieme e pubblico una serie di appunti e considerazioni sulla mia partecipazione al primo Summit di Singularity University Italia.

Una due giorni intensa trascorsa ad ascoltare di lavori del futuro, di tecnologia, di scienza e di innovazione.
Di educazione e di mobilità.
Di nuove competenze e di “leadership esponenziale” (concetto che mi ha catturato ed affascinato).

Per soddisfare una mia curiosità verso questa realtà e per cercare di capire cosa mi (ci) riserva il futuro (inevitabile).

Fare un sintesi è pressoché impossibile.
Quello che posso fare è condividere i due Moment pubblicati su Twitter.
Una panoramica di suggestioni, di parole e concetti chiave (un po’ in inglese ed un po’ in italiano, a seconda della ispirazione del momento), accompagnati da immagini:

 

Se dovessi fare una (difficile) scelta di cosa mi è piaciuto di più, di cosa mi ha emozionato ed ispirato di più, potrei citare tre relatori in particolare (senza nulla togliere agli altri):

John Hagel, con la sua call to action al seguire le proprie passioni, a dare spazio alla creatività (una caratteristica umana difficilmente sostituibile dalle macchine);

Divya Chander, con il suo talk dedicato alle neuroscienze e alla neurochirurgia; che mi ha emozionato, pensando a quali progressi potrà arrivare questa branca della scienza nella cura e nel supporto a persone colpite da malattie fortemente invalidanti (ha toccato un aspetto personale della sottoscritta, che ha ripensato a persone care colpite da malattie neurodegenerative);

David Roberts, che con i suoi keynote ispirazionali di chiusura delle due giornate, mi ha fatto conoscere il concetto di Exponential Leadership (legata alle nuove competenze – soft skills – necessarie per affrontare il futuro) e ha richiamato la nostra attenzione sull’etica e sulla umanità (due valori fondanti che non dobbiamo perdere di vista, in previsione della esponenzialità umana e tecnologica).

Un dialogo costante, tra emisfero sinistro ed emisfero destro della conoscenza.
Tra filosofia e tecnica.
Tra concretezza e teoria.
Tra massimi sistemi e tecnologia.

Che si intrecciano fra loro, generando nuove riflessioni e nuovi scenari. 

Link utili:

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Tecnologia pervasiva

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“La promessa, però, è un mondo in cui vita e tecnologia si mescolano senza soluzione di continuità.”

Questa frase è tratta dall’articolo che ho letto stamattina pubblicato da Business Insider: “Lo smartphone sparirà prima di quanto pensi […]“.

Leggo sempre con grande interesse gli articoli che riguardano la tecnologia.

E mi affascina (e mi inquieta, nel contempo) la progressione esponenziale che sta avendo. Come se avesse ormai superato abbondantemente quel tipping point (ossia il punto critico, o anche “punto di non ritorno”) citato da Malcom Gladwell nel suo libro omonimo “Il punto critico”.

E come sempre mi accade ogni volta che leggo queste notizie (quindi a cadenza pressoché giornaliera), ripercorro la mia “storia tecnologica” ed il personale rapporto con device, computer, smartphone

Penso a come sono stata risucchiata (lentamente, prima, e sempre più velocemente poi) da questo “mondo”. Da questa “realtà”.

Con entusiasmo (da considerare che i miei film preferiti sono “Blade Runner” e “Strange days”…) ma – ora, negli ultimi tempi – con una parallela sensazione di inquietudine crescente (l’incontro con “Black mirror” ha costituito un salutare bagno di “realtà”… se così si può definire…).

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Immagine tratta dall’episodio di Black Mirror, “White Christmas”

Ricordo nitidamente quando nel 1994 dicevo: “Io, il computer non lo userò mai!”, disegnando gli elaborati per la tesi con Rapidograph su carta da lucido, battendo a macchina il testo e portandolo ad un centro battitura tesi per la versione finale.
[Autocad era già una realtà abbastanza consolidata anche se successivamente avrebbe visto incrementi sostanziali; così come si parlava già molto dei programmi rivoluzionari di videoscrittura Macintosh.]

Ricordo nitidamente il corso di alfabetizzazione DOS fatto allo IED subito dopo la laurea (non sapevo neanche come si accendeva un computer). E poi – in rapida successione – Autocad Base e Avanzato.
Ricordo l’uso della tavoletta grafica con Autocad 12 nel mio primo posto di lavoro (la gioia di non dover digitare comandi da tastiera).

Da lì è stato un sempre più rapido incremento tecnologico, di cui sono stata in parte spettatrice e in parte utente.

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(Immagine ©Autodesk)

Dai primi timidi passi con il primo computer (un 486), il primo telefono (un “Nokia-bisonte” che anche da tre piani sottoterra ti consentiva di telefonare…), fino ad arrivare ad oggi con un “supercomputer in tasca” (una suggestiva definizione dello smartphone che ho sentito usare al TEDx Lake Como nel 2015 da uno degli speaker).

In 23 anni ho visto come la tecnologia mi ha gradualmente e sempre più pervasivamente preso con sé. Diventando una presenza fissa sulla quale conto sempre di più per supportarmi nella quotidianità.

Ora leggendo di sperimentazioni di chip sotto pelle (“Il dipendente-cyborg: un chip sottopelle e butti carte e badge“), di lancio del progetto Neuralink di Elon Musk, di esperimenti e brevetti su lenti a contatto “intelligenti” (utili per monitorare stato di salute dei pazienti – ottima cosa secondo me – ma anche per registrare ciò che vediamo [qui un rimando ad alcuni articoli della lente Sony iVision]) e studi di Google sull’occhio bionico (“Occhio bionico by Google, si inietta e poi si trasforma“), la situazione assume aspetti interessanti che aprono scenari inaspettati e confronti etici molto delicati. (Siamo abbondantemente oltre i wearable device.)

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Ma voglio essere ottimista.
(Visto che comunque con questa imminente realtà bisognerà abituarsi a conviverci.)

Come sempre accade, quando ci troviamo davanti a “rivoluzioni copernicane”, la paura ci fa immaginare scenari nefasti.
Il nostro “cervello rettiliano” ci fa ragionare per modalità conservativa dello status quo, facendoci rifiutare tutto ciò che è nuovo (qualsiasi esso sia e a qualsiasi livello esso si trovi).
Facendoci anche opporre resistenza verso la inevitabilità dei processi “evolutivi” (e dei cambiamenti in genere), con conseguente nostra obsolescenza (per usare un termine caro alla tecnologia).

Invece forse conviene avere anche fiducia in questi progressi tecnologici.
Pensandoli e vedendoli anche come processi utili per gli altri (soprattutto in campo medico e sanitario, e a supporto di persone con gravi disabilità o problemi di salute).
Come strumenti utili al miglioramento della qualità della vita.

E confidare forse anche in una cosa: l’assestamento ed il rallentamento della curva di crescita verso un andamento asintotico. Una volta fatto questo “passaggio di stato” (mutuando il termine dalla fisica) verso un nuovo modo.
(Sempre che non sia corretta la previsione di Ray Kurzweil sulla Singolarità Tecnologica.)

Chiudo con un link ad un “articolo speranza”:
Noi umani abbiamo un superpotere. È l’empatia che ci rende eccezionali.

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[Immagini tratte da Google Immagini]

Futuro, professioni e Industria 4.0

 

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Immagine tratta da Smart Week (Le 11 professioni più richieste del futuro)

Il World Economic Forum stima che già nel 2020 (cioè fra 4 anni, praticamente domani…) si avrà una flessione del 5% delle professioni della fascia medio-alta (intendendo professioni legate alla amministrazione, ingegneria e discipline affini che definirei “intellettuali”). (A questo link è possibile leggere e scaricare il pdf del documento redatto dal WEF: “The Future of Jobs”)

L’anno scorso – in questo periodo – partecipai alla Alumni Polimi Convention dove si parlò di “Industria 3.0”. Oggi si parla già di “Industria 4.0” (semplificando: robotica + Intelligenza Artificiale + Big Data + …altro…). 

Rischi e incognite dell’Industria 4.0

Nell’articolo menzionato qui sopra (e in altri che si leggono sempre più di frequente) vengono disegnati scenari che possono preoccupare non poco. E di cui si legge comunque da un po’ di tempo (un anno fa circa avevo scritto qualche post “lato utente” sull’argomento):

Ci salverà l’esperienza?

Manualità vs progettualità

Robot e C.

E qualche mese fa ho letto il libro di Claudio Simbula “Professione robot”, dove l’autore individua 31 professioni ad alta probabilità di sostituzione da parte dei robot (alcune già in atto).

Tirando le prime somme, tra libri, articoli e rapporti sullo stato dell’arte, pare che nessuno sia escluso da questa rivoluzione sempre più incombente e più prossima. Sappiamo che non si tratta più dei soli lavori manuali e ripetitivi (operai, magazzinieri), bensì anche di attività di professionisti (avvocati, commercialisti, assicuratori, ingegneri, architetti).
Non solo.
Proseguendo nella carrellata di attività coinvolte, si parla anche di assistenza all’uomo in ambito medico e sanitario (è di questa estate la notizia del super-computer IBM Watson che ha trovato una cura per un caso di leucemia rara, grazie alle sue capacità di calcolo che hanno consentito un incrocio di dati in tempi ridotti e la conseguente individuazione di una terapia adatta). Senza dimenticare la vendita già da tempo oggetto di pesante mutazione grazie all’avvento dell’e-commerce e di sue declinazioni (più per la parte di intelligenza artificiale).
Insomma ce n’è per tutti.

Ed è comprensibile lo sconforto e la preoccupazione (anche perché personalmente non riesco a vedere quali possono essere le possibili evoluzioni e direzioni da prendere).

Ma una speranza c’è, a mio avviso (e non solo mio). E porta il nome di creatività
Quella capacità tipica dell’uomo di inventarsi cose e trovare soluzioni innovative per qualcosa.

Almeno fino a quando gli algoritmi non saranno così evoluti da apprendere e – sulla base di quanto acquisito – creare e progettare soluzioni nuove. (E se ciò avverrà mi auguro che accada il più in là possibile nel tempo.)

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In foto l’ebook del libro “L’Algoritmo definitivo” di Pedro Domingos, edito da Bollati Boringheri (lettura estiva che riprenderò a breve e che avevo interrotto perché necessita di una concentrazione che questa estate non c’era)

E restando nel campo degli algoritmi, e di Intelligenza Artificiale, proprio stamattina ho letto questo interessante articolo sul blog Nuovo e Utile:

Linguaggio naturale e intelligenza artificiale: una bella sfida

Che tratta di come la macchina può interpretare il linguaggio dell’uomo. E della differenza tra linguaggio naturale (usato dall’uomo e denso di sfumature interpretative) e linguaggio artificiale (usato dalla macchina).

[E se volete farvi una chiacchierata online con una intelligenza artificiale, provate con Mitsuku (ringrazio l’amico Antonio Tartaglia per avermelo segnalato).]

Ebbene, nonostante tutte le previsioni possibili, è difficile avere una visione nitida del futuro (anche prossimo).
Di sicuro c’è che bisogna rimboccarsi le maniche.
Cambiare i famosi paradigmi.
E non smettere mai di imparare, informarsi e annusare le possibili tendenze del futuro. Implementando competenze e conoscenze, senza soluzione di continuità.

 

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Ah! A proposito… La foto qui sopra mostra alcune schermate di Allo di Google. La app sviluppata in risposta a Whatsapp (di Facebook) con integra l’assistente di Google, in una curiosa ibridazione tra “chat” e i vari Siri, Cortana & C (le intelligenze artificiali primitive che già ci portiamo in tasca).
Testate online parlano del rilascio (sia per Android che per iOS) tra oggi e domani.
Io sono curiosa di testarne il funzionamento.

[Immagine di copertina da ThinkStock Photos]

Robot e C.

Un paio di giorni fa ho visto scorrere nella timeline di Facebook un video relativo a questo “oggetto”:

Si tratta del “Pizza delivery robot” ideato da Domino’s (catena di pizzerie da asporto).
E’ un “robottino” che consegna a domicilio le pizze, ed è un possibile sostituto (sulla media-lunga distanza) dei ragazzi che sfrecciano sui motorini consegnando pizza.

Il video in questione è stato condiviso dalla pagina Facebook Futurism e rilanciato da alcuni contatti in rete (precisamente Luigi Centenaro, prima, e Sebastiano Zanolli, poi).
(Per dovere di cronaca il video di Futurism è leggermente diverso da quello condiviso qui.)

Si tratta sicuramente di un progetto curioso ed interessante, che mi ha stimolato a fare qualche riflessione e qualche ricerca, facendomi anche ricordare di alcuni progetti di robotica già operativi.

Ma andiamo con ordine.
Il progetto in sé – indubbiamente interessante – per ora mi lascia un po’ perplessa.
Perché?

Immagine tratta dal Guardian
Immagine tratta dal Guardian

Innanzitutto è in fase di sperimentazione in un luogo molto particolare: la Nuova Zelanda.
Che è già territorio di test di servizi online e offline (Facebook sta testando la sua versione business, per esempio).
Credo che questo dipenda da una serie di caratteristiche che la rendono un luogo ideale per questo tipo di attività:

  • rapporto abitanti/superficie = 15,2 ab/kmq (per avere un ordine di grandezza l’Italia ha un rapporto di 201 ab/kmq)
  • numero di abitanti 4.649.700, stima di Top Statistics New Zealand (Milano, da sola, ne conta circa 1.340.000 – Madrid, per esempio, si aggira intorno ai 3.200.000)
  • numero abitanti di Wellington (capitale della Nuova Zelanda e luogo di sperimentazione del “Pizza delivery robot”): circa 425.000.

Numeri che – credo – consentano una migliore gestione dei test e una conseguente più agevole raccolta dei dati.
Quindi ho pensato che da qui ad arrivare a vederli impiegati nelle grandi città, sarà necessario attendere ancora un po’ di tempo.

Ed è stato immediato (per me) il rimando al servizio “Amazon Prime Air” che prevede la consegna dei pacchi a mezzo di droni che atterranno davanti a casa tua.
Sicuramente un progetto affascinante sul quale credo debba essere essere fatta ancora qualche riflessione su variabili comportamentali umane (danneggiamenti accidentali o meno dei mezzi, possibili furti). Ma anche – più semplicemente – sulla circolazione in ambienti dove le variabili sono tante e non totalmente prevedibili (pensiamo al recente incidente di un’auto a guida autonoma avvenuto in un contesto di traffico normale).

Ve lo immaginate un oggetto simile che plana davanti al vostro condominio, depositando un pacco?
Questa è una ulteriore variabile: la conformazione urbanistica degli insediamenti urbani (non tutti gli insediamenti urbani sono organizzati in villette con giardino).

Il nuovo drone di Amazon Prime Air - foto ©Amazon
Il nuovo drone di Amazon Prime Air – foto ©Amazon

Quindi scenari sicuramente futuristici, evocativi ed accattivanti…
Sul quale si sta lavorando e che credo vadano tagliati su misura e differenziati rispetto agli ambienti nei quali vengono inseriti.

Detto ciò, sono la prima a pensare che i robot e la automazione evoluta troveranno sempre più ampio margine operativo nella nostra quotidianità.

Il video qui sopra mostra i progressi di Atlas, l’ultima generazione di robot della Boston Dynamics.
Abbastanza impressionante, non credete?
(A me ha colpito molto)

Ma senza andare lontano, i “robottini” sono già fra noi.
I robot tuttofare domestici sono una realtà che vedo imminente.

Esistono già i loro antesignani, quali i robot aspirapolvere per esempio.

Il robot Dyson 360 - foto ©Dyson
Il robot Dyson 360 – foto ©Dyson

Ma non solo.
Tempo fa, passando davanti ad un giardino privato, ho visto con la coda dell’occhio un robottino a tre ruote che tagliava l’erba…
Credevo di avere le traveggole, tant’è che sono tornata indietro a guardarlo.
Era lì, che andava avanti ed indietro placido, operoso e silenzioso.

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Foto ©Arredamento.it

E ancora.
In alcuni ospedali, il prelievo e trasporto di farmaci dal magazzino ai reparti è gestito da robot che seguono percorsi precisi su corsie prestabilite.
Così come i loro “colleghi” che trasportano i vassoi.

Un robot porta vassoi - da archivio.gonews.it)
Un robot “ospedaliero” porta vassoi – da archivio.gonews.it

Recente è l’impiego nelle corsie di robot che consentono di visitare i pazienti da remoto: Il robot-Avatar che arriva in corsia e visita i pazienti al posto del medico.

Cric e Croc - ©Corriere
Cric e Croc – ©Corriere

Se ci fate caso, il comune denominatore di tutti questi dispositivi (che sono già una realtà) è che si muovono in ambienti chiusi o – al più – circoscritti.

La mobilità all’aperto – in contesti urbani a più o meno ad alta densità e attività – vede condizioni un po’ diverse.
Valutabili di volta in volta, e da progettare caso per caso.

La strada evolutiva della robotica è rapida ma anche molto lunga e complessa.
I prototipi sono utili per capire e cogliere possibili tendenze che non sempre trovano sbocco (o seguito) nella realtà, ma che possono comunque essere fasi intermedie verso altri oggetti che verranno (Google Glass, insegna: voci di corridoio parlavano di abbandono del progetto, in realtà sta evolvendo – “I Google Glass non sono scomparsi…”)

Nel frattempo, news sui robot e la loro evoluzione si possono seguire anche su questo sito (scoperto scrivendo questo post): Robotica News.

Vi lascio con questo buffissimo video: cagnolino vs robot (di Boston Dynamics)
(Il robot in questo caso è telecomandato…)

[Immagine di copertina tratta da http://www.arstechnica.com]

Da che parte vado? Errando tra social…

Buonasera!

Questo post ha un po’ del “flash post” sclerotico del lunedì, delle righe scritte in fretta e furia per tentare di fissare un ragionamento in costante e continua mutazione, cercando di trovare il bandolo della matassa. Quale il web – per me – ormai è.

Ebbene vado a scrivere a ruota libera…

LinkedIn

Metti che stai leggendo il libro “LinkedIn per aziende professionisti” di Francesca Parviero e Antonella Napolitano: un libro che hai iniziato con curiosità e senza particolare convinzione, ma che – procedendo nella lettura – ti ha catturato e ti è servito (ti serve) per sistemare e migliorare il tuo profilo sul social network business.

E metti che questo libro ti diventa utile per imparare ad apprezzare sempre più questa “piattaforma” che avevi trovato noiosa sino a ieri.

Così scopri ed inizi a muovere i primi passetti in Lynda, diventando (tossico)dipendente del Social Selling Index (che i primi giorni  consulti compulsivamente), scrivendo qualcosa in più su Pulse

Instagram
Lo status che ho pubblicato ieri su Instagram/Facebook dopo qualche ora di esplorazione delle piattaforme di elearning

E pensi che – finalmente, dopo tanto vagare – sei arrivata alla quadratura del cerchio. Pensi di avere trovato un (tuo) giusto equilibrio nei canali di comunicazione, abbastanza ben ripartito tra immagini e parole, con un tono di voce adatto… (forte anche della perplessità – e del timore – che ti aveva suscitato una immagine condivisa su Facebook qualche settimana fa).

E invece no…

Settimana scorsa leggi questo articolo: Introducing a WordPress Plugin for Instant Articles (su Ninja Marketing un approfondimento in italiano: Facebook e Automattic: presto il plugin WordPress per Instant Articles). Scoprendo che WordPress (partner di Facebook in questa impresa) renderà disponibile entro metà aprile un plugin che favorirà la diffusione e l’accesso direttamente da Facebook degli articoli pubblicati sulla piattaforma di blogging più diffusa (una funzione che FB stava già sperimentando da alcuni mesi con alcune testate giornalistiche – qui un articolo di quasi un anno fa). Consentendo a tutti coloro che hanno un sito/blog su WordPress di utilizzare questo sistema per diffondere meglio i propri contributi.

Contemporaneamente ti accorgi che sulla timeline di LinkedIn si sta chiacchierando sul fatto che ultimamente LinkedIn sta diventando come Facebook (ossia sta perdendo i suoi connotati business, “a favore” di condivisione di contenuti a base di gattini, frasi motivazionali, foto provocanti di fanciulle, e via così…).

Ci ragioni attorno tra te e te, arrivando ad una tua (prima) conclusione (che sai già non sarà l’ultima…):

LinkedinFacebook

Ed in coda al post decidi di condividere un approfondimento (frutto anche di riflessioni nate dalla lettura dei commenti delle persone che hanno condiviso un pensiero sulla diatriba in corso):

Commento FB

Ma – come accennavo poco sopra – non è finita qui.

Le conversazioni sul tema continuano, e stamattina leggo – sempre su LinkedIn – un post di Rudy Bandiera: Linkedin è il nuovo Facebook! Anzi, è la parte PEGGIORE di Facebook. Titolo che scuote, contenuti che fanno riflettere.

Ed una cosa mi colpisce particolarmente: nel confrontare e ragionare attorno ai due social network, l’autore definisce Facebook come un social network pop (con tutti i pregi e difetti che questo comporta). Cosa che effettivamente LinkedIn non è.

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Immagine tratta dal sito The Freak

Immediato per me il rimando alla Pop-Art e al celebre aforisma di Andy Warhol:

Nel futuro ognuno sarà famoso al mondo per 15 minuti.

Ma in questo scrivere a ruota libera, durante il quale faccio fatica a tenere il filo del discorso, non voglio perdermi in una dissertazione attorno alla identità di Facebook.

Piuttosto vorrei riuscire a fermarmi un momento per cercare di capire da che parte andare.

Dove vado
Immagine tratta da LunaBulla (Tumblr)

Sì, perché a questo punto mi sorge una domanda che mi fa tornare sui miei passi.

Se inizia ad esserci una omologazione (un allineamento) della comunicazione tra vari social network (nello specifico LinkedIn e Facebook), che senso ha seguirli tutti?

Per esempio che dire della ipotesi che Twitter possa eliminare il limite dei 140 caratteri (suo carattere distintivo): Twitter toglierà il limite dei 140 caratteri?

A questo punto non mi conviene prediligerne uno, usando gli altri solo ed esclusivamente come strumenti di condivisione passivi (per la molto prosaica indicizzazione), infischiandomene dei must do martellanti di esperti del settore? (Condividere quindi automaticamente i post del blog, che personalmente ho rivalutato dopo un periodo di riflessione ed esplorazione di altri media.)

Tutto questo, ricordandomi quello che avevo letto sulla presenza online e che si può sintetizzare più o meno così: “Ognuno ha il suo social di elezione, più adatto al proprio modo di essere e narrarsi.” (Leggasi: non è necessario essere ovunque)

Che fare, quindi? Andiamo avanti.

Surfando nel web, gestendo contemporaneamente l’identità digitale e professionale, la comunicazione del proprio brand (di quello che sei e che sai fare) e lavorando sulla creazione della nicchia.

E – per non farsi mancare nulla – di seguito altri articoli che anticipano e aprono altri scenari:

Buona settimana!

 

Manualità vs progettualità

Il robot YuMi (ABB)
Il robot YuMi (ABB)

Ho pubblicato questo articolo su LinkedIn qualche settimana fa, dopo una delle visite in Expo.

Ed oggi ho deciso di condividerlo anche qui – sul blog – in una “struttura” più organizzata.

L’obiettivo del post non era (e non è) parlare dell’evento Expo e/o delle vicende ad esso collegate: penso si siano sono spese (e si spendano tutt’ora) migliaia di parole, da più punti di vista. E non mi sento di aggiungere ulteriore caos alla interpretazione di questa manifestazione. Mi diletto solo a far parlare le immagini, condividendo sui social le foto che faccio, e trovandola – tra l’altro – una manifestazione molto bella dove l’architettura fa da padrona.

Desidero invece ragionare su quello che ho visto nel Future Food District creato da Coop: YuMi, il robot realizzato da ABB, operativo all’interno del supermercato-prototipo (spazio progettato – tra gli altri – da Carlo Ratti del MIT). Osservando questa macchina che sposta, inscatola, ordina, ho avuto la sensazione di “avere preso un bel granchio” (per usare un eufemismo).

Sì, perché mi è tornata in mente una precedente installazione dimostrativa progettata e realizzata dall’architetto Carlo Ratti: il robot barman Makr Shakr, portato a Milano in occasione di una sua “lecture” per Meet the Media Guru.

E mi sono ricordata anche di un articolo letto qualche giorno prima che presentava il robot muratore Hadrian, in grado di costruire una casa in due giorni.

In tutto questo convergere di informazioni sull’avanzata della tecnologia delle macchine, è stato inevitabile il rimando alle riflessioni fatte qualche tempo fa sulla nostra esperienza (che forse – ma non è detto – ci salverà), sui lavori che stanno scomparendo, sui prototipi di auto e camion che si guidano da soli (Mercedes ne sta testando uno).

Future Truck 2025
Un rendering del Future Truck 2025 – © Mercedes

E ho pensato che forse la convinzione che la manualità sia quella competenza che garantisce comunque un futuro, non sia totalmente corretta.

Sicuramente è un attività umana sulla quale si può e si deve continuare ad investire, ma non mi sembra la via di uscita.

Dal mio punto di osservazione, il mondo con il quale ci stiamo gradualmente ed inesorabilmente confrontando sempre più è un mondo fatto di macchine, “app”, software… Dove la nostra intelligenza e capacità di programmazione (unite alla nostra creatività) possono essere la chiave di volta (pensando anche all’auto-produzione con stampanti 3D).

Non c’è bisogno che lo dica io (ci sono fior-fiore di studiosi, scienziati, ingegneri, che ci ragionano e ci lavorano attorno), ma credo che ci si debba sforzare nell’avere una visione della propria professione su media e lunga gittata. Ponendoci domande su come vogliamo trasformarla, su che direzione vogliamo prendere, su cosa vogliamo fare, su dove andare a catturare ed imparare le tendenze del futuro.

Con pragmatismo, lungimiranza, senza paura (la cosa forse più difficile) e senza smettere di imparare.

[E continuo a domandarmi – quotidianamente – se e quanto possa valere l’esperienza accumulata sino ad oggi… Forse come “forma-mentis”… Ma come esperienze accumulate, non ne sono più tanto convinta. A meno che non ci si sprema le meningi su come ricombinarle in modo nuovo, in funzione di quello che verrà e che ancora non conosciamo, visto che lo stiamo disegnando…]

Chiudo con qualche link ad articoli di approfondimento:

  • manco a farlo apposta, oggi ho letto su LinkedIn questo articolo (in lingua inglese) pubblicato sul “magazine” di Speexx (azienda che si occupa di formazione in lingue straniere per le aziende) che ragiona attorno allo stesso argomento, in toni rassicuranti (riconoscendo comunque una mutazione in corso delle professioni): Technology creates jobs.

Se volete invece approfondire su YuMi, su Makr Shakr e sul Future Truck, qui sotto trovate degli articoli dedicati: